5 dicembre 1981/1 – Mambro: Così è morto Alessandro Alibrandi

Quella mattina – ricorda Francesca Mambro –  avevamo un appuntamento all’alba. Ci vediamo tutti insieme, perché avevamo deciso di sparare all’agente Angelino. Io arrivo all’appuntamento con Giorgio e troviamo gli altri già sul posto. Ma dell’agente non c’è traccia, così ci separiamo e ci diamo appuntamento in un ristorante per l’ora di pranzo. Io e Giorgio arriviamo a questo ristorante e loro non ci sono. Ma non mi preoccupo. Aspettiamo che telefonino per comunicarci un eventuale cambio di programma, però non arriva nessuna chiamata. Io e Giorgio mangiamo, poi ce ne andiamo. Saranno state le 15.30, quando passiamo davanti a un’edicola e vediamo un quotidiano del pomeriggio, Vita Sera, che pubblica a tutta pagina la foto di Alessandro. Il giornale diceva che era in fin di vita, ma ancora vivo. Quando la sera, dal telegiornale, apprendo che è morto, per me è uno choc terribile. Comincio a tremare tutta, come se avessi la febbre a quaranta, e non riesco nemmeno a parlare. Le parole mi escono tutte sbiascicate, sudo freddo, singhiozzo. Una reazione nervosa pazzesca, che non ho mai più avuto.

In serata Francesca Mambro vuole capire come è andata e così parla con i tre che erano con Alibrandi:

È evidente, da quello che mi hanno raccontato, che Alessandro pensava di stare con persone di cui potersi fidare ciecamente, come a Milano, e non è stato così. Non so perché ha assaltato da solo la volante. Forse ha pensato di essere stato riconosciuto e ha giocato d’anticipo. Ma mentre a Milano aveva la 92, stavolta era armato con una calibro 38, e non è la stessa cosa. Da quel che mi è stato detto, a un certo punto gli sono finiti i colpi, è stato colpito ed è caduto tra due auto parcheggiate, sparendo alla vista degli altri tre. Ricordo che Sordi mi diceva: «Non lo vedevamo più, non lo vedevamo più». A me pareva una cosa allucinante. Anche a me è successa una cosa simile quando Valerio venne ferito a Padova. Mi si inceppò la pistola… Insomma, successe un casino quella sera… Ma dopo i primi momenti cerchi di reagire, di organizzarti. Cavolo, avrebbero dovuto prenderlo, caricarlo in macchina e portarlo in un posto sicuro. Non avrebbero mai dovuto lasciarlo lì. E poi che ne sapevano se era vivo o morto? Magari era rimasto leggermente ferito e aveva bisogno del loro aiuto. E loro che fanno? Se ne vanno? Mi hanno detto di non averlo più visto, di averlo chiamato, di non aver sentito nessuna risposta e di aver deciso di scappare perché stavano arrivando altre volanti. E se fosse solo svenuto, ma fosse stato ancora vivo? Pazzesco… Comunque quel giorno ho perso tutte le residue speranze: dopo l’arresto di Valerio, la morte di Alessandro…

A Francesca Mambro la morte di Alibrandi appare subito come un punto di non ritorno, forse l’epilogo dell’intera storia dei Nar:

Avevo perso l’alleato più fidato e anche più forte che avessi. Perché anche Giorgio era forte e in gamba. Ed era una persona che mi ascoltava e mi proteggeva. Però era stanco, molto stanco. Secondo me non ci credeva più. Credo che volesse farla finita. Invece Alessandro era più vitale, più propositivo, aveva più energia. Se al Labaro ci fossi stata io, non sarebbe successa una cosa del genere. Perché poi Sordi e Lai mi dicevano: «Alessandro voleva prendere i mitra della volante…» Secondo me non è andata così. Non aveva bisogno di prenderli a una volante in mezzo alla strada, questi mitra. Noi abbiamo preso diverse armi senza sparare un colpo. Comunque, quel giorno capii che Valerio non sarei più riuscita a liberarlo.

FONTE: Il piombo e la celtica/Nicola Rao
[1-continua]

 

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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