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ll caso. Il gruppettarismo alla “Romanzo Criminale” danneggia i ribelli autentici

Pubblicato il 7 luglio 2014 da Augusto Grandi
Categorie : Cronache Scritti

foto-tramonto-1Ugo Maria Tassinari, a seguito dell’omicidio a Roma di uno dei personaggi coinvolti in una pessima vicenda di truffe milionarie, si chiedeva se l’iperviolenza sia consustanziale alla fascisteria. Traducendolo nel più semplice: “Son tutti pazzi questi fascisti?”. Ovvio che, da ottimo giornalista qual è (ed è realtà, non ironia), Tassinari spinga forte sul titolo. Sapendo perfettamente che la risposta è negativa. Negativa per quanto riguarda il “tutti”. Perché sa benissimo che esistono realtà molto ma molto differenti. E sa altrettanto bene che tra fascisti e neofascisti esiste un solco profondo, più che una differenza.

Però esiste un immenso problema di immagine e di immaginazione complessiva. E se non c’è dubbio che il giornalismo canaglia (e non è quello di Tassinari) ne approfitta, è altrettanto vero che una fetta di questo neofascismo deteriore faccia di tutto per venire demonizzato. Al di là dei personaggi coinvolti direttamente nell’ultima vicenda (prima quelli in arrivo dalla Lucania, poi uno sceso da Verbania), l’immagine che appare evidente è quella di un cancro del neofascismo romano che si estende con metastasi in altre parti d’Italia. Dalla Magliana a Mokbel le connessioni ed i contatti tra un certo mondo politico e la criminalità organizzata appaiono evidenti. Ed è inutile cercare di mascherare la delinquenza e le truffe con una inesistente forma di ribellione contro i poteri forti, le banche, il sistema.

Non ci sono Robin Hood che hanno rubato alle banche per donare ai poveri, ai giovani militanti, alle formazioni politiche, alle iniziative del neofascismo militante. I soldi se li sono fregati per goderseli in proprio, in privato. Non è una sorta di finanziamento politico: è pura e semplice delinquenza. Che danneggia, però, un intero mondo politico. Composto, invece, da quelli che vanno ad attaccare manifesti per politici più o meno cialtroni, da quelli che creano bande musicali invece di bande criminali, da quelli che riescono ad organizzare grandi appuntamenti culturali nonostante boicottaggi e mancanza di fondi. Tutti danneggiati, penalizzati, emarginati grazie ai criminali ed agli idioti che vengono etichettati con le medesime definizioni politiche ma che, al contrario, fanno parte di un altro mondo.

Quando Gabriele Adinolfi, giustamente, invita a riscoprire uno “stile”, si scontra con un mondo che lo stile manco sa cosa sia. O lo confonde con le catenazze d’oro ostentate su petti villosi, con anelli mafioseggianti alle dita, con atteggiamenti e comportamenti non più tollerabili. Arroganti e presuntuosi quando, in realtà, avrebbero solo da vergognarsi. Atteggiamenti che non riguardano soltanto il sottobosco che fa da confine tra criminalità e pseudo politica. Ma che caratterizza anche molti dei politici “ufficiali”. Uno degli ex parlamentari europei costretti a restare a casa dalla bocciatura popolare si lamentava delle critiche di molti militanti del suo partito nei confronti degli atteggiamenti “borgatari” di qualche leader.

Forse dovrebbe chiedersi, l’ex, se non sia un bene che certi atteggiamenti vengano rifiutati dalla base. Stufa di politici caciaroni e senza competenze, stufa di decisioni e nomine decise al chiuso di qualche stanza romana, studi di clan che non sono quelli scozzesi, stufi del fancazzismo dilagante. Recuperare lo stile significa anche chiudere le porte in faccia a chi non ha capito che il fascismo e perfino il neofascismo non vogliono più avere a che fare con questo mondo autoreferenziale e romanocentrico. C’è tutto il mondo fuori dall’Urbe. E se il califfo se ne accorge, rinuncia a prendersi Roma.

@barbadilloit

A cura di Augusto Grandi

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