In morte di Gianfranco Faina. Una riflessione dei suoi compagni genovesi

Quarant’anni fa moriva di tumore Gianfranco Faina. Lo avevano mandato a casa dal carcere quando era evidente la sua condanna a morte. Dal Pci ai Quaderni rossi, da Ludd alla lotta armata seppe coniugare teoria e prassi scegliendo sempre il punto di vista della critica radicale (nel senso marxiano di grundlich, la vecchia talpa che scava fino alla radici). Il documento seguente è stato scritto per l’occasione e pubblicato dalla rivista Anarchismo, n. 35, aprile 1981

Questo intervento nasce dopo momenti lunghi e incerti di riflessione collettiva e non muove esclusivamente dalla mancanza di un nostro· compagno, ma piuttosto ritrova una sua necessità: parlare di Gianfranco Faina oggi vuol dire affrontare quei problemi interpersonali e di rapporta con l’esterno che sono propri del movimento antagonista. In un momento come questo, che ci pone .di fronte le contraddizioni che per anni abbiamo vissuto più o meno coscientemente, pensiamo sia opportuno riflettere sulla storia di Gianfranco, o quanto meno sull’evoluzione del suo discorso politico.

La rottura con il Pci

Il distacco di Gianfranco dal partita comunista avviene sulla base del riconoscimento dell’esigenza della classe operaia di trovare forme autonome di organizzazione che prescindano dal ruolo di mediazione sia del sindacato sia del partita inteso come avanguardia esterna alla classe. Non si tratta di costruire un nuovo partito rivoluzionario, un’alternativa di sinistra al PCI, ma di ricercare le condizioni affinché la classe operaia, negando se stessa in quanto classe, divenga antinomia reale del capitale. Questa ricerca spinge Gianfranco ad analizzare la figura e i comportamenti dell’operaio industriale degli anni ’60 e attraverso quest’analisi individuerà una nuova figura proletaria emergente: l’operaio massa delle grandi fabbriche del Nord, non specializzato, sottopagato e antagonista per condizioni di vita non solo al capitale ma allo stesso operaio industriale specializzato, intruppato nelle file del sindacato e del partita comunista.

La scoperta dell’operaio massa

Gianfranco scopre in questa nuova figura operaia una rabbia e una potenzialità rivoluzionaria che si esprimono durante le lotte degli anni ’60, in comportamenti e azioni che non mirano al perseguimento di miglioramenti, ma che di per sé alludono direttamente alla distruzione della fabbrica come tappa obbligata del progetto rivoluzionario. Riconoscere questi comportamenti come comportamenti rivoluzionari, quando tutte le organizzazioni storiche del movimento operaio si ponevano sulla strada della cogestiorte della produzione e miravano quindi alla difesa e all’aumento dei livelli produttivi, significa per Gianfranco superare la falsa antinomia della prassi rivoluzionaria tra legalità e illegalità.

Si va così a individuare nello stesso tempo un nuovo strato sociale che cresce sempre più numeroso ai margini della fabbrica: è la massa dei proletari sottoproletarizzati di fatto dalle stesse condizioni di vita. Si tratta quindi di evidenziare i legami di solidarietà che legano alcuni strati di sotto-proletariato illegale di fronte al processo di desolidarizzazione che cresce all’intemo della classe operaia industriale man mano che cresce il suo consenso verso lo Stato.

La nuova centralità del movimento sociale: Ludd

Nasce così l’analisi che centra la sua attenzione sul movimento sociale più che su quello produttivo, individuando nei rapporti sociali il terreno di scontro antagonista in cui si rivela maggiormente il processo di capitalizzazione dell’individuo singolo e collettivo. La capacità dell’individuo di ribellarsi ai rapporti sociali imposti dai capitale si configura come ribellione al lavoro, allo stato, alle sue regole e al capitale stesso. Ludd segna il definitivo distacco di Gianfranco dalla classe operaia che alla luce degli avvenimenti storici e delle esperienze passate risultava sempre più come la classe non rivoluzionaria in quanto tale. In Ludd infatti si privilegiano quegli aspetti soggettivi e sociali volti a negare quei valori fatti propri invece dalla «classe» e dalle cosiddette avanguardie rivoluzionarie.

Ideologie che tuttora fanno parte del patrimonio della demagogia e del capitale: la famiglia, l’organizzazione del capitale e del politico, la convivenza civile, i valori della morale, tanto quella borghese quanta quella di sinistra, la religione, il lavoro, la sessualità, i ruoli e, per ultimo, il politico in quanto tale – vale a dire la miseria e la banalità della vita quotidiana, che Ludd analizza e attacca, battendosi, ad esempio, per il caso Borghini, comprendendo le reali motivazioni che stavano in questo gesto. Cioè la negazione del rapporta subordinato e la rivendicazione del diritto a ribellarsi; e battendosi anche attraverso la provocazione degli opuscoli ironico-pornografici distribuiti davanti alle scuole per dissacrare quei pregiudizi sessuali che tanto venivano verbalmente superati ma che facevano e fanno parte integrante della morale di ognuno.

La difesa della XXII ottobre

Ludd significò, ancora, un nuovo modo di impostare il rapporta con il proletariato e con la fabbrica: la distruzione cioè della fab-brica stessa come unica liberazione possibile dalla schiavitù del lavoro. La difesa dei compagni della XXII ottobre si muove proprio nella conseguente analisi che intravvedeva in questa aggregazione non un gruppo di disperati delinquenti che tentavano invano di colorarsi politicamente, come pensava allora la maggior parte della sinistra extraparlamentare, ma un gruppo di proletari che affrontava concretamente e non delegava a nessuno il problema della propria liberazione e che proprio per questo il potere colpi cosi duramente.

Il filo rosso di Gianfranco

Abbiamo scelto di privilegiare questi contenuti del discorso politico di Gianfranco rispetto ad altri perché ci sembra che costituiscano il filo conduttore che ci permette di comprendere ed interpretare cio che differenzia l’esperienza teorico-pratica di Azione Rivoluzionaria da quella delle altre organizzazioni combattenti: dai documenti pubblicati appare abbastanza chiaro che a differenza di altre organizzazioni tutto non veniva ricondotto al puro scontro militare, che, anche fu praticato, non veniva considerato l’unica forma possibile di pratica antagonista, riconoscendo la legittimità rivoluzionaria di ogni situazione di esprimere i propri contenuti antagonisti con tempi e modi propri. C’è chi ha scritto sui giornali dopo la morte di Gianfranco che parlare di lui era diventato negli ultimi tempi per la sinistra rivoluzionaria scomodo tanta quanta lo era stato in passato e resta ancor oggi per il PCI.

Un testimone scomodo

Per il PCI Gianfranco rappresentava il testimone scomodo del passato, il compagno che non aveva accettato complicità e che poteva e sapeva leggere nel presente le complicità degli altri e in quanta tale andava eliminato sul piano della credibilità umana, professionale e politica. Ma Gianfranco è il testimone scomodo anche di tutti coloro, compagni o ex-compagni della sinistra rivoluzionaria che hanna scelto il lavoro, l’affermazione professionale, la famiglia, o che si sono rincantucciati alla meno peggio negli spazi praticabili di un’esistenza mediocre per paura, desiderio di potere, per delusione o semplicemente perché ad un certo momento i valori che credevano di voler portare avanti non facevano più per loro e tutte le case che avevano per tanto tempo e a gran voce disprezzato, contavano invece ancora qualcosa per loro. . . . .

E quindi oggi tutti questi signori scelgono il silenzio cosi come ieri, quando era più facile parlare sceglievano di risolvere le proprie contraddizioni e i propri compromessi personali e collettivi nella demonizzazione, spesso nella calunnia, di chi aveva tentato di superare la brutalità di quella famosa «realpolitik» che è sempre l’ultimo appiglio di chi accetta di mettere in gioco tutto tranne se stesso.

La coincidenza tra politico e umano

Non vogliamo con questo scrivere un’agiografia di Gianfranco, fare di lui un mito. Perché ridurlo a una dimensione eroica significherebbe liquidarlo ancora una volta. Ma se sentiamo l’esigenza di ricostruire le sue tappe politiche è perché queste hanno sempre coinciso con le sue tappe umane e segnano la continuità di uno sforzo rivoluzionario e il tentativo di andare avanti sempre e comunque. E chi ha seguito la storia politica e teorica di Gianfranco, prima e dopo, fuori e dentro il carcere, sa che questo sem-pre e comunque non voleva dire prescindere dalla complessità dell’esistente, il non volersi rendere conto o prendere atto, bensi il contrario e proprio dal prendere atto, a partire dal prendere atto, un tentativo di comprensione e insieme di attacco e superamento.

La storia della nostra sconfitta

Gianfranco e tanti altri come lui fanno parte quindi un po’ anche della storia della nostra sconfitta, la sconfitta di un movimento che pensava di fare la rivoluzione in 6 mesi – e questo è stato in fondo l’errore meno grave – ma soprattutto pensava di poter fare la rivoluzione senza che fosse necessario pagare troppo sul piano personale, che la rivoluzione non mettesse in gioco tutte quelle case che ci piacciono tanto, che non alterasse i rapporti personali e cosi via, anche se la rivoluzione si faceva, o almeno si diceva di fare, proprio per alterare totalmente tutto cio.

Gianfranco ovvero alla conquista del cielo

Ci sono stati e ci sono quelli che invece ci hanno creduto, ci hanno creduto troppo -forse dirà qualcuno – ed hanno attuato le scelte conseguenti, che hanno tentato l’impossibile proprio perché il possibile è già dato e non è quindi da conquistare e oggi sono scomodi a tutti, allo stato, ai partiti, ai partitini della sinistra extraparlamentare, ai cani sciolti e, vivi o morti, turbano il quieto vivere di chi in fonda ci credeva, ma si è accontentato, di chi si è ritagliato i propri spazi di sopravvivenza e se li vuole tenere stretti, anche se talvolta gli stanno troppo stretti. Quindi parlare di Gianfranco e di tutti gli altri diventa per noi il tentativo di parlare di quel sempre e ·comunque, di quella conquista del cielo che inizia già ad esistere prima che nella realtà oggettiva delle case, nei desideri e nella prassi di chi la concepisce come necessità.

Comitato per la difesa e la diffusione della pratica della libertà-Genova

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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