29 ottobre 1974. Così Lotta Continua ricorda Romeo e Mantini, i due compagni dei Nap ammazzati

Luca Mantini e “Sergio Romeo”, i militanti dei Nap uccisi dai carabinieri il 29 ottobre 1974 nel corso di una rapina, provenivano dai ranghi di Lotta Continua. Questo è l’editoriale con cui il quotidiano del movimento, il 1° novembre 1974, fa i conti con la loro morte

Martedì mattina, a Firenze, quattro persone compiono una rapina in una banca. AIl’uscita, trovano ad attenderli i carabinieri, evidentemente informati della loro iniziativa. I carabinieri aprono il fuoco; anche uno dei quattro spara alcuni colpi di pistola, ferendo un maresciallo. Due dei quattro restano uccisi: il primo subito, al volante della macchina sulla quale aspettava i compagni, il secondo poco dopo all’ospedale.
Queste le notizie brutali della cronaca, accompagnata dai nomi dei rapinatori, che si riveleranno falsi. Il giorno dopo, se ne conosceranno i nomi veri. Il primo, ammazzato al volante si chiamava Giuseppe Romeo, aveva vent’anni, era di un paese vicino ad Avellino; il secondo si chiamava Luca Mantini, era di Firenze, aveva 28 anni. Sono i nomi di due giovani che erano stati nostri compagni.

La storia esemplare di Sergio

Mantini era stato arrestato e incarcerato per una manifestazione antifascista, nel ’72; uscito di galera, aveva fatto scelte politiche diverse dalle nostre.
Romeo aveva una storia come tante altre, e per questo emblematica. La rottura con la famiglia, da ragazzino; un carattere chiuso, una volontà rabbiosa di ribellione. Dal suo paese, Aiello, nell’lrpinia, si esce, quando si è poveri, o per andare a fare i poliziotti, o per finire in galera. Romeo è ancora un ragazzo quando finisce in “collegio”; appena ne avrà l’età, andrà in galera. E’ lì che, come per tanti altri, la sua ribellione diventa ancora più profonda. Ma trova, nel contatto con altri detenuti, una ragione capace di andare oltre l’insofferenza indiscriminata per le cose come sono. Oltre l’affermazione rabbiosa di se stesso nella “delinquenza”. Discute della condizione nelle carceri, della sua radice sociale, comincia a sapere che cos’è la politica, legge tutto quello che trova.

La scelta dei compagni

Quando esce dalla galera, poco più di due anni fa, non cerca la sua “banda”, cerca “i compagni”, cerca un rapporto collettivo dentro il quale capire meglio quello che è giusto, dentro il quale battersi per affermare quello che è giusto.
Parla con molti compagni, legge, chiede ininterrottamente di spiegargli i problemi che via via scopre, va nei quartieri proletari, davanti affe fabbriche. Perché un compagno così, un compagno di vent’anni, è andato a morire ammazzato come un cane per una rapina?
Perché il cammino della sua emancipazione, della sua conquista di una coscienza di classe, della sua fiducia nella lotta di massa si è spezzato, ed è precipitato lungo una direzione assurda?

I motivi della rottura di Sergio

Questa domanda ci riguarda, e a questa domanda dovremo dare una risposta: è questo l’unico modo che abbiamo per prendere omaggio al ricordo di questo compagno che poteva e doveva vivere e morire in un altro modo. Non si tratta di un caso singolare, ma della esemplificazione più tragica e dolorosa di una condizione più larga. Romeo si era allontanato da noi, da tempo, con riluttanza dapprima, poi sempre più decisamente. Andava convincendosi, lui e altri con lui, che ‘il nostro lavoro era troppo “lento” era troppo “Iegalitario”.’
Pesava fortemente, su lui e su altri, la difficoltà della lotta sul problema delle carceri, una lotta cresciuta attraverso la politicizzazione dei detenuti, la conquista di un punto di vista di classe, il legame con la lotta del proletariato, la maturazione di un programma d rivendicazioni e di forme di azione disciplinate e collettive; ma una lotta, anche, che aveva trovato, negli ultimi due anni, la risposta della repressione frontale e dell’inasprimento, al di là delle belle parole, del fascismo giudiziario e carcerario.

Una sconfitta pesante

In questa sconfitta, perché di una sconfitta, sia pur non definitiva, si trattava, noi chiedevamo di riconoscere i limiti della nostra azione, nella formazione di una più ampia coscienza di massa e di una più vasta mobilitazione di forze democratiche a sostegno della giusta lotta dei detenuti; e ci battevamo contro la tendenza, prodotto organico della repressione e della ferocia della classe dominante, a buttar via come fallimentare la costruzione cosciente e collettiva del movimento dei detenuti, la subordinazione dei suoi contenuti e delle sue forme alla lotta generale del proletariato, e a ritornare a un modello di ribellione individualistico e avventurista, nell’illusione che quella che era una retrocessione politica tragica fosse una scelta più avanzata.
Questo modello di lotta, esteso dal carcere all’intera società, rimetteva al primo posto la ribellione e all’ultimo la politica; rimetteva al primo posto la disponibilità rabbiosa a combattere e all’ultimo la volontà di costruire una prospettiva di vittoria nella lotta delle masse.

Il loro modello di lotta e i nostri limiti

Questo modello di lotta, ormai endemico in Italia, in forme diverse, equivale all’incapacità di padroneggiare i termini dello scontro di classe, dei rapporti di forza tra le classi, della linea di massa, per orientare una prospettiva di vittoria, e a sostituirvi una ribellione che altro non è che il rispecchiamento senza prospettive della ,violenza della classe dominante e del suo stato.
Questo modello di lotta non può essere concepito, oggi, come una “malattia di crescita” del movimento rivoluzionario, come la fase iniziale della sua maturazione; al contrario, esso è la conseguenza rovesciata di un limite nella capacità di egemonia, di chiarezza, di convinzione del movimento rivoluzionario. Di un limite nostro, dunque. E sarà necessario discuterne a fondo, e a lungo, al di là di questa circostanza, perché non è in ballo solo il destino di alcuni compagni – la cui vita è preziosa, ed insopportabile che venga distrutta malamente – bensì il destino della lotta alla quale tutti noi dedichiamo la nostra vita.

Dalla riflessione alla battaglia politica

Sarà necessario discutere dei nostri errori, ma al tempo stesso scontrarsi politicamente con la responsabilità grave che si assume chi non per ingenuità o generosità irruenta compie scelte sbagliate, ma chi le promuove pur conoscendone il destino di sconfitta. A questo compito politico noi dobbiamo guardare, ben più che alle speculazioni poliziesche e alle montature provocatorie.
Non mancheranno i tentativi di chiamarci in causa, ma non ci preoccupano. Lotta Continua non si finanzia con le rapine, né con gli assegni dei petrolieri, ma con il contributo volontario e pubblico di decine di migliaia di proletari. Qualunque avvoltoio voglia imbastire provocazioni, non ci impedirà di dire che Romeo, o Mantini, sono stati dei compagni, hanno creduto nella giustezza di una linea che era invece sbagliata e suicida.

Un’indicazione da combattere

C’è qualcuno, a Firenze, che ha incollato manifesti che dicono: “I compagni caduti restano una precisa indicazione di scelta e di lotta per tutti i comunisti”. 
Noi diciamo con fermezza che non è così, che quella indicazione porta alla sconfitta e che dev’essere combattuta; e che nessun altro modo esiste, fuori di questo, per ricordare questi compagni uccisi, per far sì che non siano morti invano. Non è più tempo di incertezze o di confusioni. Chiunque ritiene di avere la sua “indicazione” da dare al movimento di classe, la dia, facendo i conti con una sola questione. La necessità di costruire, per il movimento di classe, per le grandi masse, per la ·grande maggioranza del proletariato, una prospettiva di vittoria.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

1 Comment on “29 ottobre 1974. Così Lotta Continua ricorda Romeo e Mantini, i due compagni dei Nap ammazzati

  1. Non sono d’accordo neppure a 43 anni di distanza con la comparazione che fa LC tra la repressione violenta di Stato e la scelta armata da parte di avanguardie coscienti rivoluziorarie che dovevano pur finanziarsi..

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