Giovedì nero, Ferrari, la foto di Ramelli e la verità di Murelli

Sul blog Fascinazione, animato da Ugo Maria Tassinari, amico di Stefano delle Chiaie e Mario Merlino (più di una le iniziative insieme), posta perentoriamente riguardo alle vicende 12 aprile 1973 che la foto di Sergio Ramelli, ritratto vicino a Maurizio Murelli nell’atto del lancio della prima bomba in piazza Tricolore (pubblicata mesi fa dall’Osservatorio democratico sulle nuove destre e ora nel libro «12 aprile 1973. Il Giovedì nero di Milano»), sia «manifestamente fallace». Domanda: su che basi sarebbe «fallace»? Il sottoscritto dopo aver “scoperto” la foto su «Lotta continua» del 18 aprile 1973 è riuscito a recuperare gli scatti originali (più di uno, non sgranati) dove il volto di Ramelli, anche sottoposto alla visione di altri, è assolutamente identico alle sue foto dell’epoca. Essere amici dei fascisti non significa mancare dell’obiettività minima.  […]
Oltre a ciò, sempre nel post, si parla dell’uccisione dell’agente Antonio Marino «per sbaglio». Dato che i fascisti quel giorno, come accertato anche in sede giudiziaria, spararono più colpi di pistola, lanciarono tre bombe a mano all’indirizzo delle forze dell’ordine e ne portarono in corteo (secondo testimonianze di fonte fascista) almeno venti (una per altro fu trovata tre giorni dopo in un prato di viale Molise), di che “sbaglio” si tratterebbe?
Riciclare, infine, le frottole di Maurizio Murelli è indice di poca serietà. Come scritto nel libro: «Rimane inaccettabile, a distanza di tanti anni dal 12 aprile 1973, la versione postuma che Maurizio Murelli ha inteso rilasciare in interviste e testimonianze anche televisive, riguardo la morte di Antonio Marino. “Lanciammo veramente di tutto contro la Celere. Loro hanno le mani alzate con gli scudi a proteggerli”, disse in una di queste [la stessa riportata da Tassinari Ndr], sostenendo che “evidentemente la bomba è arrivata a parabola proprio sul petto del povero agente Marino che forse per una reazione istintiva l’ha stretta a sé, e probabilmente ha fatto contatto con le munizioni che aveva nel tascapane”. Per chi ha subito un processo, durato anni, con tanto di perizie balistiche e autopsia della vittima, far finta di non sapere (come ricostruito nel capitolo 6) che Antonio Marino non aveva alcuno scudo alzato ma solo il moschetto 91 in mano, che la bomba è esplosa sul suo petto senza che la “stringesse” a sé e senza contatto con altro, lascia per lo meno allibiti».

Così, qualche giorno fa, Saverio Ferrari sul suo blog “Osservatorio sulle nuove destre”. Qualche obiezione specifica e poi una di fondo:
1. Il riconoscimento fotografico: “il volto di Ramelli, anche sottoposto alla visione di altri, è assolutamente identico alle sue foto dell’epoca”. Io, a differenza di Ferrari, non ho mai visto di persona o in fotografia Sergio Ramelli, se non nella sua immagine più nota. E non ravviso questa somiglianza così evidente. Del resto, io non ho difficoltà a riconoscere (l’ho fatto decine di volte) gli errori. L’unico dubbio che mi resta è perché, essendo la discussione di qualche mese fa, Ferrari non abbia pubblicato nel libro, insieme agli scatti recuperati (cosa meritoria, ribadisco) le sue foto d’epoca che certificano il riconoscimento? Quanto ai riconoscimenti fotografici, più in generale, vicende recentissime invitano comunque a una maggiore prudenza. Come dimenticare, in tempi di software di analisi facciale raffinatissimi, la gaffe clamorosa della polizia belga sul terzo uomo della strage dell’aeroporto, con un duplice clamoroso errore. Prima identificare nel giovane con il cappello un freelance ben noto per il suo impegno per i diritti degli immigrati e poi faticare a riconoscere il volto altrettanto noto di uno dei superricercati della cellula stragista?
2. L’omicidio per sbaglio: in presenza di una “volontà omicida” è del tutto evidente che lo strumento più efficace tra una pistola e una granata da esercitazione è la prima. I fascisti quel giorno in piazza spararono pure ma l’unico ferito grave (un colpo al fegato) fu un ragazzino di 14 anni. Un tentato omicidio, sul piano giuridico ma non credo che volessero ucciderlo. Quando parlo di “sbaglio” alludo alle intenzioni soggettive dei responsabili e non alle categorie penali, in cui la scelta del mezzo idoneo ha un peso rilevante. E quindi anche se entrambe le sentenze definitive parlano di omicidio volontario, io resto convinto che Loi e Murelli non volessero uccidere un poliziotto così come i militanti del servizio d’ordine d’Avanguardia operaia non fossero andati ad ammazzare Ramelli.

alterugo
3. La testimonianza di Murelli: qualche giorno fa ho pubblicato su questo blog (e non su Fascinazione, come erroneamente affermato da Ferrari) una testimonianza di Cerullo sul 12 aprile che racconta di uno scontro a Roma tra vertici del Fronte della Gioventù e Almirante sull’opportunità di andare agli scontri di piazza. Ho inserito nel post la videotestimonianza di Murelli per la parte che riguarda appunto la determinazione dei sanbabilini sulla necessità di sfidare il divieto. Ammetto sinceramente di non aver studiato gli atti processuali del giovedì nero ma soltanto qualche decina di libri che ricostruiscono la vicenda in modo sostanzialmente omogeneo (dati, cause e pretesto) e al tempo stesso posso produrre decine di episodi di evidente conflitto tra verità processuali acquisite e sincerità dei testimoni e dei protagonisti degli stessi eventi. In questo caso posso rassicurare Ferrari su quello che realmente mi interessava della testimonianza di Murelli.
4. La questione di fondo: per quel che mi riguarda, e l’avevo scritto chiaramente nella prima puntata della polemica, a me interessa assai poco se Sergio Ramelli abbia partecipato o meno agli scontri del giovedì nero. Poteva esserci (e se c’era con ogni probabilità era insieme ai militanti del Fronte della Gioventù e non in mezzo agli avanguardisti, gente addestrata a stare in piazza in modo organizzato e a ranghi compatti) come poteva non esserci. Nulla toglie o mette alla sua tragedia. Quello che mi interessava dello scoop autentico di Ferrari, la foto che coglie l’attimo in cui Murelli lancia la prima bomba a mano, è che, mostrando decine di persona in fuga in senso opposto alla direzione di lancio dell’ordigno, confermava la testimonianza resa da Murelli a Nicola Rao sull’uso difensivo del tipo di SCRM lanciate quel giorno in piazza. Una versione che, nella mia ignoranza di tecnica militare (nel vecchio pezzo parlavo infatti di SRCM: non conoscevo bene neanche l’acronimo…)  mi aveva lasciato perplesso e che invece proprio Ferrari ha dimostrato veritiera: Murelli lancia la granata per fermare la carica della polizia. E per me è quanto basta …

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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