5-6.11.53: nella rivolta per Trieste italiana sei i morti

i funerali per i caduti nella rivolta per Trieste italiana

Il 3 novembre 1953 migliaia di abitanti di Trieste scesero in piazza per chiedere l’annessione della città all’Italia: comincia pacificamente la rivolta per Trieste italiana che finirà in un bagno di sangue. Nei giorni seguenti i moti si estesero e furono violentemente repressi. La Polizia civile italiana sparò sulla folla uccidendo sei persone e ferendone oltre un centinaio.

Era agli ordini del generale britannico Thomas Winterton, capo del Governo militare alleato. Neanche dieci anni prima, il 10 giugno 1944, Trieste aveva già subito un durissimo bombardamento. L’aviazione angloamericana aveva provocato 378 morti e un migliaio di feriti.

Come tanti altri tragici eventi della storia italiana anche la rivolta di Trieste trova poco spazio nei testi scolastici. E’ stata quasi totalmente rimossa dalla memoria collettiva nazionale.

La questione triestina si inserì nel difficile contesto internazionale segnato dalla Guerra fredda. Affonda le proprie radici nei conflitti sorti tra Italia e Jugoslavia nella prima metà degli anni Quaranta. L’inimicizia tra le due nazioni iniziò dopo la brutale occupazione del territorio jugoslavo. Le truppe nazifasciste (1941-1942) fecero registrare gravi episodi di pulizia etnica antislava. Fecero seguito le crudeli vendette dell’esercito titoista culminate nei massacri delle Foibe.

Il territorio libero di Trieste

Il 3 febbraio 1947 venne firmata la pace tra l’Italia e le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale. Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio italiano, sottoscrisse il Trattato di Parigi che sancì la creazione del Territorio libero di Trieste. Il TLT conteneva la città giuliana, il litorale adriatico fino al fiume Timavo e una parte dell’Istria. Il Territorio libero venne a sua volta suddiviso in due settori. La Zona A, che includeva Trieste, fu concessa in amministrazione agli alleati angloamericani. La Zona B, che comprendeva Capodistria, venne assegnata agli jugoslavi.

La situazione della Venezia Giulia si mantenne molto tesa per diversi anni con reiterati episodi di violenza. Il 10 febbraio 1947 fu ucciso il comandante delle truppe britanniche Robin De Winton. La patriota italiana Maria Pasquinelli fu condannata a morte, pena commutata all’ergastolo. Fu graziata dopo 17 anni di carcere. Nello stesso 1953 fallisce il tentativo di occupazione di Trieste operato dall’esercito jugoslavo sotto la guida del maresciallo Tito.

I 4 giorni della rivolta

Il 3 novembre 1953, in occasione del 35° anniversario dell’annessione di Trieste all’Italia, il sindaco Gianni Bartoli espose la bandiera tricolore sul pennone del municipio. Alcuni ufficiali inglesi la fecero rimuovere, mentre si registrarono i primi incidenti tra manifestanti e forze dell’ordine.

Il giorno successivo un nutrito gruppo di cittadini si recò in pellegrinaggio a Redipuglia. Il Sacrario dedicato alla memoria dei soldati italiani caduti durante la Grande guerra. Dopo il ritorno a Trieste fu indetta una manifestazione per chiedere l’annessione della città all’Italia. La Polizia civile intervenne per ristabilire l’ordine, ma la protesta dilagò degenerando in violenti scontri di piazza.

Il 5 novembre gli studenti triestini proclamarono uno sciopero nelle scuole e sfilarono in corteo fino alla piazza prospiciente la Chiesa di Sant’Antonio. Qui scoppiarono gravi incidenti con la polizia che culminarono nell’assassinio di due giovani, Piero Addobbati e Antonio Zavadil. Il 6 novembre la protesta divampò nuovamente. Un enorme corteo tentò di assaltare il palazzo della Prefettura. Gli agenti di polizia reagirono con veemenza sparando sulla gente. Furono colpiti a morte Erminio Bassa, Leonardo Manzi, Saverio Montano e Francesco Paglia.

La fine del controllo inglese

Il tragico evento indusse il governo inglese a rinunciare al controllo del Territorio di Trieste. Il TLT venne spartito tra Italia e Jugoslavia in base al Memorandum di Londra. Il 5 ottobre 1954 ci fu il passaggio della Zona A all’Italia, in cambio dell’annessione della Zona B alla Jugoslavia. Fu però necessario attendere il Trattato di Osimo (1975) affinché si definissero i confini tra Italia e Jugoslavia. Nel 1956 la città di Trieste fu insignita della Medaglia d’oro al valor militare. Solo nel 2004 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi attribuì la Medaglia d’oro al valor civile ai sei triestini morti nel 1953, infrangendo finalmente l’oblio che regnava da un cinquantennio.
FONTE: www.lucidamente.com

I caduti triestini

i martiri della rivolta per trieste italiana

I caduti dei moti triestini del 1953 erano tutti aderenti alla Lega Nazionale. Due erano ragazzini dalmati. Questi i loro nomi:

Francesco Paglia (Trieste 1929), studente di ingegneria, capo dei goliardi nazionali.

Leonardo “Nardino” Manzi, nato a Fiume, studente, esule fiumano, di anni 15

Saverio Montano, nativo di Bari

Erminio Bassa (Trieste 1902), portuale

Antonio Zavadil (Trieste 1889), portuale

Pietro Addobbati, di anni 14, figlio di esuli zaratini

La figura di Francesco Paglia

Giovanissimo, aveva combattuto in guerra nel Battaglione Santa Lucia dei bersaglieri nella Repubblica Sociale Italiana, ed era poi stato deportato nel campo di concentramento titino di Borovnica (Borovenizza); il padre Bonaventura era stato segretario della Milizia di Trieste. La notte del 14 ottobre 1953, per rispondere a un provocatorio raduno slavo tollerato dal comando inglese che aveva vietato ogni manifestazione in città Trieste fu attraversata da cortei improvvisati di manifestanti, in particolare studenti universitari (fra i quali esponenti dell’ex Circolo Oberdan, organizzazione patriottica fondata nel 1947 e sciolta dal GMA), decisi a non lasciare il campo libero alla controparte: nelle foto dell’epoca, che documentano questa che verrà ricordata come la “notte tricolore” , spicca in prima fila, fra i suoi colleghi d’università, la sua figura. Sarà poi tra i protagonisti degli scontri del 6 novembre culminati nell’assalto alla Prefettura

La diversa natura degli scontri

Risulta inoltre evidente una sostanziale differenza fra le giornate di scontri. Durante i primi incidenti del 4 e 5 novembre in piazza Unità e a Sant’Antonio Nuovo l’uso della forza da parte della polizia (e in particolare del «nucleo mobile») risulta evidentemente spropositato: il 5 novembre in particolare gli agenti sparano per uccidere, e le versioni ufficiali del GMA non sono in grado di ricostruire se obbedirono a un ordine o risposero spontaneamente ai colpi in aria da parte dell’ufficiale. A Sant’Antonio nessun atteggiamento dei manifestanti giustifica l’uso delle armi da fuoco: si tratta di poche centinaia di ragazzi principalmente delle scuole medie superiori, armati delle sole pietre disselciate per i lavori, che non giustificano certo spari indiscriminati ad altezza uomo. In questo episodio ci sono ancora tanti elementi che non tornano.

Un assalto organizzato in piazza Unità

Diversa natura hanno invece gli incidenti del giorno dopo, in piazza Unità. La folla che percorre contrada del Corso è indubbiamente più organizzata di quella del giorno prima: tanti studenti medi, ma adesso affiancati dagli universitari e da lavoratori di diverso ordine, iniziano la giornata non con uno sciopero pacifico come il giorno prima ma con il sequestro
violento e la distruzione di un automezzo della polizia, che trascinano nel bel mezzo di un incrocio e danno alle fiamme.

Ancora, in piazza Unità il gruppo dei centocinquanta ragazzi che tenta ripetutamente l’assalto al palazzo della Prefettura è un gruppo ben organizzato, coeso, forse anche guidato da una regia militarmente preparata. Qualcuno ha portato alcune bombe a mano che lancia ripetutamente contro gli agenti, Paglia si impadronisce di un fucile e senza perdere un solo istante cerca di fare fuoco mentre altri ragazzi provano a raggiungere la Prefettura strisciando al bordo del marciapiede per ripararsi dai poliziotti che sparano dalla cima del palazzo.

Non è una semplice manifestazione, quella in piazza Unità: è un vero e proprio assalto, forse premeditato, forse deciso sul momento, ma di sicuro rispondente a un piano ben preciso. (…)

I dimostranti rovesciano e distruggono altre jeep. Un poliziotto rimane isolato ed è circondato e gettato a terra da alcuni manifestanti: fra loro c’è Francesco Paglia. (…) Il poliziotto accerchiato riesce a divincolarsi e scappa abbandonando il fucile. Francesco non si fa sfuggire l’occasione: si fionda sull’arma, la punta contro la Prefettura e tenta di aprire il fuoco ma non fa a tempo, perché viene immediatamente fatto bersaglio dei colpi sparati dalle finestre dell’edificio. Un proiettile lo colpisce al torace, uccidendolo in pochi minuti. Non è chiaro se la polizia abbia sparato per prima o per reazione

FONTE: Michele Pigliucci, Gli ultimi martiri del Risorgimento. Gli incidenti per Trieste italiana del novembre 1953

[Qui è possibile scaricare l’intero volume, edito dalla Lega Nazionale per il sessantennale dei moti. Michele Pigliucci, 41 anni, romano, dottore magistrale in storia contemporanea, è professore associato presso il Link Campus. E’ stato responsabile nazionale di Azione Studentesca, membro dell’esecutivo di Azione Giovani e dirigente nazionale della Giovane Italia, ndb]

Vidali accusa gli agenti titini

L’Associazione Democratica Difesa Italiana, meglio nota come Circolo Cavana, con il motto «Tutto per la Patria», era ad esempio regolarmente finanziata dall’Ufficio Zone di Confine della Presidenza del consiglio che si serviva della banda per organizzare manifestazioni di italianità in città, come dimostra un appunto segreto inviato all’UZC dalla Missione Italiana di Trieste il 17 aprile 1952 (un mese dopo i famosi incidenti di piazza). Il coinvolgimento delle bande di Cavana nei tre giorni del novembre 1953 portò l’Inghilterra ad accusare il Movimento Sociale Italiano di essere il responsabile degli incidenti , accusa che si incaricò di smontare Vidali stesso, sottolineando come fra i manifestanti «ci sono pure compagni nostri»

Il precedente di marzo

[L’8 marzo 1953, dopo un comizio elettorale del segretario nazionale del Msi, Augusto De Marsanich, un gruppo di giovani missini improvvisò un corteo lungo le vie della città. Il gruppo, si diresse verso la sede del Fronte dell’Indipendenza, partito composto in parte dalla minoranza slovena, intonando slogan per l’Italia e contro Tito e la Jugoslavia comunista. Nei pressi della sede indipendentista, un ordigno lanciato da mano ignota, ferì 24 persone tra manifestanti e passanti, tra cui due “Figli del SoleCesare Pozzo e Fabio De Felice, che furono candidati ed eletti alla Camera il 7 giugno 1953, ndb]. 

Manifestazioni spontanee e di popolo

In verità le manifestazioni sono state indubbiamente spontanee e di popolo, partecipate da un gran numero di cittadini e causate prima dalla assurda scelta di vietare l’esposizione del tricolore dal pennone del Municipio e poi dall’accanimento della polizia nei confronti dello stesso vessillo e degli stessi manifestanti durante le manifestazioni del 4 novembre e del 5 novembre.

Come si concilia dunque il carattere spontaneo delle manifestazioni con la sicura presenza di agitatori? A nostro parere la verità va ricercata ancora nelle parole di Vidali [lo storico leader cominternista a fine ottobre aveva lanciato la proposta di un’alleanza dei partiti italiani, in chiave antititina, escludendo solo il MSI, ndb], di cui lo stesso De Castro si dice convinto che sappia più cose di chiunque a riguardo.

Vidali: la quinta colonna titina a Trieste

In un articolo pubblicato il 7 novembre 1953 il capo comunista si interroga su chi può aver tratto vantaggio da simili incidenti: secondo lui sarebbero stati soltanto i titini, che avrebbero incassato la sostanziale sospensione della Nota Bipartita e la crescita di risentimento da parte degli inglesi, che da allora avrebbero avuto molte più occasioni di accusare gli italiani di filofascismo e di sostenere che Trieste in mano italiana sarebbe stata nelle mani di fascisti e antislavi. Vidali arriva ad affermare che, per questo, negli incidenti si sarebbero intrufolati provocatori della polizia segreta jugoslava:

I titisti cercarono invano il morto o i morti da poter agitare in Jugoslavia per imbestialire il nazionalismo slavo. Essi preparano la marcia su Trieste e noi lo sappiamo. (…) Non è un segreto per nessuno che essi hanno la quinta colonna a Trieste, organizzata, armata, con il suo stato maggiore ed il suo servizio di informazione.

(…) Sono cose che noi abbiamo detto e ripetuto sulla nostra stampa; sono cose per le quali noi comunisti ci siamo preparati e non c’è nessun avvenimento che possa distoglierci da questo nostro compito fondamentale.(…) I titisti sono contenti: essi pensano che questi avvenimenti accentuano il carattere anti-italiano e filotitino delle autorità di occupazione.

Sono contenti perché pensano che i gruppi di assalto che dovevano lottare contro di loro si stanno logorando in una lotta di strada contro i “cerini” e pensano che questi gruppi fascisti si lanceranno più tardi anche contro i comunisti (…). Ad ogni modo noi possiamo affermare che negli attuali avvenimenti i titisti sono intervenuti, si sono inseriti nelle manifestazioni ed hanno svolto il loro lavoro di provocazione, di aizzamento. Probabilmente la polizia potrebbe dare qualche utile informazione».

Un’ipotesi non irrealistica

L’ipotesi, che sulle prime sembra irrealistica, trova in realtà importanti elementi di sostegno: innanzitutto nell’archivio del Ministero dell’Interno è possibile trovare una segnalazione inviata dalla polizia qualche settimana dopo gli scontri nella quale si denunciava la presenza di alcuni giovani che si erano rifugiati a Roma da Trieste dicendo di aver avuto parte attiva negli incidenti
e cercando di cambiare in lire ingenti somme di valuta jugoslava. Inoltre un’informativa riportava come il 7 novembre, il giorno dopo gli incidenti, i maggiori esponenti filo-titini del TLT (Leopoldo Skerk, Alfonso Skabar e Stanislao Bolf) attraversassero il confine per partecipare ad una riunione in Jugoslavia

FONTE: Il contesto delle eroiche giornate del 1953/ Archivio ricerche Tor Vergata

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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