2 luglio 1981, Cuneo: “boia delle carceri” tenta di uccidere Mario Moretti

Cuneo: ora l’omertà nel carcere nessuno parla di Moretti ferito Il capo br accoltellato in cortile dallo spagnolo Farre Figueras

DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CUNEO — Non si saprà forse mai perché un «malavitoso» l’altro giorno in carcere ha tentato di sgozzare l’ultimo «capo storico» delle Brigate rosse. Tace la vittima predestinata, Mario Moretti, 35 anni, già responsabile della colonna romana, membro della direzione strategica, per anni inafferrabile e, secondo l’accusa, organizzatore del sequestro di Aldo Moro.
Né parla il mancato assassino, Salvatore Farre Figueras, 38 anni, un sicario all’ergastolo per l’omicidio di due carabinieri e che è stato protagonista di un altro tragico e oscuro episodio: l’uccisione per coltello di Salvatore Cinieri, militante di Azione rivoluzionaria, avvenuta alle Nuove di Torino nel settembre 1979. Neppure di quella tragedia si è mai conosciuto il reale motivo.
Sono le 9,20 di giovedì, terzo cortile della sezione a «massima sorveglianza» del carcere del Cerialdo. Diciannove detenuti sono appena arrivati per l’aria. Dovrebbero essere stati perquisiti come impone il regolamento, ma spesso le guardie trascurano il controllo perché, spiegano, «è impossibile e odioso frugare una persona tre o quattro volte al giorno come si dovrebbe all’inizio e alla fine del periodo d’aria*. Cosi accade che i detenuti riescono a portarsi dietro un’arma, spesso un pugnale fabbricato in modo artigianale all’interno delle celle. Proprio nel cortile accanto, un anno fa esatto, Emanuele Attimonelli, napplsta, ammazzò a colpi di punteruolo Ugo Benazzi, rapinatore torinese, sotto gli occhi indifferenti degli altri detenuti.
L’altra mattina Moretti passeggiava nello stretto cortile: accanto aveva Enrico Fenzi, 42 anni, professore di letteratura italiana all’università di Genova, considerato un ideologo dell’organizzazione clandestina, assolto dalle assisi genovesi assieme a tredici compagni al termine di un processo a quella che i carabinieri consideravano la «colonna» genovese delle Bierre. Dopo l’assoluzione scomparve, entrò in clandestinità. Fu catturato con Moretti in una strada di Milano sabato 4 aprile. I due parlano, poco lontano passeggia Agrippino Costa, 38 anni, brigatista, che il 2 maggio scorso tentò l’evasione dal cellulare durante la traduzione da Livorno a Cuneo. Tranne Figueras, nel cortile sono tutti «politici». Si parla a bassa voce, sotto lo sguardo di due agenti, si attraversa lo spiazzo in diagonale perché cosi sembra più grande.
L’aggressione è improvvisa. Abile col coltello come con la pistola, Figueras si getta su Moretti: in pugno stringe uno stilo ricavato, sembra, dal tubo di una brandina, dalla lama tozza e lunga non più di tre centimetri. Il brigatista lo scorge, alza le mani a difesa e viene colpito di striscio all’avambraccio destro: guarirà in cinque giorni. Pronto sull’aggressore si getta Fenzi, ma è anche lui colpito al torace, la lama non penetra in profondità: la prognosi è di una settimana. Gli altri fanno scudo. Costa riesce ad afferrare il killer per un braccio, i compagni lo disarmano, accorrono guardie, il direttore Angelo Zaccagnino, la zuffa si placa.
L’inchiesta è condotta dal procuratore dott. Sebastiano Campisi. “Nessuno parla. Fenzi ha detto di non avere alcuna istanza da fare alla giustizia”, dice il magistrato. Sulle cause dell’aggressione appare cosi subito impossibile indagare. “E poi, ai fini della legge, in un fatto come questo importa poco sapere perché si sono azzuffati. Spero di far celebrare il processo con rito direttissimo mercoledì”. L’accusa è di lesioni gravi. Da mesi, da quando in primavera c’era stata una protesta collettiva con i detenuti che gettavano la spazzatura nei corridoi, il carcere appariva tranquillo. “Non ci sono stati allarmi, avvertimenti, come qualche volta accade”, osserva il giudice di sorveglianza dott. Giorgio Giraudo. “Il fatto potrebbe anche aver avuto origine da qualche banalità. Capita purtroppo in situazioni del genere”. Qualcosa, aggiunge il dott. Giraudo, non ha funzionato nel servizio di sicurezza. “Neppure le perquisizioni — ammette — che vengono fatte sono sempre efficaci”. Ma perché un detenuto che si è già dimostrato pericoloso è stato messo assieme ad altri? Risponde la dottoressa Lina Monge, anch’essa magistrato di sorveglianza al supercarcere di Cuneo. “E’ impossibile tenere una persona in isolamento, il regolamento lo vieta. Per ragioni disciplinari può rimanervi quindici giorni e questo malgrado si sappia che tutti coloro che gli sono vicini rappresentano potenziali vittime”.
Vincenzo Tessandori

Fonte: La Stampa, 4 luglio 1981

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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