15 dicembre 1976: muoiono Walter Alasia e due poliziotti che volevano arrestarlo

MILANO, 15 – Walter Alasia, 22 anni, sospettato di appartenere alle Brigate Rosse. Vittorio Padovani, vice questore dirigente del commissariato di Sesto e Sergio Bazzecca, maresciallo di PS appartenente al SDS (Servizio di Sicurezza) hanno perso la vita in un conflitto a fuoco questa mattina a Sesto S. Giovanni. Durante un’ operazione cui ha partecipato personalmente il capo del SDS per la Lombardia Piantone, agenti di PS e CC si erano presentati a casa di Walter Alasia, in un caseggiato popolare di Sesto S. Giovanni alla periferia di Milano, per· effettuare una perquisizione nell’ambito delle indagini per l’azione dei NAP ieri a Roma.

Nel corso delle perquisizioni in Lombardia ci sono stati alcuni fermi e pare un arresto.La perquisizione, come le altre effettuate nelle stesse ore, era stata ordinata dal sostituto procuratore Alessandrini. Era stato lo stesso maresciallo Bazzecca a ricevere il mandato dalle mani di Alessandrini nella serata di ieri. A casa di Walter Alasia ci sono andati perché il giovane era sospettato da tempo di appartenere alle Brigate Rosse, come ha detto· in una conferenza-stampa il Questore di Milano Sciaraffia (lo stesso che ha diretto la repressione contro i giovani che manifestavano alla Scala); i sospetti derivavano dal materiale trovato nell’appartamento di Pavia di Antonio Savino, ritenuto un covo delle BR in cui la polizia fece irruzione il 10 novembre scorso.

Un’operazione preparata da tempo

All’operazione di questa mattina infatti hanno partecipato anche agenti della polizia di Pavia. E’ da notare che il maresciallo Bazzecca aveva già partecipato ad un altro arresto di sospetti appartenenti alle BR: anche allora ci fu una sparatoria e fu proprio in quella occasione che Bazzecca ottenne la promozione a maresciallo. Dalle notizie diffuse si tratta dunque di un’operazione preparata da tempo ma effettuata solo ieri, dopo gli avvenimenti di Roma. Ad essa hanno partecipato in prima persona i più alti esponenti del SDS lombardo.

La versione fornita dalla polizia afferma che, quando alle 5,45 i due poliziotti hanno bussato alla porta (mentre gli altri circondavano l’edificio),ad aprire è venuta la madre di Walter Alasia, che nel frattempo si era rifugiato nella sua stanza : alla vista degli agenti il giovane avrebbe sparato con una «Beretta» con calibro modificato da 7,65 a 9. Secondo le prime versioni i due poliziotti erano muniti di giubotti anti-proiettile, in seguito però questa circostanza è stata smentita. II vice-questore Padovani è morto sul colpo mentre il brigadiere Bazzecca è deceduto in seguito al Niguarda.

Le versioni contraddittorie della polizia

A questo punto le versioni ufficiali si fanno particolarmente contraddittorie: sinora le agenzie ne hanno trasmesse tre diverse tra loro. Secondo la prima Walter Alasia , dopo aver fatto fuoco. sarebbe uscito dalla finestra (la sua abitazione è al piano terreno), nel cortile gli altri poliziotti avrebbero aperto il fuoco colpendolo: mentre il presunto brigatista giaceva al suolo gli agenti si sono avvicinati credendolo morto. ma Alasia avrebbe improvvisamente sparato ancora. A questo punto è stato colpito con raffiche di mitra mentre era ancora a terra.

Una versione successiva afferma che Alasia è morto subito sotto i colpi che gli agenti hanno sparato mentre usciva dalla finestra.
La terza versione, fornita per ultima, sostiene invece che Walter Alasia si sarebbe solo finto morto ma che all’ arrivo dell’ambulanza avrebbe cercato di fuggire aprendosi la strada sparando. La polizia non ha reso noto quanti. colpi il giovane avrebbe esploso con la sua pistola per uccidere i due agenti del SDS e per cercare poi la fuga. Le prime testimonianze dei vicini parlano della polizia che sparava con i mitra sul giovane uscito dalla finestra. (…)

Il ricordo di Infoaut

Frequentò l’Itis di Sesto per due anni, per poi continuare gli studi in una scuola serale. Diventò poi operaio meccanico alla Farem, dalla quale si licenziò. Lavorò poi in un officina come installatore di apparecchiature telefoniche e infine alla stazione centrale di Milano, come scaricatore di pacchi postali. Iniziò a militare in Lotta Continua, per poi passare alla lotta clandestina nelle Brigate Rosse. Fu probabilmente uno tra gli appartenenti alle BR di cui più si parlò, sia per la sua tragica fine e la sua giovane età, sia per lo straordinario carattere e impegno che genitori, amici e compagni descrissero.

Morì in casa della madre, che aveva peraltro dato indiretto appoggio alle azioni portate avanti dal figlio, nascondendo armi e documenti, dopo aver resistito all’arresto e aver aperto fuoco sui carabinieri, uccidendone due. Da subito la sua figura e quella della sua famiglia fu vittima di una campagna mediatica con cui lo si voleva per forza descrivere come un mostro, un assassino. In questa campagna di diffamazione, col quale si cercò di stravolgere, portare al negativo ogni frammento della sua vita, si distinse in maniera particolare Leo Valiani, giornalista del Corriere della Sera, che scrisse un articolo in cui si augurava che venissero identificati ed arrestati tutti i partecipanti al funerale di Walter.

Gli operai di Sesto ai funerali di Walter Alasia

A quei funerali però partecipò Sesto San Giovanni, dai giovani agli anziani, dagli operai agli studenti. Questo perché, come dichiarò la sua fidanzata Ivana Cucco, “Walter non era figlio di nessuna variabile impazzita. Era figlio del suo tempo e di Sesto San Giovanni, la rossa Sesto […]. Sono gli anni delle grandi lotte operaie, delle stragi di stato, delle rivolte studentesche, del Cile, del Portogallo, dell’antifascismo militante, dei gruppi extraparlamentari, delle occupazioni di case. Tutte esperienze che Walter ha attraversato fino alla scelta e alla militanza nella lotta armata, che era comunque una scelta di vita e non di morte. Una scelta ed un bisogno di liberazione tanto forte e irrinunciabile da arrivare anche a giocarsi la vita.” Vogliamo ricordarlo riportando delle righe scritte di suo pugno

Non è neanche immergendosi nello studio e nei ‘lavori di casa’ che ti liberi e ti realizzi diversamente. Le cose che si vogliono bisogna prendersele […]. Io sono uno dei tanti che pensano di cambiare qualcosa – e non ritengo di essere un utopista come dice mio padre – quelli che dicono così vogliono nascondere la loro paura e il loro egoismo. Quindi pensa che la tua libertà te la devi costruire – questo l’unico consiglio, anche se troppo generico che posso dare.”

Vincenzo Morvillo su Contropiano

«Non piangerete mica per quel criminale?» Fu quanto si sentirono dire, il padre e la madre di Walter Alasia, dopo che i poliziotti gli avevano sparato alle spalle, lasciandolo ucciso sul cortile, davanti casa. Aveva vent’anni, Walter.

Erano entrati alle 5 del mattino, in casa Alasia, gli sbirri, in tenuta antisommossa e armi in pugno. Walter aveva sparato, trovandosi di fronte a cotanto schieramento e potenza di fuoco, ammazzando due poliziotti. Erano anni tosti, quelli. Anni durante i quali le Forze dell’Ordine sparavano senza preavviso, per primi e per uccidere. Durante le manifestazioni. Durante i blitz. A Via Fracchia, a Genova, qualche anno più tardi, gli uomini di Dalla Chiesa faranno lo stesso, lasciando a terra quattro compagni, nel cuore della notte.

Walter-alasia

Si era in guerra. Una guerra dichiarata, per di più, dal Potere “democratico” – bombe, stragi, repressione, torture, arresti – in nome dell’anticomunismo ma, soprattutto, in nome di quei moderni moloch dal nome di plastica bruciata: Mercato, Profitto, Petrolio, Denaro. Una guerra civile dichiarata unilateralmente – il giudice Spataro se ne faccia una ragione – dalle èlite borghesi e dai loro rappresentanti al Governo, e avallata moralmente dalla piccola borghesia bottegaia e impiegatizia, apatica e schiava dell’ambizione sociale, contro la pericolosa avanzata del movimento operaio.

La ritirata del Pci e la sua collaborazione

Un’avanzata tanto pericolosa, che anche la maggior parte dei vertici del PCI – il partito della classe operaia – batté in ritirata, davanti alla sfida ambiziosa del possibile sogno rivoluzionario, preferendo storici compromessi con quelle fazioni politiche che altro non erano – e non sono – che comitati d’affari della borghesia liberal-liberista, allo schierarsi al fianco di operai, studenti, giovani, disoccupati, lavoratori, insomma di quelli che, naturalmente, avrebbero dovuto essere considerati compagni. Compagni che, invece, molti iscritti di quel PCI lasciarono soli, a combattere, quando non preferirono spedirli nelle patrie galere, tra anni di reclusione e torture.

Una ritirata, per giunta, aggravata da delazioni, collaborazioni con Polizia e Magistratura, accuse di terrorismo, approvazioni di Leggi Speciali e via discorrendo, fino alle falsificazioni storiografiche messe in campo, dopo gli anni ’70 ’80, da vincitori di una battaglia effimera, che ci ha condotto all’oggi tragico che conosciamo. Troppi diritti, esigevano gli ultimi. Troppi, tutti e subito, stanchi da secoli di oppressione e vessazione. Il Comunismo offriva – offre – il sogno di un riscatto, e loro lo volevano vivere.

All’interno di quella guerra, dunque, come altri, tanti di quella generazione, Walter, aveva fatto, da poco, la scelta, dolorosa e tragica, della Lotta Armata. Era entrato nelle Brigate Rosse, con l’idea che soltanto insorgendo in armi, contro quello Stato che, non solo maciullava diritti e persone, ma non si faceva scrupoli a massacrare civili innocenti, per tutelare gli interessi padronali, imprenditoriali e politici, e per salvaguardare gli equilibri geo-politici sanciti a Yalta, si potevano difendere le classi sociali più deboli e instaurare, con esse e per esse, una società più giusta, equa e libera.

Un sogno di libertà e di uguaglianza sociale

Quell’aspirazione, quel sogno, quel bisogno di Giustizia, Libertà, Uguaglianza sociale fu interrotto, quella mattina del 16 Dicembre 1976, da un colpo alla schiena sparato dai difensori in divisa di quello stesso Stato democratico, a Sesto San Giovanni. Sesto la rossa. «Me lo hanno ammazzato, me lo hanno ammazzato», grida fuori di sé la madre, operaia della Magneti Marelli e Comunista.

Immediatamente – a testimoniare quanto si diceva più su, rispetto alle scelte della sinistra istituzionale – il sindacato, CGIL in testa, proclama due ore di sciopero per onorare i due poliziotti morti e condannare il terrorismo. Il giorno seguente, però, il Comitato operaio Magneti e il Collettivo Falck diffondono un volantino contrario alla proposta del sindacato, mentre il Coordinamento operai comunisti Breda siderurgica, Fucine, Termomeccanica espone un cartello dal contenuto analogo nei reparti. 

Gli operai di Sesto San Giovanni ai funerali

Nel volantino dei Comitati comunisti per il potere operaio si invitano gli operai a piangere i propri morti e non quelli degli altri e si indica che il vero terrorismo è «quello economico che fanno i padroni, è quello della stampa, è quello che 50 poliziotti armati di mitra hanno fatto a Sesto nelle vie della Rondinella, ieri mattina alle 5 e 30 contro gli operai che andavano a lavorare».

Scrive Emilio Mentasti in “La guardia rossa racconta-Storia del comitato operaio della Magneti Marelli”: «Venerdì 17, si svolgono i funerali delle vittime, il sindacato partecipa a quello dei due poliziotti, mentre i Comitati operai decidono di andare a quello di Alasia: sono in 300 e portano una corona di fiori con scritto: A Walter gli operai comunisti rivoluzionari di Sesto […]C’è nebbia, il comune rosso, di nascosto, anticipa le esequie di quasi un’ora. Nonostante questo, 300 compagni riescono ad essere presenti, 80 sono della Marelli, c’è anche Lotta continua di Sesto». Quando arriva il carro funebre , «i compagni della Magneti, che erano molti e noi della Breda ci siamo disposti su due ali: ognuno aveva il suo garofano rosso, i pugni si sono levati e si è intonato L’internazionale».

Da quel momento, la colonna milanese delle Brigate Rosse prenderà il nome di Walter Alasia e sarà guidata, per un periodo, da Mario Moretti – sia detto per ricordarlo ai dietrologi: è ancora in carcere – e Barbara Balzerani.

Noi, Walter, lo vogliamo ricordare così, col sole negli occhi e la pistola in pugno, morto a vent’anni per un ideale, giusto o sbagliato che sia. Un ideale, un sogno che si chiama Comunismo.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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