2 agosto oltre le celebrazioni: le ragioni delle vittime, il grido degli innocenti, la battaglia politica

Ci sono diversi 2 agosto, sussumendo nella data, con una facile operazione retorica, l’evento più celebre avvenuto questo giorno.

Quello dei familiari delle vittime della strage della stazione. Che attendeno di sapere chi ha deciso quella carneficina, non accontentandosi, certo, della sentenza che identifica gli esecutori nei ragazzini dei Nar. Da quel fronte arrivano, a stretto giro, due distinti prodotti editoriali:

il dvd Un solo errore. 2 agosto 1980, con un booklet inedito con testi di Carlo Lucarelli, Antonella Beccaria,  Andrea Speranzoni e il video di Matteo Pasi

un libro sulla strage dell’Italicus, scritto da Paolo Bolognesi, deputato pd e storico rappresentante delle vittime della bomba alla stazione, e dal giornalista Roberto Scardova

Quello di chi saluta con soddisfazione  il dissolvimento della pista palestinese. Un’ipotesi investigativa che, sovraccaricata di aspettative globali di resa dei conti con la sinistra, ha finito per alimentare una polemica storica-politica senza avere la minima capacità di scalfire la realtà. Da me sollecitato, Giacomo Pacini, lo storico massimo esperto di apparati militari parastatali, così commenta la richiesta archiviazione per Kram e Frolich:

Come dissi un paio d’anni fa a Paradisi proprio sul tuo blog Ugo, ma possibile che non abbiate mai una perplessità? La più grave strage di civili del dopoguerra fatta da un tizio che andava in giro coi propri documenti e che era stato identificato il giorno prima alla frontiera. Ma via……. 
Ora, fino a quando si trattava di evidenziare alcuni limiti della sentenza che ha condannato Mambro e Fioravanti, eravamo su un piano di discussione accettabile. E infatti, intorno a questo si era coagulato un consenso bipartisan. Poi, improvvisamente, non si è più trattato di discutere di alcune incongruenze presenti nel giudicato penale di Bologna, ma di dimostrare in ogni modo che a colpire quel 2 agosto 1980 furono i palestinesi. Anche a costo di tenere insieme piste che chiaramente tra di loro confliggevano (e stendiamo un velo pietoso sulla pista Di Vittorio. Mi auguro che almeno si chieda scusa alla famiglia di quel povero ragazzo). Il tutto, appunto, usando toni sempre più perentori (“crolla l’ultimo segreto”, “ecco la verità”, “quello che ci hanno nascosto” ecc. ecc.) che alla fine hanno portato solo a uno sterile muro contro muro. Leggevo di recente il bel libro di Guri Schwarz e Arturo Marzano sulla vicenda dell’attentato alla Sinagoga di Roma. Pur essendo un libro simpatetico con le ragioni di Israele, Schwarz e Marzano, che sono due studiosi di alto profilo, parlando della “pista palestinese” per Bologna la liquidano come una mera congettura che richiederebbe verifiche più concrete. Che è appunto l’inevitabile conclusione alla quale, con gli elementi oggi disponibili, giunge chiunque tratti questo materiale con un approccio “distaccato” e non militante.
Quanto alla pista rossa per Brescia (sic) l’unico commento possibile è che c’e’ una destra che fa di tutto, ma davvero di tutto, per dare corpo ai peggiori e sciocchi pregiudizi di sinistra sulle persone di destra. Comunque lunedi sono 40 anni dall’Italicus; chissà, magari un morto a cui attribuire quella strage spunterà pure li…….

Per finire con chi, invece, ancora grida le ragioni  di chi per la strage di Bologna è stato condannato ma che, molto probabilmente, è anch’egli innocente. A scrivere in difesa di Luigi Ciavardini è Marcello de Angelis, ex parlamentare di An e poi del Pdl, ma all’epoca militante con suo fratello Nanni e con lo stesso Ciavardini, in Terza posizione:

Oggi che i magistrati chiedono l’archiviazione della cosiddetta «pista Carlos» sulla strage di Bologna, le racconto una storia. Mio fratello Nanni aveva 22 anni quando venne trovato impiccato in una cella di Rebibbia, il 5 ottobre del 1980. Dopo l’arresto l’avevano ripetutamente picchiato e in cella lo trovarono impiccato. La stampa non si interrogò troppo su quell’estremista nero il cui unico appeal mediatico era riferito a un sospetto infondato per il suo coinvolgimento nell’omicidio di Valerio Verbano quando poi, a scagionarlo, fu lo stesso padre del ragazzo di sinistra ucciso. Sei anni dopo la morte di Nanni un giudice si trovò tra le mani una ragazza il cui giovanissimo fidanzato era stato ucciso dalla polizia a un posto di blocco. Torchiata a dovere la giovane si rese disponibile a dichiarare qualunque cosa, persino che il fidanzatino, troppo giovane per aver mai conosciuto personaggi degli anni Settanta, aveva raccolto confidenze sul «vero» esecutore della strage di Bologna e gliele aveva trasmesse. Il colpevole sarebbe stato un altro ragazzino: Luigi Ciavardini. A questa rivelazione si aggiunse un contributo del massacratore del Circeo, Angelo Izzo, che faceva di tutto per accreditarsi come collaboratore per ottenere benefici, che assicurò ai giudici che se c’era Ciavardini non poteva non esserci mio fratello, che era suo amico ed era stato arrestato con lui. In quei sei anni la magistratura aveva già sbattuto in prima pagina almeno tre sicuri colpevoli risultati assolutamente estranei dopo appena poche settimane. Colsero la palla al balzo e una nuova soluzione del mistero della strage venne così costruita sulla testimonianza attribuita a un morto, che non poteva smentirla, e con un capro espiatorio anche lui comodamente morto e quindi nell’impossibilità di difendersi. Solo il caso volle che il 2 agosto mio fratello avesse un alibi, perché protagonista della finale del primo campionato di football americano in Italia, con tanto di riprese televisive che lo scagionavano. Ecco. Alla strage di Bologna si è voluta imporre una matrice politica prima ancora che si fosse svolta alcuna indagine. Per decenni le ricerche sono state indirizzate in una sola direzione e si è impedito agli inquirenti di rivolgersi dove altri elementi, più chiari e più razionali, potevano condurre. Mio fratello doveva essere lo strumento per chiudere l’inchiesta con un colpevole di comodo e occultare per sempre la verità. Nessuno ha mai pagato per quell’ignobile depistaggio.

Dell’innocenza dei ragazzini dei Nar è del resto convinto uno spicchio importante anche della sinistra radicale. Così Contropiano, nel salutare con soddisfazione la dissoluzione della pista palestinese, commenta:

Su questa inconsistente “base probatoria”, alcuni giornali cominciarono a “pompare” la cosiddetta “pista palestinese” in contemporanea con la campagna “innocentista” a favore dei due condannati come colpevoli della strage: Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Una condanna che non ha mai convinto molto neanche noi, da sempre certi che una strage di quella portata, in pieno 1980, alla vigilia dei 35 giorni alla Fiat e quindi alla fine forzosa del “decennio rosso” (1968-1980), non potesse essere farina del sacco autoreferenziale dei Nar. Roba da “servizi”, insomma, non da fascistelli dalla pistola facile. Ma questa è un’altra storia… Invece – all’inizio del nuovo millennio e in piena “guerra infinita al terrorismo islamico” dichiarato da Bush junior dopo l’11 settembre – mettere anche la Resistenza palestinese nell’elenco dei nemici ufficiali dell’Occidente era certamente un obiettivo israeliano. Chi, come noi, legge i giornali per mestiere e militanza  politica, ricorda come perfino “il manifesto” partecipasse alla campagna di lancio della “pista palestinese”. In nome del “dovere di cronaca”, ovviamente, ma per mano di Andrea Colombo, ex PotOp e tante altre cose, ma fresco di ritorno attivistico nella comunità sionista romana. Coincidenze, certamente. Che riportiamo per “dovere di cronaca”.

Certo, come scrive Contropiano, Andrea Colombo è stato sicuramente un protagonista della campagna innocentista (suo il testo fondamentale a discarico di Mambro e Fioravanti, Storia nera), un accanito sostenitore della “pista palestinese” e un sionista di ritorno, come tanti altri compagni folgorati sulla via di Gerusalemme, ma l’operazione nasce in tutt’altro ambito, il giro dei consulenti della commissione Mitrokhin di area Alleanza nazionale che cominciano a lavorare su materiale di archivio della Stasi. Quelli che io ho rispettosamente chiamato gli “sherpa”, riconoscendo loro il merito di apripista. E il primo giornale a pubblicare un corposo dossier sulla nuova ipotesi investigativa è Area, il mensile della Destra Sociale diretto allora, appunto, da Marcello de Angelis.

Per finire, tocca ricordare chi dell’evento fa occasione di battaglia politica. Così, da un lato, l’Espresso rievoca il fantasma di Aldo Semerari, di cui si sa benissimo come ha vissuto l’ultimo anno e mezzo e come e perché è stato ammazzato, e per vaghe congetture rilancia il sospetto che fosse il depositario del “segreto di Bologna”, riconducendo quindi la centrale ideativa della strage all’accrocco P2-servizi segreti-massoneria nera.  Dall’altro Gabriele Adinolfi, con ostinazione, ripropone lo scenario di una strage connessa a un trasporto di esplosivo” da parte palestinese e all’innesco a distanza da parte dei servizi segreti americani, israeliani o francesi per punire l’Italia della condotta altalenante con Ustica:

Si sa che a Bologna quel giorno c’erano cinque o sei militanti rossi (il sesto disintegrato dall’esplosione). Di questi sei quattro erano già noti come terroristi. A Bologna doveva aver luogo la consegna degli esplosivi provenienti da Parigi e dalla Sardegna nelle mani degli esecutori tedeschi. Dalle informative interne (quindi non atte a depistare l’opinione pubblica ma a informare i superiori) si sa che i portatori delle valigie vennero sacrificati a distanza. Da chi? Tre sole possibilità: americani francesi e israeliani.

 

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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