Giuseppe Taliercio il 5 luglio 1981 è ucciso dalle Br

giuseppe taliercio

Il 20 maggio 1981 la colonna veneta delle Brigate Rosse sequestra il direttore della Montedison, Giuseppe Taliercio.  E’ il secondo dei quattro sequestri (segue quello di Ciro Cirillo a Napoli, precede quelli di Renzo Sandrucci a Milano e Roberto Peci a San Benedetto del Tronto). Una campagna di primavera che sembra esprimere il rilancio delle Brigate rosse dopo l’orribile 1980. L’anno con il pentimento di Peci, la strage di via Fracchia, lo smantellamento della colonna torinese, i duri colpi subiti. Sarà invece un tramonto fragoroso. Perché alla formalizzazione della scissione della Walter Alasia seguirà a settembre la scissione dei “senzaniani”. La colonna napoletana e il Fronte carceri, protagonisti dei due sequestri, daranno vita al partito guerriglia.

Il sequestro di Giuseppe Taliercio

All’ ora di pranzo, un uomo travestito da finanziere, accompagnato da altri tre in borghese, suona alla porta di Giuseppe Taliercio. Mostra un (falso) ordine di perquisizione. Con questo stratagemma i quattro penetrano nell’ abitazione. Il commando è formato da Antonio Savasta, dal romano Pietro Vanzi, dal friuliano Gianni Francescutti e dal genovese Francesco Lo Bianco. Taliercio è incatenato, nascosto all’ interno di un baule e trasportato in auto fino a Tarcento, un paesino in provincia di Udine. La moglie Gabriella e due figli sono legati ed imbavagliati.

A ricostruire il sequestro e la sua tragica fine è Savasta. Il leader della colonna veneta sarà l’autore materiale dell’omicidio. E’ membro dell’esecutivo nazionale con Barbara Balzerani e Luigi Novelli. Si pentirà dopo le torture subite in seguito all’arresto come carceriere del generale Dozier.

Parla Savasta

“Il sequestro Taliercio – racconta al processo Savasta – doveva servire a ricomporre le spaccature interne alle Brigate rosse. La direzione strategica aveva insistito per questa azione cercando di trasformarla in una campagna esemplare. Volevamo imporre la linea anche a quelli, come i napoletani e i milanesi, che avevano espresso il dissenso dalla direzione centrale.  I militanti della colonna, appena saputo che il comitato esecutivo aveva deciso di uccidere il direttore del Petrolchimico, volevano fuggire lasciando le Br. A quel punto ho dovuto imporre il mio ruolo di capo per non rimanere da solo”.

“Il direttore del Petrolchimico – precisa il pentito – è stato tenuto sotto la stessa tenda in cui abbiamo messo il generale James Lee Dozier, incatenato ad un braccio”. E’ sottoposto a lunghi interrogatori da parte dello stesso Savasta e di Francescutti, che si presentano sempre incappucciati”.

L’uccisione

La morte è decisa il 3 luglio. Sarebbe stato liberato solo se la Montedison avesse ritirato la cassa integrazione al Petrolchimico. “Era l’ ora di pranzo, gli facemmo indossare i vestiti che aveva quando lo portammo via di casa sua”, racconta Savasta. “Quindi lo facemmo entrare in piedi in un cassone, come si trattasse di un trasferimento”. A quel punto Savasta scarica l’intero caricatore della sua pistola, munita di silenziatore. Poi altri con una seconda arma perché dava ancora segni di vita. Il medico legale conterà sedici pallottole. Il corpo è abbandonato proprio di fronte alla fabbrica in cui Taliercio lavorava.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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