16 febbraio 1981: Cesare Maino fugge segando le sbarre

cesare maino

Cesare Maino, coetaneo di Mario Rossi, già arrestato dopo i fatti di Genova del 30 Giugno 1960, abbandonerà il gruppo 22 ottobre dopo il sequestro Gadolla del 5 ottobre 1970. A seguito degli arresti per la rapina allo IACP del 26 marzo 1971 fuggirà in Belgio, dove verrà catturato e estradato.

Condannato il 18 aprile 1973 dalla Corte di Assise di Genova, il 16 febbraio 1981 riesce ad evadere dall’Ospedale Maggiore di Parma, ma viene ripreso il 13 giugno 1981 su un pullman di linea Ivrea-Biella, insieme a Marina Premoli, una delle quattro militanti che l’anno dopo verranno fatte evadere dal carcere femminile di Rovigo. Nel corso del processo torinese del 1984 a Prima Linea manifesta la propria dissociazione, scrivendo a pagina 12 di una memoria difensiva riportata in un articolo di Repubblica del 12 luglio 1984: «Auspichiamo un sistema di regole di valori universalmente riconosciuti entro cui mediare e riconquistare critica e confronto. In questi confini mai più potrà esserci guerra…». Spiega, inoltre, di «non chiedere assegni in bianco», ma di offrire un «concreto risarcimento alla società offesa nell’impegno trasformativo e nel recupero delle nostre energie». È morto il 22 maggio 1993.

Il ricordo di Segio

Questo è il ritratto che Davide Steccanella ci offre di uno degli antesignani della lotta armata. Quello che la nostra impagabile fonte non ci dice è che Cesare Maino muore in solitudine. Ne dà infatti notizia soltanto un anno e mezzo dopo Sergio Segio:

È morto Cesare. Da più di un anno, l’abbiamo saputo solo adesso. Cesare Maino, una vita di lotte e di galera: il destino, si diceva e si sapeva una volta, di ogni vero rivoluzionario. (…) Ne ha pagato tutti i prezzi, e qualcuno di più. Dal 1972 una vita di carcere, di pestaggi, di evasioni impossibili, di celle d’isolamento. Poi, infine, quella specie di libertà che è solamente assenza di galera. Un nuovo isolamento, forse più feroce, più duro da sopportare.

La sofferenza di una libertà che emargina, che stritola vite e memoria, che consegna agli stenti e seppellisce ai margini, che fa pagare sino all’ultimo il prezzo del sogno e della condizione sociale. Che frantuma le comunità dei valori e degli affetti. Che rende invisibili le vite e anche le morti. Vite pesanti come macigni, morti leggere come piume. È passato un anno e mezzo e nessuno l’ha saputo. Forse, quel 22 maggio 1993, con l’ultimo respiro avrà avuto un ultimo, terribile e doloroso, pensiero: dove siete, dove siamo finiti tutti?

I primi compagni della 22 ottobre

“Quando Mario Rossi, il 22 ottobre del 1969, torna a Genova – racconta Donatella Alfonso – sa già con chi deve andare a parlare, chi saranno i suoi possibili compagni d’avventura, quelli dai quali invece, nelle fabbriche milanesi e nemmeno a Ivrea, ha trovato risposte convincenti. I primi nomi li ha tutti in mente: Giuseppe Battaglia, Aldo De Scisciolo, Gino Piccardo, Cesare Maino, Adolfo Sanguineti. (…) Cesare Maino è il primo dei ragazzi di piazzale Adriatico che ha incontrato; Rossi e Battaglia, insieme, vanno a parlare a Cesare. È coetaneo di Mario, i suoi primi passi nella politica anche lui li ha fatti intorno alla «Rino Mandoli», con la diffusione dell’unità e le discussioni davanti alla sezione di Ponte Carrega.

Quel ragazzo con la maglietta a striscia

Ma è stato anche uno dei ragazzi con la maglietta a strisce, e quel pomeriggio del 30 giugno ha partecipato agli scontri; anzi, proprio quel giorno ha conosciuto un Battaglia ragazzino che scappava dalle cariche della celere giù per i vicoli, ed è stato lui a tranquillizzare il giovane calabrese sul come potranno rientrare insieme verso casa. A Maino però la fuga non riesce: è tra gli arrestati, farà otto mesi di carcere, la sua prima esperienza dietro le sbarre. Quando Rossi torna a Genova, dopo il Museo di Storia naturale di Milano e la Chatillon, Cesare ha collezionato qualche altro problema con la giustizia, piccoli reati, dalla rissa al furto; e il lavoro è quello degli «occasionali» in porto”.

A Cesare Maino è affidato il compito, insieme a Mario Rossi, di custodire Sergio Gadolla. Ma la sera prima del sequestro si fa coinvolgere in una rissa e gli rompono qualche costola. Alla fatale rapina dello Iacp non partecipa, invece, perché non è d’accordo con l’azione. E con lui altri due fondatori della banda. Lo spiega Gino Piccardo a Donatella Alfonso:

I rapporti con Feltrinelli

«Io, Cesare Maino e Aldo De Scisciolo non avevamo partecipato alla rapina allo Iacp; non eravamo d’accordo proprio a farla, perché Genova non era il posto giusto per questi lavori qua. Come sarebbero andate certe cose lo avevamo previsto, e diabolicamente si sono avverate. In ogni caso Mario un giorno prima ci aveva detto “State in campana”: sapevamo che, in caso di necessità, Fiorani doveva venire da noi e metterci in contatto con altri compagni a Milano. Ma lui con noi non si è mai fatto vivo, anzi si era comprato una casa poco distante da Ventimiglia, a Pigna, e si era fermato laggiù, dove poi l’hanno arrestato. Era Tino Viel, che tramite Gibelli, Porcù e soprattutto Faina aveva invece i contatti con Milano e direttamente con Feltrinelli; per questa strada è riuscito ad andare a Milano. Io invece della rapina l’ho saputo ascoltando la radio, dal Gazzettino della Liguria, alle dodici e mezzo…

La fuga in Belgio

Così io, Cesare e Aldo abbiamo lasciato Genova, siamo passati a Torino, poi in Svizzera e in Belgio, con i nostri documenti, solo con nomi diversi; qua e là abbiamo fatto qualche lavoretto, illegale, è chiaro, per tirar su un po’ di soldi. Perché non volevamo chiedere nulla a Feltrinelli, anzi rifiutando quei soldi che lui, “Osvaldo”, ci voleva dare a tutti i costi. Qualche amico mi ha raccontato che, in più occasioni, lui aveva parlato dei nostri rifiuti al finanziamento, un po’ sorpreso ma anche in fondo ammirato: “Questi di Genova sono l’unico gruppo che non mi ha mai chiesto una lira”.

L’avventura in Sudamerica

E qui comincia un’avventura picaresca. Il loro sogno è di andare a Cuba – magari dirottando un aereo – ma sanno benissimo che il Pci, che ne conosce perfettamente l’intimo legame con il grande partito comunista non permetterà mai di avallare un legame tra la sinistra “ufficiale” e chi aveva liquidato come banditi e criminali comuni. In Belgio aspettano un mese i passaporti e si imbarcano per l’Argentina, dove viveva un vecchio zio di Cesare. Che, ahi loro, era intanto morto. In Argentina il clima politico va verso la dittatura militare e così si spostano in Paraguay, dove però c’era il dittatore Stroessner.

Il viaggio è una replica western dei ‘Diari della motocicletta’. I tre, a cui non manca lo spirito d’avventura, per fare 750 chilometri comprato due cavalli da sella e un carretto con un cavallo. Nessun problema a rifornirsi di armi: tre fucili calibro 16 e 3 revolver, in cambio delle automatiche italiane. Non è stato un problema fare il cambio, perché alla Boca, il quartiere italiano di Buenos Aires, gli armaioli sono tutti genovesi.

Il ritorno in Europa

Al confine li arrestano per le armi. Si comprano la libertà, dopo dieci giorni di cella, regalando gli oggetti d’oro che hanno e così possono proseguire verso l’Iguazu, e da lì in Brasile per rientrare in Europa. Li aiuta un’inconsapevole addetta diplomatica che procura in due giorni un biglietto San Paolo-Rio-Roma-Bruxelles. Non erano passaporti falsi, ma documenti veri, con la foto del fuggiasco e i nomi di persone amiche, che hanno denunciato la scomparsa con calma.

A Bruxelles tentano una rapina ma va male: Piccardo è ferito e catturato, Maino e De Scisciolo sono presi dopo una rapida caccia all’uomo. Pur di liberarsene senza estradizione abbuonano la condanna per la rapina e li espellono verso la Francia che li prende in carico e li consegna in Italia dopo una breve sosta alla Santé.

La lotta continua, in carcere

cesare maino

Dopo la condanna a 15 anni al processo per la banda 22 ottobre, Maino entra nella white list delle Brigate Rosse per i prigionieri da liberare. Il primo tentativo fallisce di poco nel 1974. In occasione del sequestro Sossi è quasi fatta. Solo la cocciutaggine del procuratore Coco ferma il sogno di volare a Cuba. Nel 1978 la lista si è allungata da otto a tredici detenuti per salvare la vita ad Aldo Moro. Ma il nome di Maino rispunta anche nel convulso finale di partita. Lo racconta l’avvocato di Curcio, Giannino Guiso, trent’anni dopo in un’intervista: «Sarebbe bastato che un magistrato della Repubblica , nella sua indipendenza, concedesse la libertà provvisoria a un terrorista in carcere, uno come Cesare Maino che era quasi cieco, per esempio, o Paola Besuschio..

Le evasioni fallite …

Nel frattempo ci prova di suo. La prima volta a Firenze, ancora in attesa di giudizio. E’ il 9 ottobre 1973. Due i tentativi falliti nel 1977, l’ultimo anno di “fuga facile” dalle carceri. A febbraio è coinvolto in un’evasione di massa a Saluzzo. tre riescono a uscire dal muro di cinta. Due sono presi subito, uno tiene sedici ore in ostaggio una famiglia che abita di fronte al carcere. Poi si arrende. Gli altri tra cui Maino, il comontista Dorigo, il nappista Costa, il fratello di uno dei morti nel massacro di Alessandria, si barricano in cella, prendendo a loro volta quattro ostaggi. Un secondino e tre detenuti “neri”: Murelli, De Min, Marzorati. Li trasferiscono tutti.

Un altro indomabile: Scivoli

Maino finisce in Sicilia, nel carcere di Noto. Qui incontra un amico di Augusto Viel, Salvatore Scivoli, un comune politicizzato. Si mettono subito al lavoro ma tre catanesi li battono sul tempo, si fanno scoprire e vengono pestati duramente. I nostri eroi non si perdono d’animo: organizzano uno sciopero dei detenuti per impedire le rappresaglie e, riconosciuti come gli organizzatori, finiscono in cella di punizione e poi sono trasferiti. Maino a maggio “inaugura” il nuovo supercarcere di Fossombrone. Scivoli non molla la presa: arrestato nel 2007 come armiere delle Nuove Br si vede annullare dalla Cassazione una condanna a 7 anni. Nel 2018 è arrestato per rapina (ma non c’è traccia dell’esito processuale). Un paio di anni fa Scivoli pubblica un libro di racconti sulle lotte nelle carceri speciali negli anni ’70, Pasqualino il gatto guerrigliero.

Nel 1980 sono le mamme del Leoncavallo a scrivere a Franca Rame per sollecitare la sua scarcerazione per motivi di salute.

… e quella riuscita

E alla fine ce la fa, all’alba del 16 febbraio 1981. Ecco il racconto del cronista della Stampa, Vincenzo Tessandori:

Un saluto al medico del reparto, pochi giorni or sono: «Eh!, io fra poco me ne vado». Tutti capiscono che ha quasi finito di scontare la pena, guardano con simpatia quell’uomo magro, il viso sofferto. Da circa due settimane è ricoverato nel padiglione «Angelo Braga» dell’Ospedale Maggiore, reparto infettivi, primo piano, stanza n. 10, piantonamento e sbarre alle finestre. Ma i progetti del paziente , il detenuto Cesare Maino, 40 anni, militante della 22 Ottobre, gruppo armato genovese dei primi Anni 70 sono diversi: ha ricevuto qualche lima, non si sa come, e in una decina di giorni, poco alla volta, ha segato l’inferriata. E’ evaso ieri, prima dell’alba, calandosi dalla finestra con quattro lenzuola annodate assieme: il vecchio, sperimentato sistema ha funzionato anche stavolta. (…)

Due agenti per 4 detenuti degenti

Maino è ammalato, dicono ora gli inquirenti: ricoverato in ospedale il 3 febbraio, una settimana più tardi è stato sottoposto ai primi controlli: un esame sulla funzionalità epatica. E’ stato sottoposto anche a un piccolo intervento. Poi l’hanno portato al primo piano del padiglione dove, in fondo a un corridoio, c’è il «repartino» dei detenuti: due stanze, quattro degenti sorvegliati da due agenti di p.s. Maino appare sfinito, per giorni lo sostengono anche con le «flebo». Non pare neppure in grado di muoversi. Per andare al gabinetto deve sorreggerlo una guardia. La sorveglianza si allenta, non dovrebbe accadere, ma è fatale. Cosi lui spesso si chiude dietro alla porta del bagno.

La più classica delle vie di fuga

Quando è solo, forse, dalla tasca estrae i «capelli d’angelo» e comincia il lento lavoro di taglio. In pochi giorni una sbarra dell’inferriata è pronta per essere abbattuta. Il tempo stringe. Fra poco il detenuto sarebbe dovuto tornare in prigione. Cosi l’altra sera decide. Nel repartino c’è molto rumore. Una radio è al massimo. I reclusi non rispondono alle proteste degli altri degenti. Sono le 4 quando Maino chiede di andare al gabinetto. Cinque minuti più tardi la guardia bussa alla porta. Non ha risposta. Quando spalanca il battente un vento gelido la investe. La finestra è aperta, segata una sbarra dell’inferriata. Unica traccia, la bianca corda che penzola dal davanzale. Maino è sgusciato fra le due sbarre e si è calato per quattro o cinque metri fin nel vialetto interno. Poi è fuggito.

La cattura a Biella

La libertà dura poco. Quattro mesi soltanto. Maino è approdato a una rete di ex di Prima Linea. Il gruppo si è diluito in varie formazioni e gruppi di fuoco. Colp, Nucleo di comunisti, aspiranti al Partito guerriglia. In dieci giorni sono sette gli arrestati. Gli investigatori sono convinti che si tratti di una nuova colonna piemontese delle Brigate rosse. Si sbagliano.

Un finale triste

Le ultime tracce di attività politica Maino le lascia a Fossombrone nel 1983. Firma un documento polemico con il “ceto politico” per le dinamiche autodistruttive che oramai hanno fatto implodere la comunità prigioniera. Titolo esistenzialista: Ogni uomo deve avere delle buone ragioni per alzarsi al mattino. Lo firmano una dozzina di detenuti libertari, provenienti dalle esperienze di Prima Linea e di Azione rivoluzionaria. Poi la scarcerazione. Il silenzio. La morte a 55 anni.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.