28.9.84. Ucciso Toni Chicchiarelli, un gigante del falso e delle rapine

Toni Chicchiarelli e i suoi cani

Fin dai primi anni Settanta i malavitosi dei vari quartieri di Roma continuano a trovarsi all’Alberone, dalle parti di via Appia Nuova e via Tuscolana, ma senza il colpo d’ala che permetta il decollo in banda. I più in vista sono Maurizio Massaria, detto «er Rospetto» perché non è propriamente un Adone. Alfredo De Simone, detto «er Secco» per la magrezza. Ettore Maragnoli, Pietro «er Pupo» e Luciano Gasperini, detti anche «i tre Ciccioni» per la stazza. Tutti più che altro basisti e ricettatori.

Angelo De Angelis, detto «er Catena», un certo Massimino che secondo alcuni di cognome fa De Angelis anche lui e secondo altri invece fa De Santis, Raffaele Pernasetti, detto «er Palletta», Enrico «Renatino» De Pedis, Mariano Castellani, Luigi Caracciolo detto «Gigione», Alessandro D’Ortenzi detto «Zanzarone», rapinatore e nazifascista convinto, e altri ancora rimasti sconosciuti.

Il professore nero e i due “negri”

Il soprannome «Zanzarone» non lascia sospettare che D’Ortenzi tra la fine del 78 e l’inizio del 79 farà da tramite con il professore Aldo Semerari, manovratore di terroristi fascisti e perito di fiducia con il piede in troppe staffe camorriste in lotta tra loro, una delle quali per vendetta gli farà fare una fine orribile. Si fanno vedere a volte anche Ernesto Diotallevi, detto «Ernestino er Negro» (come Franco Giuseppucci), scaricatore ai magazzini generali, Danilo Abbruciati, figlio di un ex campione italiano di pugilato, e Gianfranco Urbani, orgoglioso di essere soprannominato «er Pantera» perché svelto a colpire come un felino.

Un delinquente che amava davvero la pittura

C’è anche un vero innamorato della pittura, l’oriundo marsicano Toni Chichiarelli, truffatore, ricettatore e rapinatore, che entrava e usciva di galera, la prima entrata nel 70. Toni lavora di notte, firma le sue creazioni con lo pseudonimo Tony Relly, imita alla perfezione i capolavori altrui, specie quelli di De Chirico che ama alla follia, e la vertiginosa passione per i falsi lo porterà a intersecare a livelli molto sofisticati il caso Moro (…)

Chichiarelli: chi era costui?

Lo si è saputo solo dopo la sua morte, per la precisione dopo che è stato assassinato a casa sua il 28 settembre dell’84, a 36 anni.

Nato nel ’48 in un paesino marsicano, di fatto quindi conterraneo del marsicano Mino Pecorelli, dopo il servizio militare negli alpini Toni si trasferisce a Roma. Nel 1970 viene arrestato per possesso di pistole e mitra e inspiegabilmente rilasciato in tempi brevi. Dedito a furti, rapine, ricettazione e truffe, viene arrestato di nuovo nel ’73 e ’76, e durante quest’ultima carcerazione conosce a Regina Coeli Danilo Abbruciati, del quale diventa amico, e Giuseppucci «er Negro».

L’inizio delle conoscenza con «er Negro» non poteva essere peggiore: una scarica di cazzotti iniziata dal pittore. Ma alla riappacificazione ci pensa Danilo: chissà, forse affinità elettive tra pugili. Non ci sono però disavventure giudiziarie comuni, motivo per cui eventuali rapporti con la Magliana e affini non sono documentati con certezza.

Le amicizie con i fascisti e gli informatori

Toni Chicchiarelli scrive il falso comunicato br n. 7

Sono meno incerte le amicizie del pittore e falsario con il solito giro di estremisti fascisti a mano armata, Alessandro Alibrandi, Massimo Carminati, Massimo Sparti, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Chichiarelli, che firma i suoi quadri con lo pseudonimo Toni Relly, nel ’77 conosce Chiara Zossolo, titolare di una galleria d’arte a Trastevere nonché futura sua consorte, e la nuova conoscenza gli permette di entrare nel mercato dell’arte, soprattutto in quello dei falsi d’autore.

Un settore, quest’ultimo, nel quale Chichiarelli, innamorato in particolare dei quadri di De Chirico, era un autentico genio. La moglie gli farà conoscere anche un certo Luciano Dal Bello, trafficante con la Libia e informatore dei carabinieri, che gli presenta a sua volta un informatore della polizia, tale Giacomo Comacchio. E Dal Bello ad avvisare inutilmente i carabinieri di avere saputo che Chichiarelli è l’autore del falso comunicato brigatista numero 7.

Il grande colpo della Brink’s

Il furgone Brink's rapinato da Toni Chicchiarelli e i suoi compari

Che Chichiarelli fosse dedito non solo alla falsificazione di quadri, ma anche alle rapine a mano armata, divenne chiaro come il sole dopo la sua uccisione, quando la polizia accorsa sul luogo del delitto vi trovò, tra le altre cose, banconote provenienti dal «colpo» alla Brink’s Securmark di sei mesi prima, 24 marzo dello stesso ’84.

La Brink’s era del finanziere piduista e mafioso Michele Sindona e la rapina tra contanti e titoli fruttò 35 miliardi di lire dell’epoca, ma forse molto di più, pari quindi quanto meno alla colossale cifra di 150-200 milioni di euro. Senza dubbio meritato l’appellativo di rapina del secolo. Lo sdebitarsi dei servizi segreti e annessi e connessi per i favori ricevuti?

Sta di fatto che durante la mega rapina i banditi, che parlavano con accento piemontese e quindi non potevano essere del giro della Magliana, si erano proclamati a gran voce appartenenti alle Brigate Rosse e avevano in seguito lasciato a bella posta altre tracce «brigatiste» nella stessa piazza Belli dove, nel 1978, era stato recapitato il famoso comunicato fasullo n 7.

Quella foto originale di Moro prigioniero

Questa volta lasciarono, tra l’altro, copia delle quattro schede (su Mino Pecorelli, Pietro Ingrao, il giudice Gallucci e l’avvocato Prisco) «dimenticate» su un taxi dopo l’uccisione di Pecorelli, e la fotocopia di alcune pagine di un libro che riportava una risoluzione della direzione strategica delle BR. Nel margine delle fotocopie comparivano appunti scritti a mano: quella di Chichiarelli, accertarono le perizie.

La cosa inspiegabile è che Chichiarelli a tutto ciò ha aggiunto una foto Polaroid dell’onorevole Moro scattata almeno in apparenza durante il sequestro e definita dalle perizie autentica, cioè non un montaggio né la foto di una foto. Come è finita in mano al pittore falsario?

Quattro false piste brigatiste

L'Unità ricostruisce la morte di Toni Chicchiarelli

Le indagini sull’omicidio accertarono anche, con anni di ritardo, che Toni dopo la morte di Moro aveva seminato a Roma almeno altre quattro false piste brigatiste, con documenti apocrifi il 20 maggio 1978, altre due volte nel 1979 e l’ultima il 17 novembre 1980. Risultò essere sua la testina rotante della macchina da scrivere elettrica marca IBM con la quale era stato battuto il falso comunicato del lago della Duchessa del 18 aprile ’78.

Ed è stata la stessa vedova di Chichiarelli, Chiara Zossolo, a confermare con altri amici del defunto di sapere bene, per averlo appreso dal diretto interessato, che l’autore di quei depistaggi era suo marito. Secondo il neofascista Massimo Sparti, fornitore di documenti falsi che si faceva dare da gente della banda della Magliana per i neofascisti del giro di Fioravanti, nonché il teste chiave della strage di Bologna che ha portato alla condanna di Mambro e Fioravanti, Chichiarelli avrebbe confezionato il falso comunicato «per scherzo».

Non aveva rapporti con le Br

Secondo il testimone Gaetano Miceli avrebbe invece agito su richiesta delle BR, delle quali sarebbe stato «un pezzo grosso». Ma il giudice istruttore Francesco Monastero, responsabile delle indagini sull’uccisione del falsario, ha chiarito alla Commissione Stragi del parlamento che Chichiarelli «non aveva alcun rapporto con le BR autentiche, ma intratteneva rapporti significativi e qualificanti in altri contesti». Vale a dire, con personaggi di estrema destra e della malavita romana.

Non manca neppure chi, come il confidente dei carabinieri Luciano Dal Bello, ha parlato di rapporti con i servizi segreti, del resto evidenti dalle parole dell’«amerikano». Da parte sua, Dal Bello subito dopo il rinvenimento del falso comunicato numero 7 ha confidato a un carabiniere, tale Solinas, di avere saputo, tra varie altre cose, che ne era autore proprio Toni, ma la soffiata non ebbe seguito.

Una testina rotante dell’IBM

Per giunta, il caso vuole che nell’agosto del ’79 il pittore falsario e rapinatore sia stato fermato in auto per un controllo e che nella macchina gli trovassero una testina rotante di macchina da scrivere IBM. Toni se la cavò raccontando che fino a un paio d’anni prima era stato proprietario di un negozio di macchine da scrivere – in effetti nel 77 aveva aperto e poi chiuso un negozio di mobili e attrezzature per ufficio – e che doveva consegnare la testina a un cliente.

Poteva andare diversamente per chi era stato usato niente di meno che dal Dipartimento di Stato Usa e dal ministro dell’Interno italiano per prendere due piccioni con una fava, eliminare cioè Moro e la sua politica aperturista e far collassare le Brigate Rosse?

FONTE: Pino Nicotri, Cronaca criminale

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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