17 maggio 1972: ucciso Calabresi. Veltroni ha dubbi, noi certezze

luigi calabresi

Walter Veltroni, Uolter, alias “ma anche” perché cerca sempre di conciliare e l’inconciliabile, verga una articolessa definitiva e perentoria sul Corriere della serva per ricordare Calabresi a 48 anni dalla morte. Veltroni scrive che il commissario “fu vittima di una campagna di odio”. Poi bontà sua aggiunge: “Non sappiamo come è morto Giuseppe Pinelli”. Ecco, non lo sappiamo perché come minimo il commissario finestra copri’ gli assassini dal momento che sapeva cosa era accaduto. Aiutato dagli altri sbirri che misero a verbale nu cuofano e fesserie per nascondere la verità. La campagna di odio fu una campagna contro lo Stato che se la meritava tutta e se la merita ancora oggi. Amen

Il “Buongiorno stocazzo”, rubrica quotidiana del nostro antico compagno, amico e collega Frank Cimini – per me una tappa fissa della prima lettura su Facebook – mette i puntini sulle i e rivendica ancora le ragioni del nostro odio. Certo, oggi sappiamo qualcosa in più su quella notte a Milano. La presenza di un plotone di “spie” degli Affari riservati al quarto piano della Questura. E non dimentichiamo

L’omicidio del commissario Luigi Calabresi è un crocevia dei misteri d’Italia. Una tragica concatenazione di fatti collega, infatti, l’assassinio di Calabresi alla morte di Pinelli, all’eccidio di piazza Fontana, alla morte di Franco Serantini e alla strage davanti alla questura di Milano consumata nell’anniversario dell’attentato. Secondo la magistratura italiana i due colpi sparati il 17 maggio 1972 alla nuca del vice responsabile dell’ufficio politico della questura milanese sono da imputare a quattro militanti di Lotta Continua, il maggiore gruppo della nuova sinistra che si scioglie nell’autunno 1976 dopo il disastro elettorale alle politiche di giugno.

I quattro accusati

Il leader nazionale Adriano Sofri, autore dell’editoriale del giorno dopo l’esecuzione. Scrisse: nella morte del commissario si riconosce la voglia di giustizia di tanti proletari. Una frase che contende il record di citazioni a quella di Franco Piperno sulla geometrica potenza delle Brigate rosse a via Fani;
Giorgio Pietrostefani, responsabile della sede milanese. Lo accusarono di essere il dirigente della struttura di lavoro illegale di Lotta Continua, espressione di una linea militarista ben presto abbandonata;
Ovidio Bompressi, un militante toscano proveniente dai ranghi del Potere operaio pisano. lo accusarono di essere l’omicida del commissario;
Leonardo Marino, ex operaio Fiat, l’autista.
Dopo 16 anni di indagini a vuoto, il caso Calabresi diventa il caso Sofri nel 1988. Quando Marino, un fedelissimo di Sofri diventato rapinatore “confessa” di aver partecipato all’omicidio. Lo ha “gestito”, all’insaputa della magistratura, per 17 giorni un colonnello dei carabinieri. Avrebbero ucciso il commissario lui e Ovidio Bompressi. A ordinare l’esecuzione Sofri e Pietrostefani, rispettivamente il leader politico e militare.

La linea difensiva

La linea difensiva rifiuta la tesi del complotto ma si pone su un crinale pericoloso. Nega anche l’evidenza delle attività illegali che all’epoca erano comuni a tutti i gruppi extraparlamentari. Otto i processi celebrati. Processi indiziari, tutti basati unicamente sulle dichiarazioni – spesso senza alcun riscontro e palesemente contrastanti – di Marino. C’è un’assoluta carenza di prove. Alcuni dei corpi del reato clamorosamente scomparsi o distrutti. Il grande accusatore racconta infatti che, avuto l’incarico da Pietrostefani si è recato a Pisa a chiedere conferma a Sofri, sua stella polare. L’ occasione è il comizio del 13 maggio. Un memorial per Franco Serantini, l’anarchico ammazzato di botte dalla polizia negli scontri antifascisti organizzati il 5 maggio da Lotta Continua. Marino ricorda la passeggiata con Sofri dopo il comizio. Dimentica però e non sa spiegare perché si mettono a camminare mentre è in corso un violentissimo acquazzone.

Otto processi

Otto processi con alterne sentenze. La Cassazione annulla ‘assoluzione in appello perché il giudice a cui è affidata la motivazione è l’unico colpevolista e così scrive “una sentenza suicida”. Fino alla definitiva: 22 anni per Sofri (che neanche ha prese il suo stato incompatibile con la detenzione), Bompressi (graziato da Scalfaro per problemi di salute) e Pietrostefani (riparato a Parigi), la prescrizione del reato (cioè neppure un giorno di galera) per Marino. Otto processi, fino al rigetto, nel gennaio 2000, di un’istanza di revisione che lascia tutti i dubbi sulla sentenza e sulle responsabilità individuali. Resta la certezza storica che l’omicidio Calabresi è il primo attentato omicida della “guerriglia rossa”.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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