11/9: chi era Osama bin Laden prima dell’attacco all’America
Lo jihad globale diventa realtà nell’esperienza del Fronte per lo jihad contro i crociati e i sionisti, meglio noto come al Qa’ida, la Base. Il suo fondatore è Osama Bin Laden, figlio del costruttore di corte dei Saud, erede di un immenso patrimonio che gli permetterà di finanziare l’attività del suo movimento. Bin Laden si forma alla scuola di Sayyid Qutb. L’incontro con il pensiero del teorico egiziano, diffuso dai Fratelli Musulmani radicali nelle scuole coraniche e nelle università saudite, dove i più colti tra essi troveranno rifugio come docenti dopo essere fuoriusciti dall’Egitto, avviene all’Università di Gedda.
Gli studi di Osama
Osama studia economia e amministrazione pubblica ma nelle obbligatorie materie islamiche è allievo di docenti come Muhammad Qutb, fratello di Sayyd, e Abdallah Azzam. Il primo, custode dell’ideologia del fratello scomparso, è autore di un importante studio sul concetto di jahiliyya; il secondo, vero ideologo della futura guerriglia islamista anti-sovietica in Afghanistan, è un palestinese di Jenin. Azzam, dopo aver combattuto nella guerra dei Sei giorni e organizzato la prima resistenza armata palestinese contro Israele, disattendendo il parere degli stessi Fratelli Musulmani, gruppo al quale apparteneva, si dedica alla riflessione ideologica e all’insegnamento.
Da Qutb, Bin Laden apprende le più importanti categorie del suo bagaglio ideologico. In particolare, la concezione bipolare religiosa tra «partito di Dio» e «partito di Satana», tra islam e jahiliyya, tra regno della fede e regno dell’incredenza e dell’errore; il concetto di jihad come esperienza di rivolta contro il Nemico interno ed esterno. Bin Laden sposa anche la concezione qutbiana secondo cui i membri del «partito di Satana», composto da cristiani ed ebrei, al di là delle divisioni su questioni contingenti, sono uniti dall’idea di soggiogare l’islam e distruggere le avanguardie della resurrezione islamica. L’appoggio occidentale a Israele è la prova eloquente del teorema.
L’incontro con il maestro Azzam
Ma nella formazione ideologica di Bin Laden è decisivo anche l’incontro con Abdallah Azzam. Lasciato l’insegnamento a Gedda, Azzam si stabilisce a Peshawar, dove organizza l’inquadramento ideologico dei volontari, per la maggior parte arabi, che affiancano i mujaheddin afghani nella lotta contro l’URSS.
Nella rivista che dirige, «Al Jihad», Azzam teorizza lo jihad come obbligo religioso nei confronti dei nemici della fede. Per l’ideologo palestinese, lo jihad non deve arrestarsi dopo la vittoria contro i sovietici ma deve proseguire coinvolgendo altre realtà «empie», sino a quando non un solo nemico della fede resterà nella Casa dell’islam. Azzam vede come ideale terreno di prosecuzione dello jihad paesi come la Palestina, il Libano, l’Asia centrale, la Somalia, le Filippine.
Le tesi di Azzam sullo jihad ricalcano quelle di Qutb ma, contrariamente all’ideologo egiziano, egli ha la possibilità di verificarle nella realtà. Stabilitosi a Peshawar nel 1982, Osama riallaccia i rapporti con il suo antico maestro Azzam e con lui recluta, per conto saudita e pakistano, e con il beneplacito americano, i «combattenti per la causa di Dio». Una parte di essi saranno ospitati in una struttura fondata dallo stesso Bin Laden, la Beit al Ansar, la «Casa dei sostenitori». Gli ansar erano i seguaci della prima ora del Profeta, che lo avevano sostenuto durante l’egira dalla Mecca a Medina. Osama ha, nella circostanza, il sostegno del governo saudita, e in particolare del principe Turki bin Faisal, il capo dell’Istakhbarat, il servizio segreto saudita.
30mila mujaheddin addestrati
Tra i volontari arabi che transitano nel Makhtab al Khidmat, il centro di reclutamento di Azzam e Bin Laden, vi sono molti militanti che hanno già combattuto lo jihad nei loro paesi. Almeno 30.000 islamisti radicali, provenienti da una quarantina di paesi musulmani, tra il 1979 e il 1992, transiteranno nei campi di addestramento di Azzam e Bin Laden. Tra loro, egiziani imprigionati dopo la morte di Sadat e l’insurrezione di Assiut, liberati in seguito da Mubarak, come Ayman al Zawahiri, bouyalisti algerini che hanno praticato la lotta armata contro il regime FLN già a partire dal 1982, ma anche islamisti sauditi e yemeniti cresciuti nelle scuole coraniche guidate dai Fratelli Musulmani e dagli ulama wahhabiti più intransigenti. Molti di loro combatteranno a fianco dei mujaheddin contro i sovietici e i loro alleati afghani.
A Peshawar nasce così un nuovo «internazionalismo» islamista. Migliaia di militanti si incontrano, combattono e discutono insieme della situazione politica e religiosa dei loro paesi. Si stringono rapporti che saranno riallacciati in futuro. I campi diventano le università dell’islamismo radicale, luoghi in cui «la comunità del fronte» jihadista mette a punto le strategie per instaurare lo stato islamico in ogni paese musulmano. È in questo ambiente che, dopo aver dato vita, grazie ai suoi ingenti mezzi, a propri campi di addestramento, Bin Laden costruisce la «rete» di contatti con gli jihadisti di tutto il mondo che sfocerà poi in al Qa’ida.
Nel suo zelo jihadista l’allievo Bin Laden supera il maestro Azzam, ucciso in un misterioso attentato nell’autunno 1989.
Vinti i russi, lo jihad continua
Dopo la sconfitta sovietica Osama non si limiterà a teorizzare la prosecuzione dello jihad in ogni paese in cui i musulmani «soffrono per mano dell’Occidente», ma cercherà di praticarlo. La sconfitta della superpotenza sovietica fa pensare a Bin Laden che sia possibile infliggere all’altra superpotenza, l’America, lo stesso trattamento. Nella rappresentazione del mondo jihadista è stato l’islam, e non gli Stati Uniti, a determinare il crollo del sistema comunista.
La guerra del Golfo, nel 1991, imprime un’accelerazione a questo progetto. Bin Laden è contrario, per motivi religiosi e politici, alla presenza delle truppe occidentali in Arabia Saudita. Egli non ritiene religiosamente legittimo che i «corruttori del mondo» calchino la terra del Profeta.
Osama si rifà a un hadith del Profeta che, in punto di morte, avrebbe raccomandato ai suoi di non permettere mai l’esistenza in Arabia di due religioni. Sul piano politico, invece, Bin Laden ritiene che l’insediamento di truppe americane a garanzia della monarchia saudita e dei nuovi equilibri politici determinati dalla guerra sia un ostacolo all’azione di movimenti islamisti jihadisti nell’area. Bin Laden offre ai Saud il sostegno delle sue milizie «arabo-afghane» a difesa del regno, cercando di convincerli, inutilmente, della necessità politica e religiosa di contare sulle proprie forze per contrastare Saddam Hussein. La risposta della famiglia reale è, ovviamente, negativa.
Lo scontro con la monarchia saudita
Bin Laden si allea allora ai gruppi ostili al re e getta un ponte verso l’opposizione religiosa guidata dagli ulama che chiedono a Fahd di islamizzare totalmente la società e di rompere l’alleanza con i paesi non musulmani, America in primo luogo. Il regime reagisce e Osama è messo sotto inchiesta ma, grazie alle sue solide relazioni, riesce facilmente a riparare all’estero. Va in Pakistan, poi in Afghanistan, dove la rete della sua organizzazione è ancora in piedi. Dall’Afghanistan si trasferisce poi nel Sudan di Hasan al Turabi, leader del Fronte nazionale islamico e ideologo del regime militar-fondamentalista, dove resterà sino al 1996.
Grazie alla sua presenza, il Sudan diviene rifugio di migliaia di «afghani» passati per la sua «rete». L’attentato al presidente egiziano Mubarak ad Addis Abeba nel 1995, per opera di militanti della Jama’at islamiyya partiti dalle basi sudanesi, provoca però forti pressioni internazionali su Khartum. Bin Laden deve così far fuoriuscire molti dei suoi seguaci dal paese nilotico.
Fonte: Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Laterza, 2002
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