Il mio bellissimo 12 marzo a Roma e qualche altra città

12 marzo a roma

Oggi ci tocca celebrare la “straordinaria bellezza del 12 marzo”. Io ne ho un ricordo assai vivido ed esaltato. Anche se ho veramente visto molto poco, tra pioggia scrosciante, fumo dei lacrimogeni e delle molotov, fiamme. Pistole le ho solo sentite, in più luoghi, con crescente intensità, fino al “concerto grosso” prima di piazza del Popolo. Il collettivo autonomo universitario era appena nato e quindi decidemmo di partecipare in ordine sparso, seguendo le proprie reti “amicali” e “politiche”. Mi ero intruppato nella testa del corteo, con i compagni delle diverse reti dei comitati comunisti, dietro lo striscione “Paolo e Daddo liberi“. Noi posillipini ci eravamo arrivati insieme ai “caivanesi”, avamposto meridionale dei “romani”…Riconoscemmo lo spezzone perché c’era Oreste Scalzone a distribuire il suo “Che fare”. Il primo foglio dei CoCoRi: 12 marzo, la piazza Statuto dell’operaio sociale. Eravamo subito dopo i compagni bolognesi di Francesco Lorusso, a cui spettava la prima fila del corteo.

Il pit stop sul Lungotevere

L’indicazione per noi “non organizzati” era una sola, chiarissima: “restate nelle fila e vi garantiamo la sicurezza, chi esce dalle righe sono cazzi suoi”. Così fu, arrivati a piazza del Popolo per il rientro alla stazione ci affidarono a uno scout che ci scortò facendoci scansare un paio di rastrellamenti. Compreso quello del 64, il bus che da San Pietro arrivava a Termini e fu bloccato a corso Vittorio Emanuele. Me lo sarei mangiato a morsi quando ci vietò di prenderlo, perché ero stremato. Il metrò dal Colosseo ci portò in salvo. E qui incrociammo una delle nostre poche compagne universitarie. Che pure si era divertita molto, con i fuorisede calabresi di Roma. Il giorno dopo, leggendo le cronache, rivolsi un affettuoso pensiero al nostro sherpa….

Ovviamente, con il mio felice intuito, avevo deciso che il posto buono per pisciare era un albero del Lungotevere. Solo dopo essermi alleggerito mi accorsi che non ero il solo indisciplinato: molti entravano e uscivano da un negozio aperto, portando via canne da pesca, papere imbalsamate e articoli di altro genere. A me rimase impresso un fucile da caccia a doppia canna, destinato probabilmente a diventare un cannemozze. Ad ogni buon conto le narrazioni di quel giorno immenso, in cui il cielo cadde sulla terra, sono assai variegate.

Una serie di testimonianze

Carmine Fotia (Pdup)

I gruppi e il Movimento

 Noi dell’estrema sinistra eravamo totalmente inadeguati: avevamo trasformato i nostri gruppi in assurde iperfetazioni ideologiche, frammentate in fazioni rissose dominate da piccoli apparati burocratici.

Il movimento, al suo nascere, critica tutto questo ma, per l’estraneità ai partiti tradizionali del Movimento Operaio e per la crisi della nuova sinistra, le novità cui accennavo prima vengono assorbite dall’egemonia culturale dell’Autonomia Operaia che predica la violenza diffusa e l’insurrezione di massa.

Il linguaggio è dannunziano (il brivido del passamontagna), ma non è la stessa cosa della violenza organizzata del terrorismo: è ugualmente inaccettabile ma appare come una sorta di catarsi che si verifica nell’atto stesso della violenza di massa. I brigatisti li deridono, ma attingono al movimento come base di reclutamento.

L’apocalisse a Piazza Venezia

Questo, grossomodo, era lo scenario in cui si collocava quel 12 marzo. Era stata convocata da tempo a Roma la manifestazione nazionale del movimento. La notizia della morte di Francesco Lo Russo a Bologna, ucciso dalle forze dell’ordine, infiammò gli animi, e non solo a Bologna. Era chiaro che la manifestazione sarebbe diventata una prova di forza con lo Stato ma anche, dentro il movimento, tra chi cercava lo scontro a tutti i costi e chi no.

Il corteo non era autorizzato. Cinquantamila persone si radunarono a Piazza Esedra. La testa del corteo l’avevano preso le femministe, le più ostili a una linea militarista. Dietro di loro, però, si erano organizzati i più duri; noi “moderati” stavamo verso la metà del corteo.

La mia compagna di allora stava lì tra le femministe ed io preoccupatissimo facevo la spola, perchè sapevo che era solo una questione di tempo: i duri ci avevano avvertiti che avrebbero attaccato la polizia. Noi eravamo pronti a reggere l’urto con lo scopo di condurre “in salvo” le migliaia di persone che non volevano partecipare agli scontri.

L’apocalisse comincia a Piazza Venezia. Quando le femministe sono gentilmente invitate a farsi da parte, capisco quel che sta per accadere e convinco la mia compagna ad allontanarsi.

Tra molotov chimiche e lacrimogeni

Facciamo appena in tempo a darci un appuntamento “dopo”, (dovete immaginare che allora non c’erano i cellulari) che una selva di molotov chimiche colpisce i cordoni delle forze dell’ordine che chiudono l’accesso alle sedi di Dc e Pci (Piazza del Gesù e via delle Botteghe Oscure) e via del Corso. Non avevo mai visto fiamme così alte e micidiali. Corro indietro per organizzare un deflusso dal cuore dello scontro ma faccio in tempo a vedere da lontano, in mezzo al fumo giallognolo e all’acre odore dei gas lacrimogeni, alcune figure con il trench bianco che si inginocchiano, prendono la mira e sparano contro la polizia.  

Capisco che uscirne sarà dura, ma non c’è alternativa: la gran parte del corteo non è organizzata per fare gli scontri, né vuol farli. Allora deviamo sul lungotevere e concordiamo con la polizia che saremmo arrivati pacificamente a Piazza del Popolo e poi ci saremmo sciolti.

Comincia a cadere una pioggia micidiale: sono quasi cieco perché non faccio in tempo a pulire gli occhiali che sono già nuovamente bagnati. In questa nebbia visiva attraverso il Lungotevere mentre ai nostri fianchi accadeva di tutto: compreso l’assalto a un’armeria.

Due avvertimenti a piazza del Popolo

Non corriamo per non creare il panico ma arriviamo a passo sostenuto in una Piazza del Popolo superblindata.

Ma non è affatto finita. Uno dei duri, mi si avvicina e fa: “Avete cinque minuti, poi scateniamo l’inferno”. Capisco che sembra una frase finta, tratta dal Gladiatore, ma giuro che me lo disse, così andavano allora le cose. Faccio in tempo a sentire il dirigente della polizia che mi dice: “In Piazza Venezia ci hanno sparato addosso. Avete cinque minuti, poi carichiamo. E non sarà una carica leggera”.

Avverto gli altri compagni e poi corriamo via, mentre alle nostre spalle risuonano le esplosioni delle molotov, e il gas dei lacrimogeni ci stringe alla gola.

Corro, ma ci vedo ancor meno di prima, la pioggia s’impasta con le lacrime di gas e di rabbia, d’impotenza e di paura. Fuggo alla cieca, dentro Villa Borghese, con il cuore in tumulto, verso l’appuntamento con la mia compagna. Fuggo da quella violenza dopo la quale nulla sarà più come prima.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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