Il governo Dini e il tarlo della demonizzazione

[Una lunga intervista a Oreste Scalzone per il settimanale francese Maintenant, dedicata al governo Dini e alla subalternità politica della sinistra riformista. Molti elementi specifici sono perfettamente ricalcabili (e le riflessioni e i giudizi ripetibili) sulla vicenda del governo Monti …]

DiniDovevamo vedere anche questo in Italia: un governo di tecnici (e che tecnici: un generale alla Difesa, magistrati agli Interni e alla Giustizia...) impone tasse a raffica per risanare i conti pubblici, aumenta la benzina, le sigarette, l'IVA sui beni di consumo, telefoni ed elettricità, per un costo maggiore che supera il milione all'anno per ogni famiglia. A opporsi a questa manovra economica lo schieramento della destra dalle cui fila proviene il presidente del Consiglio, Lamberto Dini, già direttore generale della Banca d'Italia e, isolati all'opposizione e divisi, i comunisti, che con una vecchia formula esorcistica vengono accusati di fare il gioco della destra'.
Oreste Scalzone, il fondatore di Potere Operaio che vive da quattordici anni a Parigi per sottrarsi a una condanna per banda armata per il suo ruolo di leader nell'area dell'Autonomia operaia è fortemente polemico con la sinistra.
E quale sinistra: questa mi sembra, sempre più, la sinistra del gran capitale. I maggiori quotidiani - di proprietà dei magnati - si sono scatenati contro l'inaudito ardire del gruppo dirigente di Rifondazione comunista, che in realtà non ha mai brillato per estremismo e che si è semplicemente opposto a una colossale operazione di rimozione e mistificazione:  tre mesi prima - per molto meno - due milioni di lavoratori e di pensionati erano venuti a Roma per la più grande manifestazione di massa degli ultimi 50 anni in Italia, portando cartelli e striscioni nei quali la proposta più affettuosa per Dini era l'impiccagione. Ora non si può pensare che i lavoratori abbiano rinunciato a sentire il rumore dei loro stomaci solo perché l'odiato Berlusconi non è più presidente del Consiglio, sostituito dal suo ministro del Tesoro alla testa del governo.

Un incredibile giro di valzer, quindi?
No, per capire l'apparente svolta credo che occorra partire proprio dalla figura dell'attuale presidente del Consiglio. Ricordando bene chi è, cosa pensa, qual'è la sua storia.  Grand comis, thatcheriano di ferro per funzione e per convinzione, Dini è stato il massimo rappresentante italiano al Fondo Monetario Internazionale negli anni Ottanta, quando sull'onda politica del reaganismo trionfante, i monetaristi prendono tutte le leve di comando e scatenano l'attacco frontale su scala planetaria al welfare state e alle politiche di sostegno allo sviluppo. La moglie di Dini è una delle più grandi capitaliste del Costarica  e così il banchiere italiano è due volte bene accettato nei circoli dell'alta finanza e del governo bancario mondiale. Al ritorno in Italia Dini è nominato direttore generale della Banca d'Italia, ma quando il governatore Ciampi viene designato presidente del Consiglio, al culmine di un'altra gravissima crisi politico-istituzionale (la decimazione dell'intero ceto politico nel quadro di quella che hanno voluto chiamare la rivoluzione italiana) al numero due della Banca di Stato è negata la attesa promozione al vertice, per le sue posizioni considerate troppo estremiste. Così la vittoria elettorale del centro-destra è l'occasione per la sua grande rivincita.

Una vittoria che porta forte il segno della presenza dei neofascisti che vanno al governo...
Non condivido assolutamente la logica demonizzante e manichea di chi ha voluto sistematicamente contrapporre una sinistra 'bbuona' e una destra 'no bbuona'. Berlusconi, ricordiamolo anche questo:un palazzinaro che ha costruito le sue fortune negli anni 70 grazie ai crediti agevolati di molte banche e l'amicizia con Craxi e ha poi inventato la tv commerciale in Italia approfittando di una totale assenza di regole, dopo la bancarotta dei suoi amici politici decide di scendere direttamente in campo, per impedire la vittoria elettorale annunciata dello schieramento progressista, mortale per i suoi interessi. Opportunamente miscelando populismo paternalistico, tecniche di marketing elettorale e un assoluto predominio nel campo della comunicazione di massa, è lui a portare al trionfo il composito fronte elettorale messo su in quindici giorni, tenendo incollati con lo sputo gli ultranazionalisti del MSI e i federalisti della Lega Nord che solo la totale idiozia dei progressisti ha regalato al fronte avverso, i forcaioli alla Ignazio La Russa, che girano a braccetto con i giudici di Mani pulite e i garantisti alla Tiziana Majolo, l'unica deputata che nella precedente legislatura ha fatto battaglia per l'amnistia ai prigionieri politici.

Per aver espresso qualche anno fa interesse per le dinamiche e i temi espressi dalla Lega, lei era stato crocifisso come neo-leghista.
Quella della Lega è soltanto una delle tante previsioni creatrici che potrei rivendicare. Temo purtroppo che si sia trattato semplicemente di una questione di capacità di analisi e della comprensione dell'irresistibile pulsione del gruppo dirigente della sinistra italiana a scegliere sistematicamente il peggio. Sarebbe troppo facile elencare tutte le cantonate prese dal Pds e satelliti, da Orlando a Segni, da Di Pietro a Buttiglione. Ma non mi piace fare il maramaldo: e capisco l'imbarazzo di chi nell'autunno '93 chiamava alle armi contro il pericolo pubblico Formentini e ora se lo vede presentare come ambasciatore della Lega a sinistra.

E quindi anche Berlusconi è un mostro prodotto dalla catastrofe mentale e politica dei progressisti? 
No, ma non doveva essere costruito come il nemico principale. Berlusconi è senza dubbio un parvenu nei salotti buoni della finanza italiana. Per conquistare la simpatia di Giovanni Agnelli è giunto a confidare a un giornalista che l'ha eletto a suo nume, al punto che dorme con la sua foto sul comodino. Così, quando nello scorso mese di settembre gli esponenti del grande capitale transnazionale (che sono ... progressisti) in una cena nella residenza romana del signor Fiat sotto le mura del Quirinale gli chiedono una politica finanziaria di rigore il presidente del Consiglio - che preferirebbe piacere a tutti: e infatti in campagna elettorale aveva promesso contemporaneamente un milione di posti di lavoro in più e nessun aumento delle tasse - si è piegato ai desideri di Lor Signori dando via libera a Dini, che è ben felice di coprire il ruolo di cane da guardia dei conti pubblici.

Ma il movimento contro la riforma delle pensioni proposta da Dini fu generale e spontanea
Sì, certo, la mobilitazione popolare fu forte ma mai i sindacati sono giunti a proclamare tre scioperi generali in meno di due mesi. E così la martellante campagna della intellighentija, in un clima da lotta di liberazione. Sindacalisti che senza ritegno avevano firmato un accordo sul costo del lavoro che pretendeva di abolire il conflitto in fabbrica sono giunti a parlare senza pudore di iniquità classista del provvedimento. Intellettuali che erano rimasti assolutamente indifferenti quando la riforma sanitaria  De Lorenzo aveva mandato a morte certa centinaia di anziani con un drastico taglio dell'assistenza, riscoprono le facili corde sentimentali dell'impegno e della solidarietà.
L'esplosione del conflitto trascina con sé anche la ripresa dei movimenti di lotta nelle scuole e nelle Università. Con un tocco di sana goliardia: Berlusconi fa rima con coglioni, Dini con l'espressione di più largo uso per sesso orale. Nessuno per˜ ricorda che quell'aumento delle tasse è stato voluto dal governo Ciampi, che godeva della benevola astensione delle sinistre e dell'appassionato sostegno della Voce del Padrone, Eugenio Scalfari, gran consigliori dei progressisti. E Berlusconi negozia. Il Manifesto che è stato tra le punte di diamante della mobilitazione liquida Berlusconi: è un buono a nulla. Per noi operaisti quando il padrone piange l'operaio ride. E poco importa se si parli di operaio sociale, 'general intellect', di composizione e costituzione materiale della classe, di forma del lavoro, delle merci, dell'estrazione di plusvalore. Per i redattori  del quotidiano comunista, invece, trionfa ancora una volta la logica dell'interesse generale, del tormentone interclassista del siamo tutti sulla stessa barca. Quella logica che li spinge spudoratamente a invitare Rifondazione comunista a baciare il rospo a votare cioè la fiducia a Dini, ma neanche un incantesimo da fiaba può trasformare il banchiere in un amico del popolo.

Eppure la maggioranza che sostiene Dini è indubitabilmente una maggioranza di centro-sinistra. 
E altrettanto indubitabilmente la composizione del governo, il suo programma, il suo stile di lavoro nulla hanno a che vedere con il sia pur più modesto e slavato riformismo. La vicenda è nota: di fronte alla defezione di una consistente componente parlamentare della Lega (tutti eletti con i voti del centro-destra...) Scalfaro deve rinunciare al cambio di maggioranza e  per ottenere il consenso del centro-destra designa alla presidenza del Consiglio il ministro meno sospettabile di intese sottobanco con la sinistra. Il suo compito principale è rassicurare la grande finanza mondiale e rafforzare con una politica di tagli della spesa pubblica la nostra moneta sui mercati internazionali: un programma di 'destra', checché vogliano credere e far credere i progressisti.
L'ex maggioranza, decisa comunque ad ottenere lo scioglimento delle Camere al più presto, concede al nuovo governo l'astensione. L'unica forza di opposizione, nonostante le formidabili pressioni ricevute, resta così Rifondazione comunista. Quando è varata la manovra economica - pesantissima - non c'è un solo sciopero spontaneo: senza pudore il Pds e i suoi satelliti, le frattaglie di sopravvissuti dei partitini di centro sinistra (dai Verdi alla Rete, dai socialisti ad Alleanza democratica) applaudono.
In questa scelta si manifesta nella sua forma più pura e al tempo stesso paradossale l'esito catastrofico di una pluridecennale traiettoria del maggiore partito della sinistra italiana. Della antica matrice togliattiana ha conservato in memoria genetica la controrivoluzionarietà staliniana e catto-stalinoide e il culto del nazional-popolare ma ha perso il classismo tradeunionista delle socialdemocrazie occidentali.
Un esempio al margine dell'iter parlamentare della manovra: sarà un'imprevedibile confluenza tra centro e destra a tentare di far passare una forma di tassazione indiretta sulle imprese. I progressisti votano invece contro il provvedimento che chiede alle aziende che hanno fatto ricorso alla cassa integrazione guadagni di risarcire il Tesoro se grazie all'intervento statale hanno chiuso il bilancio con un utile. Un colpo durissimo ai giochi di prestigio della Fiat che per anni ha combinato, in funzione dell'andamento del mercato, periodi di cassa integrazione e uso selvaggio dello straordinario.

Una sinistra del capitale, quindi...
 A scomparire non è soltanto la più elementare logica di contrapposizione agli interessi del grande capitale: in questo neostalinismo senza fini nè fondamenti viene cancellato anche ogni rapporto con l'immaginario collettivo e la memoria di quello che si chiamava qualche lustro fa il Movimento Operaio Internazionale. Scompaiono quindi i legami con le grandi mitologie dello schieramento geopolitico sovietico, il sostegno alle lotte di liberazione nazionale nel Terzo Mondo anche quando queste si caratterizzavano nella forma dell'espansionismo militare grande russo. 
Quello che resta è quindi poca, e al tempo stesso, terribile cosa: lo stalinismo giudiziario, la faziosità di chi pretende che la propria parte esprima un'etica universale e invece è separata non solo da fini di critica radicale e di trasformazione sociale sovversiva ma addirittura dalla rappresentanza di interessi diversi e dall'indipendenza dei propri enunciati. Negli ultimi cinque anni, infatti, le truppe cammellate del PDS hanno finito per fare da ascari alla peggiore canaglia reazionaria, dall'ultraconservatore Mariotto Segni, figlio di un presidente della Repubblica, che era stato sospettato di aver tramato con i generali golpisti al Torquemada Leoluca Orlando, un epigono dei gesuiti, teorico della cultura del sospetto. Del tutto abbagliato dalla cometa del partito dei magistrati, illuso di instaurare una via giudiziaria al governo, essendosi svuotato di qualsiasi discorso di contenuti che non fosse la pura logica dello schieramento, il Pds ha così portato alla disfatta elettorale lo schieramento progressista e continua nella sua vertigine di perdizione assoluta. Al peggio non c'è mai fine: come ci può essere l'ancor peggio del nazismo, così c'è l'ancor peggio della controrivoluzione kautskiana-stalinista. Un post-stalinismo occhiutamente poliziesco, paranoico, mafioso che non esita a giocare col fuoco, all'istigazione alla rivolta armata (di chi sarebbe stata la colpa se qualche giovanotto sprovveduto avesse messo in pratica le lezioni dei tanti cattivi maestri dell'intellighentsjia di sinistra sulla illegittimità del governo Berlusconi, quando il presidente del Consiglio ancora godeva di un ampia maggioranza parlamentare, dopo un non contestato successo in regolare elezioni?). Un qualsiasi fesso di assistente di diritto costituzionale sa che - dall'Olanda del '500, ai gesuiti ai padri della Rivoluzione americana - tutto il pensiero politico borghese classico è ricco di riferimenti al dovere alla ribellione contro il potere illegittimo.

E dopo essersi illusi per qualche mese di risolvere la partita con Berlusconi per via giudiziaria ora rischiano di trovarsi come leader del centro destra proprio Antonio Di Pietro
In questo caso l'ottusità si combina perfidamente alla protervia. Questa banda partigiana - quella del Pds e dell'ex partito degli onesti - non ha esitato ha criminalizzare ferocemente chiunque si permettesse di mettere in discussione la santità dei magistrati per poi scatenarsi in un fuoco di sbarramento quando nel mirino del procuratore di turno è finita la giunta napoletana guidata dal sindaco Bassolino per una colossale truffa dell'Azienda comunale di trasporto. E poco importa che il procuratore sia stato quel Cordova assai ben voluto dalla stampa progressista quando le sue indagini le indirizzava contro la massoneria e i poteri occulti (e che il gip abbia prontamente prosciolto gli uomini di Bassolino). Quando il presidente Cossiga si era permesso di ricordare che molti dei fondatori dello Stato nazionale erano stati massoni e che non si poteva ridurre la vicenda del movimento dei liberi muratori a quella di un'associazione a delinquere, l'intellighentsjia di sinistra si schierò come un solo uomo, a difesa del suo impavido eroe, il procuratore Cordova. Prontamente lapidato in un appello, sottoscritto da centinaia di intellettuali, il giorno dopo che si era permesso di sospendere il consiglio di amministrazione dell'azienda di trasporti che incassava centinaia di miliardi di rimborsi regionali per chilometri mai percorsi dai suoi autobus.
Se funziona ancora la logica del terzo escluso c'è poco da fare: o - se era vero un decimo di quello che due mesi fa urlavano nelle piazze - oggi sono degli infami sul piano sociale o - se è vero quello che dicono adesso della manovra-Dini - tre mesi fa erano dei faziosi, degli istigatori a delinquere senza neanche avere il coraggio civile di trarre le più elementari conseguenze dei loro enunciati terroristici. 

E' paradossale che proprio lei, che è fuggito dall'Italia per non rispondere di reati contro la personalità dello Stato, lanci queste accuse.
Alla mia parte è stato attribuita l'imperdonabile colpa di aver contestato, in un regime democratico, il monopolio della violenza legittima dello Stato. Qui e ora, invece, si trasporta la logica del Tecoppa (Vil marrano, se ti muovi non ti posso colpire) sul terreno della competizione elettorale e poi si nega legittimità a un governo che è espressione della maggioranza del popolo sovrano. Sento tanto parlare di regole e di liberaldemocrazia. Vogliamo provare allora ad applicare al conflitto politico le regole della moderna epistemologia - la simmetria, la reciprocità - per come le ha codificate Popper? Qualcuno mi sa dire cosa sarebbe successo se al posto della show della signora Pivetti al congresso della Lega, il protagonista - con analoghe invettive contro i parlamentari e una parte politica che pur alla sua carica l'ha designato - in un congresso di Forza Italia fosse stato il presidente del Senato Scognamiglio? La Repubblica si sarebbe contentata di una leggera tirata di orecchie e di una moderata presa di distanze o, partigianamente, si sarebbe scatenata in una forsennata denuncia dell'attentato alla Costituzione?
Le categorie schmittiane di amico e nemico erano fondanti del nostro agire - e ce ne siamo assunti tutte le responsabilità, politiche, giuridiche e morali - sapevamo di essere una parte del conflitto, pretendevamo di esprimere l'interesse di una classe. Non avevamo velleità universalistiche, come gli epigoni della controrivoluzione staliniana. I quali, confermando il nostro rifiuto della logica binaria riescono ad essere al tempo stesso faziosi e infami. Perché questo è il loro DNA: terrore, dispotismo, illiberalismo e al tempo stesso subalternità, internità, iscrizione come variante omologica, mimetica e peggiorata del capitalismo.

I progressisti sarebbero quindi poco più che dei servi sciocchi di Dini.
Per partito preso siamo contro le letture criptologiche. Eppure il caso Dini autorizza a pensare che il gran capitale voleva una manovra più dura e più garantita, un uomo e un'equipe direttamente suoi, della Banca Mondiale, del FMI, del G7 e diffidava dei corsari alla Berlusconi. Così hanno dato il via al sabba, maestro di danze il Citizen Kane- Scalfari e hanno strategicamente manipolato, come in un disegno di Escgher dove il pesce grande mangia il pesce piccolo che mangia il più piccolo, il complesso pluriverso delle sinistre, via Pds, Manifesto fino a un sociale mai così costruito dall'alto, per via massmediatica. Fino ai centri sociali con Khefia, che a settembre scatenavano la guerriglia urbana a Milano in difesa del Leoncavallo, contro quello stronzo di Formentini... In cambio una nomenklatura strategicamente subalterna ha avuto una spinta dalle masse per ridisegnare i propri poteri e le proprie vanità.
Il codice di guerra prevede per i traditori la fucilazione alle spalle: in tempo di realtà virtuale ci contenteremo di farli mimare il destino degli uomini della Securitate, in fuga dalle fogne. L'impunità e l'impudenza di questi signori autorizza comunque a pensare al peggio. Se a questo punto dovessero riuscire ancora una volta a cavarsela facendo volare gli stracci, beh, allora toccherà ammettere a denti stretti che la catastrofe antropologica, la desertificazione dell'umano è già avvenuta. Stiano comunque attenti: non saremo più disponibile a qualsiasi livello di complicità. E alla prossima volta che li dovessimo scoprire a soffiare - per futili motivi - sul fuoco della rivolta giovanile o popolare per poi rivoltare la gabbana, la nostra denuncia contro i cattivi maestri sarà implacabile.

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