La fine del Leviatano

[Ho sempre avuto un'elevata autostima sulle mie qualità di deskista ma l'esperienza per me più bella è stata quella dell'estate del '91 quando per una fortunata catena di coincidenze, mi trovai responsabile della produzione del “Giornale di Napoli” nei giorni del fallito putsch di Mosca, perché a metà agosto erano in ferie sia il direttore Jannuzzi sia il redattore capo Novi, poi entrambi parlamentari forzitalioti. Con una piccola task force producemmo ogni giorno otto ottime pagine sugli eventi della controrivoluzione russa senza mai inserire in un titolo la parola comunismo. Di questo esercizio di stile ben riuscito finì per chiedermi conto Radio radicale, sdegnata in particolare per il cubitale titolo dopo il fallimento del putsch: Fascismo rosso, addio... Qualche anno dopo la battaglia della Casa Bianca, con l'alleanza tra ultimi stalinisti e antisemiti del Pamijat confermò la mia felice intuizione sull'anima rossobruna del putsch del '91]

Russia1991"Il più odioso crimine di Stalin - affermava Alfonso Leonetti - è quello di aver reso insopportabile per milioni di proletari il nome stesso di comunismo". Se ne intendeva Leonetti: era uno di quei comunisti che erano stati buttati fuori dal Pc alla fine degli anni Venti, all'epoca della svolta suicida del VI congresso dell'Internazionale. Il crollo di Wall Street sembrò allora evocare simbolicamente - per gli ottusi catastrofisti che erano alla testa del Comintern - il crollo dello stesso capitalismo. E così Stalin ordinò e i vari Togliatti eseguirono: bisognava rompere con i riformisti - i cosiddetti socialfascisti - e preparare la rivoluzione. Si spalancarono invece le porte all'ascesa al potere del nazismo. 
Una mostruosa eterogenesi dei fini. Alla quale ne seguì un'altra, ancor più tragica. Perché se il nazismo uccise migliaia di comunisti (e milioni di ebrei e di zingari e di civili in tutta Europa) la catastrofe del comunismo reale uccise il sogno stesso del millennio rosso, la speranza della liberazione sociale, il mito della fondazione dell'uomo nuovo.
E' stata veramente un'immane tragedia della storia: uomini che avevano deciso di dedicare la loro vita alla liberazione dell'umanità dalla schiavitù del lavoro salariato hanno in realtà messo mano alla più spaventosa macchina di oppressione, un Leviatano di miseria e terrore che grottescamente indossava la tuta blu.
In questi giorni a Mosca, nelle grandi città della Russia e delle repubbliche baltiche si sono consumati, dapprima in maniera drammatica, poi sempre più grottesca, gli ultimi rantoli del mostro.
La sua fine era annunciata, meno di due anni fa, dal crollo di un Muro ben più materiale di quello che dà il nome a Wall Street, il tempio stesso di quel sistema capitalista mondiale, che si sarebbe voluto liquidare.
Certo, i pallidi burocrati che hanno inscenato questo golpe da operetta nulla hanno della tragica grandezza della generazione di bolscevichi che consumò la parabola del fascismo rosso di Stalin.
Eppure in questa raffazzonata formazione di piccoli uomini dai colletti inamidati erano rappresentati tutti i poteri tradizionali dell'Impero sovietico: l'esercito, la polizia, il Kgb, il comitato dell'industria e quello dell'agricoltura, il rappresentante del complesso militare-industriale e il capo del governo. Ectoplasmi.
Quello che hanno saputo mettere in scena non è stata neanche una pallida parodia dell'assalto al palazzo d'inverno, ma un malriuscito putsch di generali reazionari e felloni.
Perché i nipoti degli eroi della corazzata Potiemkin erano dall'altra parte delle torrette dei carri armati. Impavidi, sventolavano le bandiere della grande madre Russia. E il Leviatano è imploso.
IL GIORNALE DI NAPOLI 22 AGOSTO 1991

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