L’arresto di Salah e la lezione di Molenbeek

salah
il blitz contro salah a molenbeek

La cattura di Salah, la primula rossa della guerriglia islamista nel cuore dell’Europa, a Molenbeek, rappresenta un indubbio successo delle sempre screditate forze di sicurezza belghe eppure non è per niente rassicurante.
La sua presenza nel quartiere di Bruxelles dove era cresciuto, un’area a forte presenza maghrebina a pochi chilometri dal luogo simbolo dell’Unione, pone più di un dubbio. A cominciare dal più semplice: ma non doveva essere in Siria? Fonti dei servizi francesi e belgi avevano infatti accreditato un suo arrivo nei territori controllati dall’Isis tre giorni dopo la strage del Bataclan in cui era morto suicida il fratello e di cui era l’unico “operativo” sopravvissuto.  A prendere per buona quella segnalazione, quindi, il pericolo pubblico numero uno è andato (e ancora ci può stare se ha giocato sull’effetto tartaruga tipico delle prime indagini: Achille è più veloce ma quando arriva sul punto l’animale ha avuto il tempo di spostarsi) e venuto tranquillamente, attraversando molte frontiere o un paio di valichi di aeroporto. Sarebbe, a questo punto, più rassicurante pensare che il giovanotto non si sia mai mosso dal “suo” territorio in cui era riparato subito dopo le stragi del 13 novmebre. Salah, infatti, come la stragrande maggioranza dei reclutati nati e cresciuti in Europa, è un giovane malavitoso con una storia di furti e poi di spaccio, avvicinatosi alla fede radicale in carcere, ben radicato in una comunità che comunque vive, in tutta evidenza, un forte spirito di scissione dalla società ospitante, anche dopo decenni di convivenza. Ne è prova evidente l’ostilità manifestata da molti abitanti del quartiere che hanno esplicitamente contestato le teste di cuoio in azione. Tocca quindi mettere in discussione la favoletta tranquillizzante di un’infezione esterna e isolata, di individui frustrati e risentiti preda della capacità di seduzione di callidi reclutatori e cominciare a ragionare sulle dimensioni di un’area sociale che se non arriva alla complicità attiva è quantomeno indifferente allo scontro in atto e insofferente alla pressione poliziesca, finendo così per rappresentare un buon terreno di cultura per la diffusione dell’infezione islamista, come spiega Carlo Bonini: “Polizia e servizi segreti di due Paesi gli hanno dato la caccia per 4 mesi: era nascosto nel suo quartiere, si è spostato di neanche 30 minuti d’auto. Significa che la ricerca non ha funzionato ma anche che c’è stata una rete solida e pericolosa che lo ha coperto”

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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