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Giovedì 17 Luglio 2014

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"Sin prisa pero sin pausa"
(Rafa Benitez)
due accoltellamenti, due smentite, un dibattito / 16/07/2014 14:37

Quindi l’odio tra Roma e Napoli è una balla inventata dai media?

di Massimiliano Gallo -  Siamo a due. Saremmo a due. Due romani accoltellati a Napoli (fin qui pare che non ci siano dubbi); due occasioni in cui la prima versione lega l’accoltellamento alla morte di Ciro Esposito, quindi alla “vendetta” degli ultrà; due occasioni in cui la Digos smentisce l’ipotesi (senza peraltro, fin qui, giungere al fermo di chicchessia); due volte in cui la gran parte degli utenti dei social network lamentano (è un eufemismo, ovviamente) la superficialità con cui i media diffondono notizie del genere, quasi sempre in danno dell’immagine di Napoli. Forse qualche considerazione va fatta. Qui Ugo Maria Tassinari ripercorre in maniera fedele quel che è successo tra ieri e oggi a proposito dell’accoltellamento del 36enne romano e della gestione della notizia. Ancora non sappiamo come si siano svolti i fatti. Non sappiamo nulla di quel che è accaduto quasi due settimane fa. Eppure gli inquirenti hanno parlato di delitto maturato in ambiente di lavoro: all’Hotel Romeo. Il giovane romano sarebbe stato accoltellato perché reo di essere venuto a lavorare a Napoli e quindi di aver sottratto un “posto” ai napoletani. Insomma, saremmo - ipotesi Digos - a una guerriglia territoriale che non ha precedenti. Lo abbiamo già scritto: è ben poco confortante. E comunque crediamo che non dovrebbe essere così difficile individuare chi ha talmente sofferto per aver perso una buona occupazione all’Hotel Romeo da aver addirittura accoltellato il rivale. Di ieri sappiamo altrettanto poco. Se non che il 36enne è arrivato a Napoli con un amico, che è di Roma, e che si è beccato una coltellata (non si conoscono le circostanze), e che si è fatto medicare ed è tornato a casa. In entrambi i casi la versione della Digos è attendibile. Più che attendibile, è oro colato. Per noi è la normalità. Ma bisognerà pure ammettere che non sempre, tra tifosi, le versioni della Digos incontrano così tanta condiscendenza. Abbiamo già scritto, ma lo ripetiamo, che non c’è alcun bisogno di appartenere a un gruppo organizzato di tifosi per accreditare la pista di una vendetta. E anche sul termine vendetta bisogna intendersi. Siamo in presenza di una rivalità, per non parlare di odio, che va ben oltre lo stadio. È un problema di rilevanza sociale. In questo, l’atteggiamento dei media è spaventosamente superficiale. Manca il personaggio da copertina, manca il Genny ’a carogna. Ed è proprio questa assenza a dover, invece, inquietare di più. Da qualche settimana nel bar napoletano di Testaccio è scomparso anche l’ultimo riferimento al tifo per gli azzurri. Non è un bel segnale. Possiamo solo aspettare che le forze dell’ordine svolgano le loro indagini. Ma noi lavoriamo su Internet. E non possiamo che sorridere quando leggiamo che la polizia indaga sui social network dove ha scoperto esistere un odio acceso tra le due tifoserie. Ohibò. Ma, scusate, visto tutto quel che quotidianamente leggiamo, perché ci sorprende tanto la notizia di un romano eventualmente accoltellato solo in quanto romano? Non sarebbe la logica conseguenza di tutto quel che ci vediamo scorrere quotidianamente sotto gli occhi? E non è affatto detto che debba avvenire per mano di un appartenente al cosiddetto tifo organizzato. Non può essere la mano di un ultrà a conferire la patente di emergenza. I mass-media dovrebbero essere più cauti, per l’amor del cielo. Ma i lettori ascoltano e vogliono credere alle notizie che preferiscono. A prescindere dalla fonte. Foss’anche l’odiata Digos (che, ripetiamo a scanso di equivoci, per noi è fonte pressoché indiscutibile e svolge il proprio lavoro di polizia: non possono certo fare i sociologi). Ma smettiamola di giocare a nascondino, di fare le anime belle. C’è un problema grosso come una casa e lo sappiamo. E va affrontato. E in questo i media e soprattutto il mondo del calcio continuano spaventosamente a far finta di niente. Nella migliore delle ipotesi - ma non è detto - siamo al secondo “al lupo, al lupo”. Poi sappiamo tutti come finì. Massimiliano Gallo

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