5 novembre 2012: ai funerali di Rauti la resa dei conti finale del Msi

funerali

Per taluni aspetti i funerali di Pino Rauti, celebrati dopo tre giorni di camera ardente, per assicurare un adeguato omaggio al vecchio leader, finiscono per assumere un rilievo politico maggiore della stessa morte. Perché, con la bagarre scatenata contro il presidente della Camera Gianfranco Fini, si consuma la resa di conti finali del Movimento sociale italiano e di tanti militanti neofascisti con la propria storia. Non a caso Nicola Rao ha scelto di aprire la Trilogia della celtica con i funerali di Peppe Dimitri e di chiuderli con quelli di Pino Rauti. E se non è esatto parlare di storia che si ripete in farsa, ci sono comunque elementi grotteschi che hanno lasciato un segno politico forte.

Quel brusio che monta e diventa un tuono

«O Dio, fonte di misericordia e di perdono e gioia eterna dei tuoi santi, concedi al nostro fratello Giuseppe, a cui diamo oggi l’estremo saluto, di entrare in Paradiso insieme a…».  Il sacerdote ha appena cominciato a officiare la messa, ma le sue parole vengono bruscamente interrotte. Monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo ausiliare di L’Aquila, in trasferta nella Capitale su richiesta del suo amico Gianni Alemanno, aveva avvertito un certo brusio che arrivava dall’esterno della chiesa, ma non ci aveva fatto caso più di tanto.
Del resto, aveva pensato, stiamo celebrando i funerali di Pino Rauti, con tutto quel che ne consegue: le lacrime e i saluti romani all’arrivo della salma, l’assembramento all’ingresso della basilica, la folla che sta riempiendo il sagrato e che da fuori preme per entrare. Ma poi il brusio iniziale era cresciuto, fino a diventare un tuono. E il suono delle sue parole, per quanto pronunciate al microfono e amplificate dagli altoparlanti, era stato cancellato dal boato che arrivava dall’esterno, assordando i presenti. Un boato prolungato e dirompente. Un misto di urla sconnesse, grida, insulti e slogan ritmati. Come se una folla di centinaia di persone stesse linciando qualcuno. E proprio di questo si trattava. Di un vero e proprio linciaggio, anche se politico.

Una bagarre peggiore dei funerali di Capaci

«Fuori, fuori!» «Traditore! Fuori!» Dopo alcuni secondi, dalle urla indistinte iniziano a comporsi nitidamente delle parole ben precise. Molte persone tra i banchi della chiesa si alzano in piedi, rivolte verso l’entrata, e cominciano a loro volta a urlare e inveire contro una figura alta e magra, che, a fatica, si sta facendo avanti. «Vattene via!» «Venduto!» «Bastardo!» Adesso è tutto molto chiaro. Centinaia di persone stanno raccogliendo e rilanciando le urla e gli insulti che arrivano dall’esterno. E ora, dentro la basilica di San Marco, a due passi da Palazzo Venezia, stanno dando vita alla più plateale e rumorosa contestazione di un leader politico mai avvenuta in Italia durante una cerimonia religiosa.
Scene simili si erano viste soltanto vent’anni prima, il 25 maggio 1992, nella cattedrale di Palermo, in una circostanza ben più tragica: i funerali di Giovanni Falcone, della moglie e dei tre agenti della scorta, falciati dall’esplosione dell’autostrada a Capaci. In quell’occasione la rabbia e il dolore dei cittadini e dei colleghi dei tre agenti uccisi si erano riversati contro tutte le autorità presenti, con urla, spintoni, fischi. Il capo della polizia, Vincenzo Parisi, e il magistrato Giuseppe Ayala si erano frapposti personalmente tra i contestatori e il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per evitare il peggio. Ma quella volta la cerimonia funebre non era in corso. Invece oggi sì.

E Fini decide di non poter mancare

Gianfranco Fini ha deciso all’ultimo momento di partecipare ai funerali di Pino Rauti. Non si era presentato alla camera ardente, perché sconsigliato dai famigliari del leader scomparso. «Meglio evitare contestazioni», avevano convenuto. Ma oggi, 5 novembre 2012, il presidente della Camera ha rotto gli indugi: l’ultimo segretario del Msi non può non partecipare ai funerali del suo predecessore. È una questione di dignità e rispetto.
Così quando, masticando la solita caramella, compare all’improvviso, a piedi, all’angolo tra Palazzo Venezia e la basilica, le centinaia di ex militanti e simpatizzanti missini che stazionano là davanti non ci vogliono credere. Lo accompagnano il portavoce Fabrizio Alfano, tre uomini della scorta in borghese (uno dei quali lo sta proteggendo dalla pioggia con un ombrello), l’amico e collega del Secolo d’Italia Aldo Di Lello, un brigadiere dei carabinieri, seguito da un maggiore dell’Arma.
L’ex leader della destra neo e postfascista italiana, per anni acclamato da tutte le folle d’Italia («Fini, Fini, sei il nostro Mussolini», gli avevano urlato, osannandolo, dopo l’exploit del novembre 1993, quando per un soffio non aveva battuto Francesco Rutelli per la corsa al Campidoglio), si sta avviando, più o meno consapevolmente, verso quello che sarà il suo «processo di Verona».

La folla si scatena contro il capo (ex)

«Ancora qua stai?» gli fa il primo che si accorge del suo arrivo. «Ma perché nun te ne vai? E vattene, vatteneeee. Te ne devi annaaaa’!» L’effetto sorpresa tra i presenti dura alcuni secondi. Sconcerto, qualche timido fischio, sembra che tutto sia già finito. E invece tutto deve ancora cominciare. Come per incanto, improvvisamente, la rabbia e l’odio esplodono violenti e improvvisi.
Ora le urla sono tante e si sovrappongono. «Traditore!» «Buffone!» «Ladro di case!» «Badoglio!» «Vai in sinagoga!» È il caos. E quando il presidente della Camera raggiunge il preingresso della basilica, stracolmo di gente, la contestazione esplode. Decine e decine di persone, di tutte le età, tentano di aggredirlo, contenute a stento dalla piccola scorta e dal povero Alfano, che fanno scudo a Fini con i loro corpi.
Pugni minacciosi roteati in aria, manici di ombrelli branditi come clave verso il drappello che protegge il presidente della Camera, monetine e sputi verso di lui e verso i suoi protettori. Un paio di schiaffi riescono a raggiungerlo, spettinandolo e spostandogli la stanghetta degli occhiali, proprio mentre, sempre più a fatica, guadagna l’ingresso della chiesa.

La contestazione dilaga in chiesa

Ed è a quel punto che la contestazione si trasferisce all’interno della basilica, costringendo monsignor D’Ercole a interrompere la cerimonia. Intanto davanti alla chiesa almeno duecento persone stanno gridando «Fuori, fuori!» scandendo la richiesta con i saluti romani. E dentro, in centinaia, ora stanno urlando la stessa richiesta:«Fuori, fuori!» Un vecchio dirigente missino tenta inutilmente di riportare i presenti alla calma. «Basta, basta, siamo in chiesa, finitela!» Ma è tutto inutile.
La rabbia, la frustrazione e il dolore di un’intera comunità per la fine della destra postfascista italiana stanno trovando un perfetto parafulmine, un ideale capro espiatorio su cui avventarsi e sfogarsi. Intanto Fini, con un certo coraggio, cerca di non mostrarsi intimidito da quel che gli sta accadendo intorno e guadagna, tra urla, fischi e invettive, la prima fila di panche. Ma la bolgia non cessa. E monsignor D’Ercole non sa più cosa fare. Non gli era mai capitata una cosa del genere.

La preghiera di Isabella, il presente di Bruno

A quel punto Isabella Rauti (figlia minore di Pino, a sua volta ex militante del Fronte della Gioventù negli anni Settanta e Ottanta, moglie di Gianni Alemanno) decide di intervenire. Sale sull’altare e urla dal microfono: «Vi prego, vorrei poter celebrare i funerali di mio padre insieme a voi. Vi prego. Altri i momenti per le discussioni. Siamo in chiesa. Di questo discorso ne riparleremo, ma adesso, vi prego, vi prego. Vorrei celebrare i funerali di mio padre con voi. Vi prego». E solo a quel punto la gazzarra finisce, lasciando il posto a un applauso liberatorio.
Alla fine della cerimonia (Fini, su consiglio delle autorità di polizia, ha lasciato da tempo la chiesa, uscendo da una porta laterale) il rituale appello del caduto «Camerata Pino Rauti» verrà urlato, come sempre, dal solito Bruno Di Luia, avanguardista nazionale della prima ora ed ex stuntman. E come sempre, in migliaia, risponderanno per tre volte «Presente», irrigiditi nel saluto romano. Ma quello che è successo un’ora prima lascerà il segno. Eccome se lo lascerà. 

La fine dell’unità politica dei neofascisti

Alleanza Nazionale, il partito nato dallo scioglimento del Movimento Sociale Italiano, da quasi quattro anni non c’è più: nel frattempo è confluita nel Popolo della Libertà insieme a Forza Italia (all’ultimo congresso di An, in cui era stato deciso lo scioglimento del partito dei «postfascisti», il voto favorevole era stato unanime, con la sola eccezione del triestino Roberto Menia) e due anni dopo Fini, seguito da quaranta parlamentari, ha dato vita a una scissione, in polemica con la leadership di Silvio Berlusconi, fondando Futuro e Libertà per l’Italia.
A quel punto, gli ex esponenti prima del Msi e poi di An si sono ritrovati divisi e dispersi tra La Destra di Storace e Buontempo, il Pdl e Futuro e Libertà. La fine dell’unità politica dei postfascisti. E poi le polemiche sulla casa di Montecarlo (un appartamento lasciato in eredità ad Alleanza Nazionale dalla contessa Colleoni, fervente militante, e risultato, dopo qualche anno, acquistato da una società che faceva capo a Giancarlo Tulliani, cognato di Fini), quelle sulla fecondazione assistita e l’immigrazione. Ma prima ancora, sopra ogni cosa, la frase pronunciata da Fini (o meglio, attribuitagli per semplificazione giornalistica, come abbiamo visto) sul fascismo «male assoluto». Ma mai smentita chiaramente dall’interessato. E ora all’ex delfino di Giorgio Almirante la comunità degli eredi del Duce sta presentando il conto. E lo fa nel modo e nel luogo che da settant’anni caratterizzano il neofascismo italiano: a un funerale.

Il ruolo centrale dei funerali nella fascisteria

Se sei anni prima, alle esequie di Peppe Dimitri, all’interno di un rituale solenne, mitologico e condiviso da tutti i presenti, si erano ritrovati per la prima e unica volta tutti i rappresentanti dei mille neofascismi italiani, in una sorta di omaggio a se stessi, stavolta la rabbia, gli insulti e la tentata aggressione a Fini rappresentano la vendetta, la resa dei conti verso colui che agli occhi dei presenti è visto come il principale responsabile della fine del neo e postfascismo italiano.
Nel neofascismo, come abbiamo visto, i momenti storicamente ritenuti importanti sono sempre stati contrassegnati dai funerali. Dei veri e propri congressi o omaggi o regolamenti di conti.
I funerali del maresciallo Graziani e, ancor più, quelli del principe Borghese a Santa Maria Maggiore, vissuti come tributo alla generazione che aveva combattuto a Salò, salvando l’onore dell’Italia. Le esequie di Arturo Michelini avevano rappresentato l’ultima autocelebrazione del neofascismo nostalgico e mussoliniano. Gli oceanici funerali a piazza Navona di Almirante e Romualdi avevano mostrato a tutta l’Italia l’esistenza di un mondo, di una comunità che fino a quel momento tutti o quasi si erano ostinati a non vedere, a disconoscere. Dell’ultimo saluto a Peppe Dimitri abbiamo già abbondantemente scritto. E ora i funerali di Pino Rauti come resa dei conti contro il «traditore» Fini.

Quel legame tra neofascismo e morte

C’è sempre stato un legame profondo e indissolubile tra il fascismo, ma ancor più il neofascismo, e la morte.
Ben individuati, del resto, sia dal germanista e sociologo Furio Jesi, che ha parlato esplicitamente di «simbologia funeraria» e di una vera e propria «religio mortis» del neofascismo, sia da Umberto Eco che più volte, nei suoi scritti, è tornato a individuare nel «culto della morte» una delle principali caratteristiche di quello che definisce «Urfascismo», ovvero il «fascismo eterno». Ma torniamo a quel 5 novembre 2012 e alle contestazioni di Fini.
Il diretto interessato non dirà una parola su quella vicenda. Ma esattamente un anno dopo, nel suo libro Il ventennio. Io, Berlusconi e la destra tradita (Rizzoli), ci tornerà, togliendosi qualche sassolino dalle scarpe. E chiarendo, una volta per tutte, che lui con il neofascismo non ha più niente, anzi, non ha mai avuto niente a che fare.
FONTE. La Trilogia della Celtica/Nicola Rao

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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