La protesta contro Trump: spari a Portland, 200 arresti a Los Angeles

scontriE’ sempre alta la tensione e grave l’allarme per il dilagare delle manifestazioni giovanili di protesta contro le elezioni di Donald Trump in America. Un uomo è rimasto ferito da un colpo di pistola sparato durante le manifestazioni anti-Trump a Portland, nell’Oregon. Lo riferisce la polizia su Twitter. Le forze dell’ordine hanno quindi sollecitato i cittadini a “lasciare immediatamente la zona” e ha invitato gli eventuali testimoni a farsi avanti. Secondo quanto riferiscono i media americani, il colpo sarebbe stato esploso mentre i manifestanti attraversavano il ponte Morrison.  Circa 200 persone sono state arrestate a Los Angeles nella terza notte consecutiva di proteste contro Donald Trump presidente. A marciare fino alla City Hall sono state 3000 persone, molte con bandiere americane o cartelli con la scritta ‘Not my president’, diventato lo slogan del movimento di contestazione che promette di scendere in strada anche nel weekend in varie città americane.

L’ANALISI: LA RABBIA DEI DIFENSORI DEI DIRITTI CIVILI, LA GIOIA DELLA DESTRA IDENTITARIA E SUPREMATISTA

E’ un Paese profondamente lacerato l’America che esce dalle elezioni presidenziali più dure della sua storia. Il suo appello all’unità e alla ricomposizione, lanciato ieri nell’incontro con il presidente uscente alla Casa Bianca non ha sortito l’effetto sperato. Sono centinaia gli arrestati in scontri nelle manifestazioni di protesta organizzati da giovani attivisti antirazzisti e per i diritti civili. Il presidente del Southern Povertry Law Center, Richard Cohen, in un editoriale sul sito, spiega così le ragioni della resistenza: “Non possiamo improvvisamente dimenticare o perdonare quello che ha detto durante la campagna.
Non possiamo dimenticare che  Trump ha chiamato i messicani immigrati “stupratori” e assassini, o ha detto che un giudice federale non può decidere una causa perché è un “messicano” (è nato in Indiana).
Non possiamo dimenticare la sua promessa di costruire un muro al confine con il Messico.
Non possiamo dimenticare che egli ha proposto di vietare ai musulmani di entrare nel nostro Paese o che egli ha suggerito che la “comunità musulmana” è stato complice dell’attacco terroristico a Orlando.
Non possiamo dimenticare il modo spregevole parla di donne o che si vantava di aver aggredito sessualmente di loro.
Non possiamo dimenticare che lui ha schernito le persone con disabilità. Non
possiamo dimenticare che egli sfruttava brutti stereotipi razzisti quando ha descritto le comunità afro-americane come “zone di guerra” e “inferno”.
Non possiamo dimenticare che non è riuscito a sconfessare immediatamente l’approvazione di David Duke, un neo-nazista e probabilmente il più noto suprematista bianco in America. Non possiamo dimenticare che ha chiamato come suo responsabile di campagna un uomo che gestisce un sito web di catering per l’alt-destra, un movimento nazionalista bianco.
Non possiamo dimenticare che rilancia tweet razzisti e antisemiti.
Non possiamo dimenticare che è andato allo show radiofonico di Alex Jon e ha detto al conduttore radiofonico di estrema destra che la sua “reputazione è sorprendente”.
Jones è, infatti, un grande divulgatore delle più selvagge teorie della cospirazione: ad esempio sostenne che la sparatoria alla scuola elementare Sandy Hook era stata opera del governo.
E’ estremamente duro per le organizzazioni dei diritti civili dovere fare i conti con la realtà  di un presidente eletto che fino all’altro giorno “è stato a rotolarsi nel pozzo nero dell’odio e dell’ estremismo”.
A giusta ragione, quindi, cantano vittoria le tante anime dell’America identitaria e suprematista, l’avanguardia radicale convinta di aver giocato un ruolo decisivo nella sfida.
” I suprematisti bianchi – prosegue il grido di dolore di Cohen – che hanno appoggiato la sua candidatura fanno salti di gioia. Pensano che ora hanno il loro uomo alla Casa Bianca. Andrew Anglin, proprietario del Daily Stormer, un sito web veramente nauseante popolare tra i neonazisti, ha dichiarato, “il nostro leader glorioso è salito a Dio Imperatore. Non commettiamo errori: lo abbiamo fatto noi”.
David Duke è altrettanto esaltato e  twitta: “La nostra gente ha giocato un ruolo enorme nella elezione di Trump!” Kevin MacDonald, un ex professore antisemita senza peli sulla lingua, ha scritto: “Questa è una vittoria straordinaria. Fondamentalmente, si tratta di una vittoria della gente bianca contro gli oligarchici delle élite ostili”. Il risultato elettorale dimostra che non si tratta più di quello che veniva liquidato dai benpensanti come il delirio di estremisti ai margini della società, di nazisti che lanciano il Sieg-Heil e di Klansmen che bruciano le croci. Tra i protagonisti del trionfo di Trump ci sono infatti anche esponenti dei circoli politici tradizionali che negli scorsi anni si sono distinti in battaglie identitarie e contro i diritti LGBT. Sono persone come Kris Kobach, il segretario di Stato del Kansas che creò le leggi anti-immigrati brutalmente discriminatorie, emanate da Arizona, Alabama e altri stati diversi anni fa e bocciate come anticostituzionali; e Ken Blackwell, l’ex segretario di Stato dell’Ohio che ora è senior fellow presso il Consiglio per la Ricerca sulla Famiglia, un think tank rabbiosamente anti-LGBT. Entrambi sono stati membri chiave della squadra di Trump. E così il KKK può trionfalmente annunciare per il 3 dicembre prossimo una “marcia di ringraziamento”

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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