1.12.55: quel giorno Rosa Parks si stancò di arrendersi
A metà anni ’50, negli Usa ha luogo la prima grande rivolta afro-americana contro l’apartheid. Guida il Movimento il reverendo Martin Luther King, assassinato a Memphis il 4 aprile del 1968. Ad aprire il conflitto è una sarta di Montgomery: Rosa Parks.
Rosa Parks
«Trovo che se penso troppo ai miei problemi e al fatto che a volte le cose non sono come desidero che siano, non faccio alcun progresso. Ma se mi guardo attorno e vedo cosa posso fare, e lo faccio, progredisco.»
Rosa Louise Parks McCauley nasce a Tuskegee il 4 febbraio 1913.
Figlia di James e Leona McCauley, Rosa è di confessione metodista. Nel 1932 sposa Raymond Parks ed entra come sarta in un grande magazzino di Montgomery, in Alabama. A Pine Level, dove vive, i bambini bianchi si recano a scuola in autobus, quelli neri devono camminare: «Per me quello era un modo di vivere. L’unica scelta possibile era accettare le usanze. L’autobus fu una delle prime cose che mi fece comprendere che c’era un mondo per i negri e uno per i bianchi».
Un’attivista del Naacp
Nel 1943 aderisce al Movimento per i diritti civili statunitensi. Diventa segretaria della sezione di Montgomery della National Association for the Advancement of Colored People (Naacp). Negli anni Cinquanta inizia a frequentare un centro educativo per i diritti dei lavoratori e l’uguaglianza razziale. Alla Highlander folk School nel Tennessee, un ritrovo di attivisti bianchi e neri. Qui Pete Seeger e altri musicisti scrivono We shall overcome. La canzone destinata a diventare l’inno del movimento per i diritti civili.
Quel posto in autobus
Il 1° dicembre del 1955, Rosa torna a casa dal lavoro a bordo di un autobus. Non trova altri posti liberi. Così si siede nel primo sedile dietro alla fila riservata ai soli bianchi. Nel settore dei posti comuni. Dopo tre fermate l’autista le chiede di alzarsi e di spostarsi in fondo. Deve cedere il posto a un passeggero bianco salito dopo di lei.
Rosa, mantenendo un atteggiamento calmo ma risoluto, rifiuta di muoversi. Anche perché, essendo tutti occupati i posti riservati ai neri, sarebbe stata costretta a rimanere in piedi. Sulle gambe che, tra l’altro, in quei giorni le dolevano. «L’autista mi disse che se mi fossi rifiutata di lasciare libero il mio posto avrebbe chiamato la polizia. Io gli dissi di chiamarla» racconta in un’intervista a Radio Pacifica, nell’aprile 1956. «Dopo tanti maltrattamenti, ero arrivata al punto di non poterne più».
La polizia l’arresta
Allora, il conducente ferma il veicolo e chiama due agenti di polizia. Rosa Parks è arrestata e incarcerata per condotta impropria e per aver violato le norme cittadine. I neri sono obbligati a cedere il posto ai bianchi nel settore comune, quando in quello riservato non ve ne sono di disponibili.
Da quel giorno, Rosa Parks diventa The Mother of the Civil Rights Movement. Quella stessa notte, cinquanta leader della comunità afroamericana, guidati dal pastore protestante Martin Luther King, si riuniscono per decidere le azioni da intraprendere in reazione all’accaduto. Il giorno successivo incomincia il boicottaggio dei mezzi pubblici di Montgomery. Una protesta che prosegue per 382 giorni. Dozzine di pullman rimangono così stazionati in deposito.
La sentenza della Corte suprema
Il boicottaggio di Montgomery dà il via a numerose proteste in molte altre parti del Paese. Martin Luther King descrive l’episodio come: «L’espressione individuale di una bramosia infinita di dignità umana e di libertà». Il pastore aggiunge che: «Rosa rimase seduta a quel posto in nome dei soprusi accumulati giorno dopo giorno e della sconfinata aspirazione delle generazioni future».
Nel 1956 il “caso della Signora Parks” arriva alla Corte Suprema. La sentenza unanime decreta l’incostituzionalità della Legge Jim Crow sulla segregazione nei pullman pubblici dell’Alabama.
Negli anni seguenti, la figura di Rosa Parks diviene un simbolo per tutti gli attivisti antirazzisti statunitensi. Rosa inizia a ricevere numerose minacce di morte dagli ambienti segregazionisti bianchi. Non riuscendo più a trovare lavoro, agli inizi degli anni Sessanta decide di trasferirsi a Detroit, nel Michigan. Nel 1965 viene assunta come segretaria dal membro del Congresso John Conyers.
Il sostegno a Nelson Mandela
Negli anni Ottanta, Rosa partecipa alle proteste davanti all’ambasciata sudafricana a Washington DC. Quando conosce Nelson Mandela, dopo la sua liberazione, questi le dice: «Lei mi ha sostenuto in tutti gli anni passati in prigione».
Nel febbraio del 1987, fonda il Rosa and Raymond Parks Institute for Self Development insieme a Elaine Eason Steele, e nel 1999 ottiene la Medaglia d’oro del Congresso.
Dirà: «Trovo che se sto pensando ai miei problemi, e al fatto che a volte le cose non sono come io desidero che siano, non faccio alcun progresso. Ma se mi guardo attorno e vedo cosa posso fare, e lo faccio, io progredisco».
Rosa Parks è morta a Detroit il 24 ottobre del 2005 all’età di novantadue anni ed è stata la prima donna a essere sepolta nella rotonda del Campidoglio.
Ora e sempre Rosa Parks
In un articolo dal titolo Ora e per sempre Rosa Parks, a firma Amy Goodman e pubblicato il 2 febbraio 2013 sul sito web Pressenza si legge: «Quando morì, mi precipitai a Washington DC per il suo funerale e là incontrai una giovane studentessa universitaria. Le chiesi perché era là, con tante altre persone, ad ascoltare il servizio funebre dagli altoparlanti. Lei mi rispose con orgoglio: “Ho avvertito i miei professori che non avrei partecipato ai corsi perché oggi era un giorno importante per la mia educazione”.
Abbiamo molto da imparare da Rosa Parks. Di fatto, lei e altre giovani donne si erano rifiutate di cedere il proprio posto sull’autobus già prima del 1° dicembre 1955. Non si sa mai quando arriva quel momento magico. Il prossimo 4 febbraio il Servizio postale degli Stati Uniti emetterà un francobollo con la scritta “Rosa Parks Forever”, a dimostrazione del marchio indelebile lasciato dal suo attivismo. Rosa Parks non era una sarta stanca. Come disse lei stessa parlando della sua coraggiosa decisione: “Se c’era qualcosa di cui ero stanca, era di arrendermi”».
Rosa Parks, una vita da attivista
Anche la professoressa Jeanne Theoharis smonta il mito della sarta mansueta nel libro The rebellious life of Mrs. Rosa Parks, definendo quella di Rosa Parks: «La storia di una vita di attivismo, di una vita che lei stessa avrebbe descritto come ribelle, che comincia decenni prima dello storico episodio sull’autobus e continua per i decenni successivi»
FONTE: Davide Steccanella, Le indomabili, Pagina uno Edizioni.
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