Ma quella cappa non lo soffocò: Gorbaciov reintegra Sacharov

[Un'analisi della figura di Sacharov, il dissidente vincitore del Premio Nobel che nel crepuscolo dell'Impero sovietico, subito dopo la caduta del muro di Berlino, viene riabilitato da Gorbaciov] 
Andrei_Sakharov_1989La notizia pare proprio che gliela abbia data lui. Certo è difficile immaginarsi un segretario del Pcus - il pontefice massimo dell'ortodossia - che telefona all'uomo simbolo dell'opposizione politica per annunciargli la riabilitazione e la fine dell'esilio interno. Eppure Gorbaciov ha costruito la sua fama di genio della comunicazione proprio grazie ai colpi di scena mediatici come la telefonata di Gorkji.
Una scelta che oggi sembra facile ma che ebbe allora una carica dirompente. Sacharov era il simbolo stesso dell'opposizione strenua alla stagnazione brezneviana. Lo scienziato - pupillo del complesso militare-industriale sovietico fin dagli anni '50 - aveva avviato la sua folgorante carriera tra agonia dello stalinismo e breve fioritura kruscioviana e solo nel '68, quando con la repressione della Primavera di Praga il regime aveva pienamente dispiegato l'involuzione autoritaria, era sceso apertamente in campo - in difesa dei diritti umani.
Restituirgli le cariche e l'onore politico non fu allora solo un atto dovuto ma un'intelligente operazione di immagine per Gorbaciov. Negli ultimi tre anni - infatti - Sacharov è stato il miglior ambasciatore della Glasnost.
Eppure il clamoroso annuncio della riabilitazione del padre della bomba all'idrogeno sovietica era venuto a cadere in una fase difficile di scontro politico tra il rinnovatore Gorbaciov e gli apparati brezneviani.
Proprio in quei giorni era stato rimosso il segretario del Pc Kazako - che non aveva esitato a scatenare la violenza della piazza per far saltare il provvedimento.
L'intervento dell'esercito provocò morti e feriti - come già era successo nel silenzio più assoluto - ma questa volta la Pravda non esitò a sbattere i fatti in prima pagina: Rigurgiti nazionalisti titolò l'organo del partito.
La benevolenza dell'esercito - non ancora epurato dalla cricca brezneviana - Gorbaciov se l'era assicurata sospendendo la moratoria nucleare che rischiava di accentuare il gap tecnologico dell'apparato militare sovietico con un'America lanciata da Reagan verso gli inaspettati orizzonti dello "scudo stellare". Si è visto poi che proprio su questo terreno il leader sovietico avrebbe scandito la propria marcia trionfale.
Il leader del dissenso, irriducibile nemico del breznevismo, nella sua vicenda personale portava invece il segno genetico della compatibilità con l'orizzonte strategico del gorbaciovismo. Non era infatti affetto né dall'orgoglioso nazionalismo panslavo che caratterizzava il dissenso letterario alla Solgenitzin né dal catastrofismo messianico antisistema dell'intellighentsia ebraica. Sacharov era grande russo ma non sciovinista, critico ma non eversore del sistema.
Tutta la sua parabola politica di opposizione era stata scandita dalla contestazione sistematica, cocciuta, elitaria delle degenerazioni e delle involuzioni burocratiche e autoritarie del breznevismo. Il gran rifiuto opposto al Cremlino alla richiesta di visto per recarsi ad Oslo per ritirare il premio Nobel per la pace aveva per la prima volta scatenato la mobilitazione dell'opinione pubblica internazionale. Era proprio il 1975 - l'anno degli accordi di Helsinki - e solo la pressione occidentale permise alla moglie dello scienziato di recarsi a Oslo e di leggere il discorso di accettazione, sfruttando quindi proprio la tribuna dell'Accademia per investire la comunità internazionale della questione della libertà dell'uomo nel sistema orientale. La denuncia sistematica dell'uso poliziesco della psichiatria è stato il suo cavallo di battaglia per anni. Eppure fu una critica propriamente politica - la condanna dell'invasione sovietica dell'Afghanistan - a costargli la deportazione a Gorkji.
E non era stata certo una risipiscenza morale, un rigurgito pacifista e umanitario a spingerlo a questa posizione. Che anzi - ancora nei giorni bui dell'esilio - mentre la catastrofe di Chernobyl scatenava le anime belle dell'antinuclearismo di raccatto, Sacharov da Gorkji ancora difendeva il valore progressivo dell'energia atomica. Anche la fuoriuscita dal reciproco ricatto delle force de frappe è stata da lui concepita come ordinato - paritetico concerto tra i due Grandi.
No, il suo rifiuto dall'invasione del 1971 era semplicemente l'opposizione all'uso della forza nel conflitto politico, la manifestazione dell'idea che il socialismo deve essere liberazione dell'uomo e non ulteriore macchina di oppressione. Certo,  nei sei duri anni di segregazione lo scienziato dissidente si è giocato tutto - a partire dal proprio corpo - l'ultima risorsa che gli era rimasta per sconfiggere quello spaventoso ibrido di penuria e Leviatano che era il sistema brezneviano. I continui scioperi della fame - l'ultimo nel 1985 per ottenere che la moglie potesse curarsi in America - ne hanno allora fiaccato l'indominata fibra ma il cambiamento del vento e la maggiore fortuna nelle più tranquille acque del gorbaciovismo non lo hanno visto piegarsi all'accomodamento e al compromesso.
Giornale di Napoli 1 Dicembre 1989

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