19 marzo 2013, finisce la lotta di Nicola Pellecchia. Qualche ricordo molto personale

Ci sto girando attorno da ieri. Il memento di Nicola Pellecchia, morto il 19 marzo di sette anni fa, faccio fatica a scriverlo. Perché si affastellano i ricordi, tutti molti antichi, eppure vividissimi. E mi sembrano inadeguati solo lontanamente a restituirne la grandezza. E quindi per una volta scrivo per fatto personale, qualche storiella.
Ci conoscevamo già da ragazzini: frequentavamo entrambi i Giardinetti di Posillipo, io perché erano a fianco alla parrocchia che praticavo, lui perché erano l’area verde sotto il suo rione. Qui assistetti alla prima scazzottata “politica”: Nicola contro Marco d’Agostino, 20 centimetri più basso ma uno squadrista cazzuto. Ci incrociavamo spesso al lago Patria: io timoniere al Posillipo, lui nell’otto juniores del Savoia che avrebbe fatto sfracelli: forse furono campioni del mondo. Lui era il capovoga.

Un suo compagno di barca,Bulgarelli, che non era neanche alla lontana un compagno gli restò vicini negli anni della pena. A qualche assemblea o processo la presenza di questo sconosciuto mise in sospetto qualche compagno e mi toccò spiegargli il loro legame speciale. Una volta in piazza, in un fronteggiamento tra servizi d’ordine, Nicola mi graziò: sollevò lo stalin per farsi strada, mi riconobbe e si mise a ridere, scuotendo la testa. No, decisamente non poteva menarmi. E io mi feci da parte …
Nell’ottobre del 1974, dopo il mio accoltellamento davanti al Genovesi, furono i suoi compagni a organizzare una memorabile rappresaglia, che mise in campo il meglio dei servizi d’ordine napoletani. I fascisti non se n’erano accorti ma oltre a ferirmi di striscio avevano pestato un compagno a loro caro, uno del comitato di quartiere Forcella. E così, per sbaglio, aumentò il mio rango nella loro considerazione (l’ho scoperto vent’anni dopo…), credendo che fosse intestata a me la risposta. Nicola non credo che ci fosse, forse era già latitante: lo ricorderei come ben ricordo alcuni dei suoi. Dopo qualche settimana avrebbero rapito il cementiere Moccia. Lui ebbe un ruolo da protagonista: la consegna del riscatto avvenne nei giardinetti di Posillipo. Lo incrociai ancora una volta, in autobus. Non mi avvicinai. Ora manco da molti anni da rione Belsito ma per tanto tempo è stata viva una scritta murale, che lui ha fatto da ragazzo: La barricata chiude la strada ed apre la via. E quel ragazzo ne ha fatta di strada…

Per approfondire

Gigi Di Fiore – Il Mattino, 12.2.2013

Un pezzo bello e affettuoso, con due errori, uno veniale (è una figlia, non un figlio, fatta con Fabia Andreoli, la sua ragazza ai tempi di Posillipo, la sua compagna a Procida), uno per me grave (per motivi stupidi e tribali: forse il padre aveva studio al Vomero ma Nicola era posillipino doc, e aveva un legame particolare con il mare sin da ragazzo e questo spiega bene anche Procida)

Gli anni di piombo, i Nap a Napoli e la difficile lotta per la vita di Nicola Pellecchia

Gigi Di Fiore

Venne in redazione vent’anni fa. Da poco era uscito dal carcere, dopo aver scontato, senza essersi mai dissociato dalla sua scelta passata, tutta la pena. Sereno, sguardo da vita intensa, Nicola Pellecchia aveva accettato di raccontarmi la sua esperienza di fondatore napoletano dei Nap prima, passato in carcere con le Br poi.

Anni di piombo, terrorismo, impegno politico. In quel periodo, scrivevo una serie di pagine per Il Mattino sui personaggi napoletani di quegli anni, visti da più angolazioni: ex terroristi, vittime, inquirenti. Nicola mi parlò di una storia, la sua, che non rinnegava se stessa e che lo aveva portato in carcere nel 1975, con una condanna a 21 anni e mezzo. Era stato anche rinchiuso all’Asinara, poi trasferito nei giorni convulsi della trattativa Stato-camorra per il rapimento di Ciro Cirillo. Speravano potesse fare da tramite tra brigatisti fuori e in carcere. Non fece nulla.

Alla fine di una lunga chiacchierata, mi disse: “Ho parlato con piacere con te, ma non mi va che la mia storia faccia parte di quelle che stai scrivendo”. Andava bene così: comunque mi affidò ricordi, chiavi di lettura. Impegno politico, amici, privato. Annamaria Mantini, tra i giovani morti in quell’esperienza Nap, era stata la sua compagna.

Figlio di un avvocato civilista del quartiere Vomero, in quei giorni Nicola Pellecchia aveva cominciato a lavorare nello studio del genitore. Poi, la folgorazione di Procida. Mare, sole, pesca. Un’altra scelta di vita: si trasferì sull’isola, con la mamma e la compagna. Ebbe un figlio [in realtà una figlia, Velia, ndb]. E si schierò a difesa dei diritti dei 200 pescatori procidani, mettendoli insieme. Non era mai successo. Una vittoria. Meditava di scrivere un memoriale, tanti come lui lo hanno fatto. Dopo l’esperienza di quegli anni, alcuni sono diventati scrittori famosi.

Nicola sta male, molto male. Ha di quei tremendi mali contro cui o lotti, o cadi nella disperazione. Un primo intervento chirurgico a Napoli, poi da mesi il trasferimento a Milano per affrontare cure costose. Ai discussi funerali del brigatista Prospero Gallinari era assente e il suo nome è stato pronunciato tra quelli giustificati nel suo non esserci.

In questi giorni, su Nicola Pellecchia è partito un tam tam, soprattutto informatico, di solidarietà. Collettivi, reduci di quegli anni, militanti della sinistra, frequentatori di piazza Medaglie d’oro al Vomero negli anni Settanta: cene a tema, dibattito con Valerio Lucarelli (autore di un bel libro sulla storia dei Nap), concerti come quello di Daniele Sepe. Tutto serve a raccogliere fondi, sotto il coordinamento di Ada Negroni, altra reduce milanese di quegli anni di piombo.

In rete, gira una bella foto del volto di Nicola, baffoni e capelli lunghi ormai grigi, naso deciso. C’è fierezza in quell’immagine, di chi ha scelto, pagato, mai rinnegato. Con coerenza e, si sa, chi sconta la sua condanna va sempre rispettato. Comunque la si pensi. Nicola Pellecchia ora lotta per la vita. Quella che, nel bene e nel male, ha sacrificato alle sue convinzioni. Rispetto, ma non silenzio ora, se si può aiutare in concreto il “vecchio militante dei Nap”. Ora è solo un uomo coerente, che ha bisogno di mani tese.

Infoaut, 20.3.2013

Mai rinnegato, mai arreso, mai domo. Ciao Nicola!

Nella serata di ieri è morto Nicola Pellecchia, compagno napoletano considerato come uno dei fondatori dei Nap, successivamente passato in carcere nelle Br. Nicola venne arrestato il 13 luglio 1975 a Roma, due anni dopo venne condannato dalla Corte d’Assise di Napoli a 21 anni e 5 mesi di carcere.

Mai dissociato dalla sua scelta, mai pentito per quel percorso che aveva deciso di intraprendere e mai rinnegando il suo impegno politico, Nicola uscì dal carcere scontando tutta la pena, sempre a testa alta nelle durissime condizioni delle carceri speciali, rifiutando qualsiasi collaborazione con lo stato anche quando quest’ultimo, nelle sue innumerevoli strategie, ha cercato di avere il coltello dalla parte del manico, cercando in Nicola un tramite tra brigatisti fuori e in carcere. Un tramite che non trovarono in Nicola, che nella sua fermezza e serenità politica affrontò gli anni del carcere con lucidità e estrema coerenza. Una coerenza dimostrata anche una volta uscito dal carcere, quando si è trasferito nell’isola di Procida, dedicandosi ad organizzare i pescatori dell’isola contro lo strapotere dei grossi mercanti, per difendere i diritti di 200 pescatori, mettendoli insieme.

E se Nicola ha combattuto fino all’ultimo anche con la stessa malattia incurabile che lo ha condotto alla morte, rimane nel ricordo la sua storia, il suo impegno e il suo sguardo fiero che ha saputo guardare oltre i confini di quel mare che lo circondava, mai rinnegato, mai arreso, mai domo.

Valerio Lucarelli

Oggi concisi che andiamo a trovare Oreste. Il saluto per Nicola Pellecchia

“Oggi concisi che andiamo a trovare Oreste”. Così mi accogliesti quel martedì di inizio 2010. Pochi giorni prima Oreste Scalzone si era sentito male. Era sceso a Napoli per partecipare a una giornata di studi dedicata a Roberto Silvi.

Dovevamo parteciparvi anche noi, ma tu fosti trattenuto a Procida da un impegno all’ultimo momento e io non ebbi modo di intervenire.

D’altronde mi avevi avvertito “Devi vedere se riesci a parlare…”. Oreste, dicevamo, si era sentito male davvero ma, come al solito, aveva dato nessuna importanza alla cosa ritenendo di non poter mancare a un impegno al quale teneva. I medici dissero che ci era mancato poco. LEGGI TUTTO

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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