Mattarella e i Fioravanti, nello scoop della Repubblica l’accusatore diventa il killer

Dopo trentasei anni da quell’Epifania abbiamo ritrovato un’immagine che non ci hanno mai fatto vedere. Un fotofit sepolto nel faldone numero 178 dell’inchiesta sull’omicidio del presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, uno dei grandi delitti eccellenti italiani. Una foto fantasma per un killer fantasma.
“Anni 22-24 circa, statura m.1,65, capelli castano chiari, bocca e naso regolari”.
Una ricostruzione fotografica del viso del sicario è confusa fra i primi atti compiuti dalla polizia sul luogo dell’esecuzione, senza una nota o una spiegazione. È un fotofit appiccicato alla polvere di un fascicolo aperto il 6 gennaio del 1980, giorno della morte di un uomo che voleva cambiare la Sicilia e che si è spento fra le braccia del fratello diventato molto tempo dopo Capo dello Stato.

Lo scoop della Repubblica potrebbe essere interessante. Peccato che poi si perda in un dettaglio non secondario. Perché l’avvocato della famiglia Mattarella, Francesco Crescimanno, intervistato da Attilio Bolzoni, si produce in un lapsus clamoroso : “Io continuo a credere che il killer del presidente fosse Cristiano Fioravanti, anche il giudice Falcone non aveva dubbi. Ma Fioravanti è stato assolto. Però, questo caso non può restare irrisolto: si potrebbe tornare a indagare sui depistaggi, per comprendere il coacervo di interessi, fra mafia e ambienti della destra eversiva, che probabilmente maturarono attorno alla morte di Piersanti Mattarella”. Perché Cristiano non è il “colpevole designato”, ma il principale teste d’accusa. Ce lo racconta, sempre sulle pagine di La Repubblica, nello scorso mese di febbraio, Corrado Zunino:

Cristiano Fioravanti, fratello minore di Giusva, a diversi pm (di Rovigo, Bologna, Firenze, Roma e Palermo) e in diversi interrogatori sempre più sofferti a partire 1982 dirà: “Mio fratello ha commesso un omicidio politico a Palermo, in presenza della moglie del politico, tra gennaio e marzo 1980”. Dettaglierà: “Mio fratello e Gilberto Cavallini hanno fatto quell’omicidio per ottenere favori per l’evasione di Concutelli dal carcere dell’Ucciardone”. Infine, liberandosi: “È stato Valerio a dirmi che avevano ucciso un politico siciliano… C’è stata una riunione in casa di Ciccio Mangiameli, insegnante, Terza posizione, cui aveva partecipato uno della Regione Sicilia che aveva dato le dritte”. Nelle sue testimonianze a cascata Fioravanti il minore allargherà le responsabilità: “In quello stesso periodo impegnato a Palermo nel piano di evasione di Concutelli c’era Massimo Carminati, amico di mio fratello, e dunque il gruppo della Magliana al quale era collegato”.

Rivolto un reverente pensiero a Vincenzo De Luca, che da anni ci detta la linea sulla qualità del giornalismo italiano, non ci resta che notare due piccoli particolari per scalfire le granitiche certezze dell’avvocato:
1.  Il suo volto, all’epoca, era molto affusolato [mentre oggi è molto più arrotondato], come si può vedere nella foto a fianco (anche questa ripresa dall’archivio elettronico di la Repubblica), mentre il giovane del fotofit ha zigomi larghi e volto abbastanza arrotondato. Anche in questo caso non corrisponde proprio la descrizione che è alle origini della costruzione del “ritratto” da parte del tecnico della polizia scientifica …
2. Anche sulla granitica convinzione di Giovanni Falcone sulla colpevolezza di Fioravanti c’è da ridire. Perché nello stesso atto (il suo ultimo a Palermo prima di trasferirsi a Roma) in cui chiedeva il rinvio a giudizio per il “capo dei Nar”  e per Gilberto Cavallini – sulla base delle accuse di Angelo Izzo e di Cristiano Fioravanti – si contestava la calunnia a due “pentiti”, il “mostro del Circeo” e il catanese Pellegriti, per aver attribuito a Salvo Lima il ruolo di mandante del delitto Mattarella. L’onestà intellettuale del magistrato lo spingeva così a indebolire la credibilità del principale teste d’accusa … E sui depistaggi, proprio grazie a Falcone e Ayala che fu il gip dell’inchiesta, si è giunti a una condanna definitiva per tutti e due gli accusati.

 

 

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

1 Comment on “Mattarella e i Fioravanti, nello scoop della Repubblica l’accusatore diventa il killer

  1. A proposito degli “scoop” di Repubblica.
    Qualche mese fa, per l’esattezza il 19 settembre scorso, la Repubblica ha pubblicato in prima pagina una clamorosa intervista di una giornalista a un mafioso “pentito” che faceva nuove rivelazioni che suonavano del tutto fasulle e balorde a chiunque avesse un minimo di conoscenza dei fatti.
    Attilio Bolzoni, invece, che pure si picca di essere un esperto di cose mafiose non trovò di meglio che avvalorare le baggianate accompagnandole con un pezzo che per comodità riporto:
    «PAROLE SHOCK E SILENZI DI UN KILLER. Sono parole che vengono da lontano e che mettono i brividi. Il tempo non ha cancellato le ferite e non ha sotterrato i sospetti, nonostante i processi celebrati e gli indubbi risultati raggiunti negli ultimi anni dalle inchieste giudiziarie sulle stragi Falcone e Borsellino. La voce di «Gino»La Barbera che torna dal passato è una conferma di tutte le «incertezze» inseguite anche dai magistrati fra Caltanissetta e Firenze—le due procure delle indagini sulle bombe dell’estate siciliana del ’92 e quelle in Continente del ’93—sui mandanti «altri». Quest’intervista, giornalisticamente molto efficace ma anche densa di suggestioni— qua e la si colgono messaggi attraverso i quali La Barbera non tradisce la sua origine—si addentra soprattutto in tre vicende che hanno segnato più di altre la tortuosa ricerca di una verità La prima è il «suicidio» di Gioè, un mistero clamorosamente riproposto da Loris D’Ambrosio, il consigliere giuridico del Presidente Napolitano che confessava al telefono all’ex ministro Mancino: «È un altro segreto che ci portiamo appresso». La seconda riguarda la sparizione dei verbali di un suo confronto con Scarantino, il falso pentito di via D’Amelio imbeccato da spioni. La terza è il «tesoro» di Toto Riina, portato via dallo stesso «Gino» dalla casa dove il capo dei capi aveva trovato riparo e che gli uomini del colonnello Mori hanno abbandonato tre ore dopo la cattura dello «zio Toto». La Barbera, sa qualcosa di più? La dica. È da più di 20 anni che giriamo e rigiriamo intorno a questi passaggi per rintracciare i fili di una trama». ATTILIO BOLZONI. (continua)

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