14.2.71, Marina di Pisa: bomba uccide Giovanni Persoglio Gamalero
14 febbraio 1971, Marina di Pisa: lo studente Giovanni Persoglio Gamalero, figlio di uno dei maggiori imprenditori edili d’Italia, muore dilaniato da un ordigno posizionato fuori dalla macelleria di Aldo Meucci, reo di non avere aderito a uno sciopero Fiat. L’attentato venne organizzato nell’Osteria dell’Archetto di Luciano Serragli, ritrovo di anarchici e militanti di estrema sinistra e verranno condannati a 9 anni Vincenzo Scarpellini e Alessandro Corbara, nel cui diario era scritto «si saluta con esultanza il nascere e l’avanzare dei gruppi rivoluzionari” [Davide Steccanella, Gli anni della lotta armata]
I due colpevoli saranno condannati solo per omicidio colposo. L’ordigno era stato infatti collocato all’interno della serranda nel negozio e a causare la morto del 29 enne studente fuoricorso era stato il suo il suo spirito civico. Rientrava in auto con la moglie quando aveva visto il fumo uscire dal locale e si era perciò avvicinato, essendo investito in pieno dall’onda d’urto dell’esplosione. E’ la prima vittima della lotta armata in Italia, anche se non se n’è accorto ancor’oggi nessuno. Se si va a vedere qualsiasi storia del “terrorismo di sinistra” tutti riconoscono il primato ad Alessandro Floris, il fattorino dello Iacp di Genova, ucciso in una rapina della banda 22 ottobre. Dodici giorni dopo l’attentato di Marina di Pisa.
La matrice terroristica
La matrice terroristica è confermata dalla Rete degli archivi per non dimenticare:
Le indagini accertarono la matrice terroristico-politica dell’attentato, che fu opera di anarchici che volevano compiere un gesto dimostrativo nei confronti dell’esercente del negozio, accusato di non aver partecipato a uno sciopero di solidarietà in favore degli operai della FIAT.
Subito la pista rossa
Gli inquirenti seguono subito la pista rossa, indagando per primo su un vicino di casa di Meucci, un partigiano che gli era debitore per poi indirizzarsi verso il ritrovo dell’estrema sinistra. Ma a fare decollare e risolvere l’inchiesta sarà quello che è passato alla cronaca come il delitto dell’Archetto. Una storia noir favolosa, raccontata quasi 40 anni dopo dal capocronista della redazione pisana della Nazione, Giuseppe Meucci, in All’alba del terrorismo
Una notte di maggio del 1971 un cacciatore di farfalle notturne incontra sui Monti Pisani due uomini che trasportano un cadavere. Dalle prime indagini si scopre che si trattava di un oste che era stato avvelenato col curaro, ma presto emerge un collegamento con l’attentato che tre mesi prima aveva ucciso il giovane erede di una delle più importanti imprese edili italiane. Comincia così un noir pieno di personaggi e colpi di scena, dove torbidi legami familiari si intrecciano con i primi episodi di terrorismo in Italia. Che collegamento esiste tra l’oste avvelenato, il cacciatore di farfalle e il ragazzo ammazzato dalla bomba? A volte la realtà supera l’immaginazione: ecco una storia, nota come “il delitto dell’Archetto”, dove un menage a tre (la madre, la figlia e uno degli assassini) si intreccia con la nascente eversione a Pisa.
Le condanne per l’omicidio
Il protagonista del triangolo è un collega di Scarpellini nel ristorante. Corbara, impiegato della Provincia, il più politicizzato del gruppo, sarà imputato come organizzatore dell’omicidio ma assolto per insufficienza di prove. Per gli altri, invece, queste le condanne:
- Glauco Michelotti fu condannato a 24 anni di reclusione per l’omicidio di Luciano Serragli, con l’aumento di tre anni per occultamento di cadavere; inoltre a un anno e quattro mesi di reclusione per il procurato aborto di Paola Serragli e a sei mesi per la detenzione di munizioni da guerra.
- Vincenzo Scarpellini fu condannato a 24 anni di reclusione per l’omicidio di Luciano Serragli, con l’aumento di tre anni per l’occultamento di cadavere e di un altro anno per il furto del Myotenlis, il farmaco con il quale era stato eseguito l’omicidio; inoltre a un anno e quattro mesi di reclusione per il procurato aborto di Paola Serragli e a sei mesi per la detenzione di munizioni da guerra. A queste si devono aggiungere gli otto anni di reclusione per l’attentato di Marina di Pisa; la pena complessiva è, dunque, di 37 anni e 10 mesi di reclusione, ma la reclusione venne ridotta a 30 anni.
- Elsa Maffei fu condannata a 24 anni di reclusione per l’omicidio del marito con l’aumento di due anni per l’occultamento di cadavere e di un anno e quattro mesi per l’aborto procurato alla figlia; inoltre a quattro mesi di reclusione per la truffa alla compagnia di assicurazione. Complessivamente le furono dati 27 anni e 8 mesi di reclusione.
- Paola Serragli fu condannata a 11 anni di reclusione per l’omicidio del padre, con l’aumento di un anno per l’occultamento di cadavere e altri due anni per gli aborti a cui si era sottoposta. La condanna complessiva fu 15 anni di reclusione.
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