Il presidente De Filippo e Spinosa: un approccio di “destra”

[Una replica a un intervento caustico di Paride Leporace sui riferimenti filosofici del presidente De Filippo. Un intervento ‘colto’ pubblicato due o tre anni fa dal Quotidiano di Basilicata]

spinozaIl presidente De Filippo tra Spinoza e Negri? Avendo avuto qualche frequentazione con due dei tre soggetti della triade (non dialettica) provocatoriamente evocata dal direttore Leporace nel suo caustico commento di ieri, mi sento stimolato a intervenire. E quindi chiedo la parola. Usando il Quotidiano come Agorà. Per sviluppare qualche riflessione ad alta voce e sollevare un quesito di pubblico interesse.

Negri arriva a Spinosa (e a Leopardi) nei tardi anni Ottanta, dopo la catastrofe del movimento insurrezionale che aveva infiammato l’Italia nel decennio rosso (1968-77) fino a degenerare nella precipitazione militarista degli anni di piombo. Su quell’onda lunga da tsunami che aveva scambiato il tramonto dell’era della produzione fordista nell’alba della nuova era della liberazione dal lavoro come obbligo della produzione del reddito, un ruolo significativo avevano avuto, con il professore padovano, gli altri due leader di Potere operaio, il “cosentino” Piperno e il ternano-napoletano Scalzone.

NegriAltri maestri della scuola operaista, già negli anni Settanta, da Tronti ad Asor Rosa a Cacciari, avevano derivato una diversa conclusione dalla stessa analisi: la teoria dell’autonomia del politico concludeva che se il movimento operaio storico è finito, allora il compito dell’intellettuale è di fungere da “consigliere del Principe”. Di questo compito molti protagonisti della ribellione degli anni Settanta si sono generosamente fatti carico. Se poi qualcuno ha ritenuto che questo onere si spingesse fino a convertirsi sulla strada di Arcore, beh, non è cosa che ci appassiona.

Ma se già alla fine degli anni Settanta Negri e i suoi sodali avevano ritenuto di chiudere i conti con il movimento operaio e le sue organizzazioni storiche, con più di dieci anni di anticipo sulla caduta del muro di Berlino, non altrettanto scontati erano gli esiti successivi. E infatti diverse sono le corde che i tre “cattivi maestri” hanno suonato: per Negri infatti – a cui la megalomania non ha mai fatto difetto – il passo successivo è il movimento delle moltitudini, capaci di mettere in discussione, fuori e contro la politica, il nuovo ordine mondiale. Per Piperno la dimensione di scala è localistica e comunitaria (e quindi il progetto della rete delle nuove municipalità e l’esperimento momentaneamente fallito a Cosenza) mentre per Scalzone – al di là del calore e della simpatia estesa a tutto il genere umano – pessimista oltre ogni misura, la modernità di Spinosa consiste proprio nella sua intuizione nella capacità della specie umana di persistere, in quella che Pasolini ha definito disperata vitalità, anche nell’attuale catastrofe dell’umano.

Se dunque assai differenti sono gli esiti, è comune ai tre la radicale critica della politica e la condivisa opinione che l’attuale ceto politico – unendo in questa burocratica definizione sociologica i diversi apparati – non ha nessuna capacità di governare la crisi.

vito_de_filippoE’ assolutamente evidente, trent’anni dopo, che tra le due scuole dell’operaismo italiano è quest’ultima che ha avuto, come dire, “ragione”. Ed è questa la sfida che paradossalmente interessa e coinvolge direttamente il presidente De Filippo: a questo livello di crisi del sistema di rappresentanza è adeguata risposta il coinvolgimento diretto del meglio del ceto politico in compiti di governo?

P.S: Giusto per la precisione: De Filippo ha approcciato Spinosa avendo come maestro un filosofo come Di Vona, che ha scritto – per i tipi delle frediane edizioni di Ar – eccellenti cose su Evola, il guru della destra radicale. Ma questo è solo un puntiglio filologico, che non c’entra niente con i temi suscitati da Leporace e da me discussi.

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