10 agosto 1982: Pierluigi Concutelli uccide Carmelo Palladino
Il 10 agosto 1982, nel cortile del carcere di Novara, Pierluigi Concutelli, alla presenza di una nutrita pattuglia di militanti dello spontaneismo armato (di destra) strangola Carmelo Palladino, quadro storico di Avanguardia nazionale, detenuto da qualche mese per i depistaggi di Elio Ciolini, che attribuisce alla sua organizzazione il ruolo di terminale italiano di un complotto stragista internazionale.
L’accusa: Carmelo Palladino ha fatto arrestare Vale
Gli addebitano l’aver messo gli investigatori sulle tracce di Giorgio Vale, il militante dei Nar ucciso il 5 maggio 1982 da un colpo alla testa dopo una violentissima sparatoria in un appartamentino del Quadraro: la tesi del suicidio fa acqua e i suoi compagni di lotta sono convinti che sia stato “sorpreso” nel sonno e “liquidato” con un colpo alla tempia. Tra i più convinti sostenitori della tesi di “Vale tradito” c’è Fabrizio Zani: “E’ semplicissimo – mi scrive – Giorgio è stato venduto perché aveva rifiutato l’arruolamento in Avanguardia nazionale”.
Se è vero che la Digos può irrompere nel covo perché blocca sotto casa l’affittuario (l’avanguardista Luigi Sortino) e gli prende le chiavi, un’approfondita inchiesta di Nicola Rao, che attinge a fonti riservate di polizia, non trova tracce della soffiata di Palladino ma avvalora un lavorio autonomo degli investigatori per la scoperta del rifugio della penultima primula nera dei Nar (l’altro super-ricercato Gilberto Cavallini cadrà solo un anno e mezzo dopo).
Carmelo Palladino cade nell’anno nero delle carceri
Il delitto matura in un clima intossicato e gravi sono le responsabilità dell’amministrazione penitenziaria che trasferisce il vecchio avanguardista in un carcere dove forte è la componente dei detenuti rivoluzionari di destra. Palladino sceglie liberamente di andare in cortile, proprio allo scopo di chiarirsi con i camerati avversi, ma resta gravissima la scelta del funzionario che ha disposto quel trasferimento.
Nella seconda metà del 1982 il clima nel circuito speciale, le carceri di massima sicurezza volute dal generale Dalla Chiesa per ridurre l’operatività di terroristi e criminali organizzati, è avvelenato da sospetti e risentimenti, a cui concorre sicuramente una sapiente strategia di intossicazione da parte dell’antiterrorismo e dei suoi quadri nell’amministrazione penitenziaria.
Qualche pentimento, non solo tra i brigatisti rossi e neri ma anche tra i camorristi (si pensi a Pasquale Barra) sarà conquistato proprio grazie a un sapiente gioco di pressioni e di velate minacce di abbandono del detenuto “attenzionato” alla furia dei “killer delle carceri” che in quell’anno orribile sono scatenati.
L’alleanza micidiale tra Partito guerriglia e Nuova camorra organizzata
La vicenda la ricostruisce mirabilmente un ex detenuto politico, un bandito sociale genovese, arrestato per rapina ma vicino alle posizioni anarcosituazioniste di Azione rivoluzionaria. Il libro, formidabile, è “Andare ai resti“, edito qualche anno fa da “Derive e Approdi“. Secondo Emilio Quadrelli, nella fase evidente di sconfitta del movimento lottarmatista, ormai imploso per i pentimenti a catena, dilaga la paranoia e si innesta una alleanza devastante tra i brigatisti più oltranzisti, il Partito guerriglia di Giovanni Senzani, radicato tra i detenuti politicizzatisi in carcere, e la Nuova camorra cutoliana.
La vasta pubblicistica sull’omicidio Palladino, a partire dalla comune responsabilità di Concutelli, tende a ricondurlo alla precedente esecuzione (aprile 1981) di Ermanno Buzzi, il ladro e truffatore accusato della strage di Brescia, per avvalorare tentativi di chiusura di spiragli di verità sulle stragi. Vincenzo Vinciguerra prova ad accreditare la pista di una vendetta di Concutelli per la rottura consumata con Stefano Delle Chiaie agli inizi del 1976, dopo una missione “mercenaria” in Africa.
La campagna contro la vecchia guardia
Invece di stringere il cerchio sul colpevole, bisogna allargare il cono di luce sul contesto e sul clima che in carcere si respirava in quei mesi terribili. I detenuti spontaneisti, presenti in quel cortile, erano impegnati da tempo in una campagna contro la vecchia guardia, collusa con i servizi segreti: Franco Freda è accoltellato da Egidio Giuliani a Novara, Massimiliano Fachini è pestato a Rebibbia da Marcello Iannilli. Quindici giorni prima, con modalità atroci, i militanti napoletani del Partito guerriglia avevano ucciso a Trani un loro compagno, Ennio Di Rocco, che aveva ceduto a un interrogatorio pesante procurando l’arresto di Senzani.
Nicola Rao in “Il piombo e la celtica” offre una ricostruzione molto precisa e dettagliata dei fatti. A cui posso aggiungere una congettura: al volantino di rivendicazione, che Concutelli si è attribuito, ha messo mano Lele Macchi, che era presente nel cortile. Suoi alcuni sintagmi, suo il modo di costruire l’argomentazione, originale rispetto ai modelli di comunicazione politica della fascisteria.
L’omicidio di Carmelo Palladino
Nello stesso angolo del cortile di Novara Concutelli, stavolta da solo – almeno così lui ha sempre dichiarato –, strangolerà un altro camerata: Carmine Palladino. È il 10 agosto 1982. Da fuori, i latitanti superstiti hanno fatto arrivare la notizia che Vale è stato tradito da qualcuno della rete avanguardista che lo aiutava. Uno dei leader storici di Avanguardia, Carmine Palladino, è stato da poco arrestato dalla polizia. Anche lui (come Vale e come tanti altri, nel corso delle diverse piste che si apriranno e si chiuderanno di continuo) verrà accusato, insieme a Stefano Delle Chiaie, di avere a che fare con la strage di Bologna.
Ma per i Nar ha ben altre colpe. Dopo una breve (e misteriosa) inchiesta interna si sono convinti che, subito dopo l’arresto, Palladino abbia detto all’Ucigos: «Seguite Sortino e troverete Vale». E fanno arrivare al «comandante» di Novara la «fibbia».
Le accuse di Concutelli a Carmelo Palladino
Ecco come Concutelli ricostruisce quell’episodio con il giornalista Giuseppe Ardica:
A Novara trovai Carmine Palladino, un uomo di Avanguardia Nazionale, su cui nutrivamo sospetti da tempo. Sapevamo con certezza che era un confidente della polizia già nel 1968. Quando i Nar cominciarono ad alzare la testa e a sparare, Carmine Palladino seppe da un camerata che Giorgio Vale, dopo un periodo di latitanza [sic] era rientrato a Roma. Palladino, evidentemente sollecitato dalla polizia o dai carabinieri, riferì agli inquirenti che se dovevano catturare Vale avrebbero dovuto soltanto seguire il ragazzo che lo aiutava. Il resto è noto. […] Gli altri, i ragazzi, si fecero avanti per ammazzarlo.
«Lo faccio io», affermava baldanzoso qualcuno. «Ci penso io», ribatteva orgoglioso e tronfio qualcun altro. Compresi benissimo che lo facevano per aizzare me, per provocare la mia reazione. Tanto è vero che poi questi «camerati» così decisi e feroci sparirono nel nulla. In fuga nella merda, come seppie nel blu dell’oceano. Io avevo già una condanna definitiva all’ergastolo: ero rovinato. La mia vita era ormai finita, distrutta. Dissi a tutti che se Palladino doveva morire me ne sarei occupato personalmente. Emanai la sentenza di condanna a morte e mi sobbarcai anche il peso di eseguirla. […]
Trovai una cordicella – un filo della rete del tavolo da ping-pong che sostituii alle stringhe delle scarpe da ginnastica. In tasca infilai due legnetti che mi sarebbero serviti come impugnatura, per evitare di tagliarmi le mani durante l’esecuzione. E naturalmente preparai anche la rivendicazione scritta della condanna a morte: «Il tribunale rivoluzionario ha condannato il delatore Carmine Palladino…» Un pomeriggio scesi all’aria con quel lacciaccio e portai a termine il macabro lavoro. I giornali e i magistrati si scatenarono. All’improvviso, quasi per incanto, l’uomo che avevo ucciso si rivelò un testimone importantissimo per fare luce sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980
La rivendicazione del Movimento rivoluzionario
Da fuori i Nar si affrettano a rivendicare l’uccisione di Palladino, ma lo fanno con una sigla diversa, quella già usata da Concutelli: Movimento Rivoluzionario. Un contenitore nel quale possono riconoscersi anche quei camerati detenuti che, per motivi geografici e anagrafici, non fanno parte dei Nar. Vengono inviate due copie del volantino, una all’Ansa e una alla redazione romana di Panorama:
Il Movimento Rivoluzionario interviene a proposito del drastico provvedimento che ha determinato nel carcere di Novara l’annientamento di Carmine Palladino. L’azione va vista non soltanto in un’ottica punitiva per le responsabilità di Palladino nella cattura e nell’uccisione di Vale, ma anche come affermazione di identità di un gruppo rivoluzionario in antitesi al sistema e a quelle forze che al sistema giovano.
Ormai l’attacco alle vecchie organizzazioni, accusate pubblicamente di connivenze e collusioni con gli apparati dello Stato, è dichiarato: Ci riferiamo, ad esempio, ad Avanguardia Nazionale, una delle espressioni che, provenienti dall’alveo dell’estrema destra più retriva, continua nel tentativo di coinvolgere rivoluzionari in buona fede nella sua occulta ricerca di legami con le istituzioni (siano essi carabinieri o i servizi sia italiani sia esteri). Quanto al gesto compiuto dal camerata Concutelli, esso è specchio di una esigenza e di un comportamento collettivo.
La reazione dei familiari di Carmelo Palladino
Insomma, Palladino è stato ucciso non solo per aver venduto Vale alla polizia, ma anche perché esponente di primo piano di Avanguardia Nazionale. Ma la famiglia di Palladino non ci sta. E respinge l’accusa più infamante: quella di essere un delatore. Si rivolge a un avvocato tra i più noti del circuito nero, il bolognese Marcantonio Bezicheri, e contrattacca. Il legale diffonde un comunicato in cui i famigliari di Palladino scrivono:
I famigliari di Carmine Palladino hanno intenzione di avviare un’inchiesta con tutti i mezzi a loro disposizione per appurare la verità sulla morte di Giorgio Vale. La famiglia esclude che Carmine sia stato un delatore, con specifico riferimento all’irruzione nel rifugio di Giorgio Vale.
Ma il documento cita anche fatti precisi. Quattro episodi che, per la famiglia, sono molto sospetti:
1) Il fatto che si sia tenuto il segreto sull’uccisione di Carmine Palladino per quasi due giorni.
2) Il fatto che Carmine, unico tra i suoi coimputati, sia stato trasferito, senza congruo motivo, non si sa per ordine di chi, dal carcere di Ravenna a quello di Novara.
3) Il fatto che dopo l’arresto (16 aprile 1982) non sia stato subito portato in carcere e messo a disposizione dei giudici, ma tenuto per una ventina di giorni in segregazione in un luogo che non era un carcere e trattato in modo inumano.
Le obiezioni dell’avvocato di Carmelo Palladino
Il quarto episodio lo spiegherà direttamente Bezicheri:
Se Elio Ciolini [il toscano che, dalla Svizzera, indicherà una nuova pista per la strage di Bologna: massoni internazionali, Delle Chiaie e Avanguardia e Nar, tutti insieme appassionatamente, N.d.A.] ha fatto dichiarazioni fondate, perché si è lasciato che queste venissero ampiamente diffuse dalla stampa e perché sono stati lasciati in libertà personaggi della Loggia di Montecarlo che Ciolini indica come mandanti?
Se, al contrario, le dichiarazioni di Ciolini non presentano sufficiente credibilità, così come non sono stati spiccati mandati di cattura contro i mandanti, non avrebbero dovuto essere spiccati nemmeno nei confronti degli elementi dell’estrema destra che lo stesso Ciolini indica come esecutori
È tutta Avanguardia a schierarsi in difesa dell’onore di Palladino. Adriano Tilgher, a sua volta arrestato per le rivelazioni di Ciolini, il 31 agosto fa uscire dal carcere di Bologna una lettera pubblica, nella quale difende la storia del movimento che ha presieduto:
Avanguardia Nazionale, piaccia o non piaccia, durante la sua esistenza, terminata nel 1976, è stata una componente importante dell’ambiente nazionale. Oggi, guarda caso, diffamata per bocca di elementi che pretenderebbero di esserne paladini. Riaffermando la non esistenza attuale di Avanguardia Nazionale, ribadisco la non attaccabilità sul piano morale di questa organizzazione, né come gruppo, né tramite i suoi aderenti che non hanno mai mandato alcuno in galera.
Anche Delle Chiaie, grande amico di Palladino, in uno dei nostri incontri giura sul fatto che non avrebbe mai potuto tradire un camerata, per quanto di un’altra organizzazione.
La denuncia per sequestro di persona
Qualche elemento oggettivo, però, c’è. E saranno gli stessi famigliari di Carmine a confermarlo.
Nel settembre del 1982 il padre di Palladino, Domenico, si presenta alla procura della Repubblica di Roma e deposita una denuncia per violenze, maltrattamenti, abuso d’ufficio e sequestro di persona contro la polizia. Secondo la ricostruzione dei famigliari, Palladino viene arrestato il 16 aprile su mandato di cattura del tribunale di Bologna nell’ambito delle indagini sulla strage. Ma, invece di essere portato in carcere, verrà tenuto per venti giorni nella caserma della polizia di Castro Pretorio, sede, tra l’altro, sia del Reparto mobile (i celerini) sia del Nocs. E qui picchiato e torturato per farlo parlare.
Ora, i tempi coincidono perfettamente con quelli dell’assalto in via Decio Mure e della morte di Vale, avvenuto il 5 maggio. Per i famigliari, insomma, Palladino fu sequestrato dall’Ucigos, picchiato e torturato per venti giorni, ma non disse nulla. Però proprio in quei giorni la polizia ottiene la «soffiata» su Sortino (peraltro vecchio amico di Palladino e militante, come lui, di Avanguardia) che la porterà, nel giro di pochi giorni, al covo di Vale…
Francesca Mambro:
Non so come è andata davvero quella storia. So solo che Sortino e Palladino erano molto amici. Poi vai a sapere come sono andate le cose, cosa hanno detto a Palladino quando l’hanno arrestato. Se lo hanno minacciato, se lo hanno torturato. Forse la verità non si saprà mai con certezza.
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