Nel bunker di Gastone tra le baracche di Tor di Quinto l'ossessione per la Curva sud, svastiche e slogan anti-cops

Il 'covo' dell'ultrà giallorosso accusato di aver sparato a tre tifosi napoletani prima della finale di Coppa Italia

Tutto il mondo di "Gastone" sta nei nove metri quadrati del suo bunker sudicio, infilato tra le baracche di Tor di Quinto. Il poster di Miki Mantakas, il giovane missino ucciso nel 1975 a cui è dedicata la sede storica dell'Msi di Prati, dove Daniele De Santis è di casa. Le croci celtiche e gli altri ammennicoli fascisti, ricordo di quelle spedizioni punitive che faceva al Nord con nazisti ed ex nar. Il crocifisso appeso al muro scrostato, del suo cattolicesimo integralista che lo convinse nel 2008 a candidarsi alle municipali per la lista "Il popolo della Vita". E poi, il culto per la squadra del cuore e per la romanità tatuato sulle dita, che quando si stringono a pugno si legge "Roma Spqr".

Quello che il presunto sparatore di sabato scorso rinchiuso a Regina Coeli non dice o non vuole dire su di sè, lo raccontano le foto che ha pubblicato sul suo profilo Facebook, prima che qualcuno lo cancellasse. Nickname "Danny annibal smit", sottotitolo: boia chi molla. Gastone lo ha riempito di post che la sua mente da ultras ha continuato a partorire anche quando in curva non andava più, tipo "spaccarotella pezzo di merda, ti ucciderà la giustizia divina", oppure "a morte tutte le guardie".

Le foto con Francesco Totti, entrambi sorridenti a bordo campo dell'Olimpico, sono le sue mostrine. "Che tutti sappiano, io sono amico del Capitano", sembrano dire. Era defilato in quel 21 marzo di dieci anni fa, quando i tifosi di Roma e Lazio bloccarono il derby per la notizia di un bambino morto che morto non era. Ma c'era, era lì, tra quelli che avevano scavalcato le transenne. "Ma chi lo conosce 'sto Danielino, mai sentito", dicono ora le nuove generazioni. Non lo hanno mai visto agitare i suoi 130 chili come un forsennato durante le partite più calde della Roma. L'ultima volta che qualcuno lo ricorda sugli spalti era a Manchester, nel 2008, la notte del 7-1 che nessun giallorosso dimentica. Poi più nulla. "Danielino ha chiuso da tempo con lo stadio  -  sostiene Mario Corsi, ex militante dei Nuclei armati rivoluzionari, la voce radiofonica del ventre della Curva Sud  -  vive in una baracca nel circolo sportivo Boreale con i suoi tre cani. La pistola ce l'aveva per difendere i bambini della scuola calcio dagli zingari".


Marione è una vecchia conoscenza di Daniele. Facevano parte del gruppo dei Boys, di cui Corsi è stato uno dei leader. Entrambi condividono un passato nero, e profondo. Perché raccontare Danielino in curva, è raccontarlo a metà. Prima di essere ultras, è un fascista. Militante convinto. Di quelli duri e puri, che andava a fare le spedizioni punitive.

Conquista il "disonore" della cronaca nel 1994, quando si fa arrestare con altri 18 sodali a Brescia. Lo aveva convinto Maurizio Boccacci, che del Movimento Politico Occidentale in cui aveva cominciato a militare, era il fondatore. In una pizzeria del quartiere Tiburtino avevano organizzato un pullman per far finta di andare a vedere la partita Brescia-Roma. Su quel bus accanto a lui siedono Massimiliano D'Alessandro detto "er polpetta", di Opposta Fazione (un gruppo di violenti, slogan "meno calcio e più calci"), e Giuseppe Meloni, altro leader dei Boys. Fascisteria impastata con il tifo, il leitmotiv della miseria di Danielino.

"La procura tentò di avvalorare una pista politica  -  ricostruisce sul suo blog AlterUgo Ugo Maria Tassinari, saggista ed esperto di destra radicale  -  perché quel giorno a Brescia si eleggeva il sindaco, volevano colpire l'immagine del leghista Maroni". Ma alla fine il Tribunale li assolse tutti, nonostante  -  si saprà poi  -  a Bologna la combriccola nera avesse festeggiato la promozione della squadra partecipando a un'altra "caccia al negro" e a quattro distinti pestaggi.

Ecco chi è Danielino, detto impropriamente Gastone (è il soprannome di un suo amico). Due anni dopo, siamo nel 1996, viene coinvolto sempre con la solita "compagnia di giro" di Mario Corsi, nell'inchiesta sui presunti ricatti della tifoseria ai danni della società, di cui Franco Sensi era diventato da poco presidente. È l'occasione per legarsi a un altro personaggio del milieu fascista di Roma Nord, Giuliano Castellino. "Fummo tutti assolti quella volta", ricorda. Ora, a 48 anni, Danielino continua la sua lotta politica. Con il Movimento Sociale Europeo, a fianco di Castellino. E con il Trifoglio di Alfredo Iorio, che dopo lo stupro Reggiani occupò a Tor Di Quinto l'area dove De Santis ha costruito il suo bunker.
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08 maggio 2014 - Aggiornato alle

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