ritratto di manager

Mancini, l'ex ragazzo della destra radicale:
una carriera a fianco di Alemanno

«Intorno al sindaco non si muove nulla senza di lui», dicevano dell'ex ad: si dimise dall'ente Eur per evitare il carcere

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Mancini, l'ex ragazzo della destra radicale:
una carriera a fianco di Alemanno

«Intorno al sindaco non si muove nulla senza di lui», dicevano dell'ex ad: si dimise dall'ente Eur per evitare il carcere

Riccardo Mancini (Jpeg)Riccardo Mancini (Jpeg)
ROMA - Quando comparse a Palazzo Senatorio, sul terrazzino dell’ufficio del sindaco che guarda sui Fori, Riccardo Mancini, classe '58, ex ad di Eur Spa, protagonista dell'inchiesta sull'acquisto dei filobus per il Comune di Roma, non era ancora così noto al grande pubblico. E però, già allora, all’insediamento di Gianni Alemanno in Campidoglio nel maggio del 2008, quando gli ex An sfilavano in Comune paragonando quell’evento alla presa del «Palazzo d’Inverno» di San Pietroburgo, l’imprenditore era l’uomo forte al fianco del nuovo primo cittadino. «Segnati questo nome: Mancini. Intorno ad Alemanno non si muove niente, senza di lui», ci disse all’epoca un collega, più bravo e più esperto. Il perché si è capito mano a mano.

Il sindaco Alemanno con Mancini Il sindaco Alemanno con Mancini
IL FEDELISSIMO CHE VIENE DAL «FUNGO» - Mancini, ingegnere, laurea honoris causa alla pro Deo, è sempre stato un «fedelissimo» del sindaco. Amici fin da ragazzi, quando frequentavano entrambi gli ambienti della destra radicale romana. Mancini era in Avanguardia Nazionale, ed era conosciuto per essere uno dei cosiddetti «fascisti del fungo», un gruppetto che si radunava sotto alla struttura dell’Eur. Il loro leader era Peppe Dimitri, poi tra i fondatori di Terza Posizione. Quando Dimitri morì in un incidente stradale nel 2006, ad organizzare il tutto, come racconta Ugo Maria Tassinari nel libro Fascisteria, fu proprio Mancini. Vicino a lui, Gabriele Adinolfi (oggi «ideologo» di CasaPound) e Francesco Bianco, l’ex Nar poi assunto in Atac.

IL PD: «GIA' PROCESSATO PER ARMI» - Un passato che a Mancini è costato problemi con la giustizia: in un’interrogazione parlamentare del Pd nel 2010 (primo firmatario il senatore Luigi Zanda) di Mancini si dice che «è stato processato nell’88 e condannato ad un anno e 9 mesi di reclusione per violazione della legge sulle armi». Condanna poi «cancellata» successivamente, grazie ad un processo di «riabilitazione», quel meccanismo giuridico che consente di ripulire la fedina penale. Mancini, negli anni, si è trasformato in un manager molto facoltoso, imprenditore nel settore dell’energia, capace di riacquistare e rilanciare le aziende di famiglia, dopo che il nonno materno Romolo Zanzi era stato costretto a vendere l’impero economico.

LA SCATOLA MAGICA DI EUR SPA - Quando Alemanno ha ritentato la scalata al Campidoglio, dopo la sconfitta contro Veltroni nel 2006, ha voluto al suo fianco proprio Mancini: era il tesoriere, colui che mette insieme i soldi per la campagna elettorale. Ma non è finita lì. Dopo la vittoria contro Rutelli, Mancini c’era sempre. Sia in Campidoglio, che nelle cene private a casa, dove Alemanno e i suoi pianificavano lo spoils system sulle municipalizzate. Ma è solo a luglio del 2009, con l’arrivo all’Eur Spa come amministratore delegato, che tutti si sono accorti di quanto fosse influente Riccardo Mancini. Per lui, quello, era un ritorno «a casa», nel quartiere dove vive da sempre. Ma era, anche, la prosecuzione dei piani elaborati in campagna elettorale. L’Eur Spa, infatti, è diventata la «scatola magica» del Campidoglio, seppur partecipata al 90% dal Tesoro. Tutti i progetti passavano da lì: secondo polo turistico, Formula Uno, area dell’ex Velodromo, Nuvola di Fuksas, le Torri di Renzo Piano. Molti sono naufragati, su qualcuno – come il Centro congressi – ci sono diversi problemi da risolvere.

Mancini abbraccia Franco Panzironi (foto Jpeg)Mancini abbraccia Franco Panzironi (foto Jpeg)
IL CROLLO E L'ARRESTO - Ma Mancini è andato avanti, respingendo sempre le critiche, anche quelle che gli sono cadute addosso dopo che il Corriere scrisse di una «Parentopoli» a via Ciro il Grande: tra le tante assunzioni, anche quella della nipote dello stesso Mancini e del figlio di Franco Panzironi. Ha resistito fino all’estate scorsa, quando il governo Monti decise di confermarlo come ad della società. Poi il crollo, con l’indagine Finmeccanica, le rivelazioni sull’acquisto dei filobus, l’arresto di Ceraudo, le dimissioni di Mancini dall'Eur, l’ammissione di aver intascato «60 mila euro». Il manager pensava, con quel passo indietro, di essersi risparmiato la galera. Non è stato così.

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