7.2.80: Prima Linea uccide William Waccher. Un fratricidio
- NOME VITTIMA Vaccher William
- AD OPERA Prima Linea
- LUOGO E DATA DI NASCITA Battipaglia (SA), 27 Maggio 1954
- LUOGO E DATA DI MORTE Milano (MI), 7 Febbraio 1980
Descrizione attentato:
Verso le 8.00 del 7 febbraio 1980 due giovani e una donna a volto scoperto esplosero numerosi colpi di arma da fuoco contro William Vaccher in via Magliocco 3, sotto la sua abitazione, a Milano. I colpi colpirono mortalmente l’uomo al capo, alla gola e al torace. L’omicidio fu rivendicato all’indomani da “Prima Linea” con un lungo documento in cui si accusava di delazione il Vaccher, già militante della stessa organizzazione, coinvolto nelle indagini sull’omicidio del dott. Emilio Alessandrini (del 29 gennaio 1979). I processi accerteranno che il fatto era stato commesso da appartenenti al gruppo terroristico che lo aveva rivendicato
Così il portale delle vittime del terrorismo, [sbagliando il cognome, che è Waccher] racconta una storia triste e feroce di Prima Linea, una storia peraltro frutto di paranoia. Siamo ancora all’alba della stagione delle delazioni di massa. Fino allora l’ “unico pentito” è Carlo Fioroni che ha coperto di accuse false e infamanti la rete militante di “Rosso“.
La cronaca dell’Unità
MILANO — Una vendetta, un segnale: i criminali di « Prima linea » hanno ucciso William Waccher. 26 anni, marginalmente coinvolto nell’inchiesta sull’uccisione del giudice Alessandrini, legato al gruppo degli autonomi della Barona e menzionato come teste nell’indagine sull’omicidio Torregiani.
La dinamica dell’agguato
E’ stato assassinato ieri alle 8,10 mentre usciva da casa in via Magliocco 3, da tre terroristi che lo aspettavano a poca distanza dalla sua automobile. Una vecchia Renault 12 lasciata sulle strisce pedonali all’angolo tra via Magliocco e via Pezzotti. “Willi”, così era conosciuto nel quartiere. Stava aprendo l’auto. Aveva già infilato le chiavi nella serratura quando li ha visti. Erano in tre. Due giovani e una ragazza. Si stavano avvicinando con le mani in tasca. Li ha riconosciuti ed ha capito che erano venuti ad ucciderlo. Ha tentato una disperata fuga verso il portone di casa.I primi colpi lo hanno raggiunto dopo pochi metri. 3, 4, 5 colpi. Waccher è caduto, sul marciapiede, ma ha tentato ancora un movimento alzandosi a sedere. I terroristi avevano evidentemente l’ordine di eliminarlo. La ragazza si è fatta avanti verso il giovane ferito, per esplodere il colpo di grazia, alla testa. Poi la fuga a bordo di una «Alfasud» verde. L’auto verrà trovata abbandonata poco lontano, in via Carcano.
Le telefonate di rivendicazione
Due successive telefonate ai giornali del pomeriggio rivendicano l’agguato. Nella prima, una donna dice: «Abbiamo sparato dieci colpi in via Magliocco. Prima linea». Nella seconda viene sottolineato il motivo dell’agguato: «Abbiamo ammazzato il delatore Waccher. siamo di Prima linea. Voglio anche dire che non siamo noi i responsabili di ieri a Roma » (dove due killer hanno assassinato un agente di polizia di 19 anni. ndr)
In nessuna considerazione è tenuta invece dagli inquirenti una telefonata giunta alle 11 al Giorno. Un anonimo ha detto: «Qui Ordine e giustizia, abbiamo fatto fuori Waccher per vendicare l’agente Maurizio Arnesano. Da oggi in poi per ogni agente uccideremo un brigatista ».
Un omicidio esemplare
E’ un’esecuzione all’interno del terrorismo, per eliminare uno che si è tirato indietro, che sa delle cose e che probabilmente le ha anche raccontate ai giudici. Non è il primo «compagno ucciso dai compagni » nella truculenta storia del terrorismo. In questi ultimi mesi sono venute terribili conferme, da Saronio a Campanile [entrambe si sono rivelate false accuse, ndb]. Ma William Waccher è il primo ucciso per strada, in un agguato alla luce del giorno. Evidentemente i clandestini hanno deciso di eliminare uno che poteva essere pericoloso e allo stesso tempo di dare un « esempio ».
Le cronache avevano parlato di William Waccher il 14 luglio scorso dopo la scoperta a Milano di un appartamento con armi e documenti che si collegavano all’assassinio di Alessandrini. William si presentò ai giudici di Torino, che indagavano sul delitto per chiarire la sua posizione, in quanto quell’appartamento appartiene al cugino Claudio Waccher, già arrestato. I giudici, dopo averlo sentito. lo fanno arrestare. Verrà rilasciato il 9 novembre in libertà vigilata. Ma il nome di William Waccher tornò alla ribalta con la emissione del mandato di cattura contro 15 giovani del collettivo della Barona.
FONTE: L’Unità, 8 febbraio 1980
Galfré: un macigno su quelle coscienze
Forse «la vicenda più feroce», scrisse Bocca, fu nel febbraio 1980 l’omicidio di William Waccher, un simpatizzante coinvolto nella rete di sostegno dell’organizzazione, ritenuto colpevole di tradimento. Arrestato nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio Alessandrini, Waccher, 26 anni, non si era dichiarato prigioniero politico e si era diffusa la voce che avesse parlato, non si sa quanto fondatamente. L’omicidio fu giudicato dagli stessi responsabili un «salto mostruoso», che risentiva del disorientamento del momento. La figura del pentito ancora non esisteva e questi primi fenomeni di «desolidarizzazione» colpirono e spaventarono molto anche perché furono vissuti come tradimento di persone più che di un’idea politica.
Poca gente ai funerali
La mattina del 7 febbraio William fu rincorso sotto casa e colpito al torace, alla gola e in mezzo agli occhi. «Come la mafia», commentò «l’Unità» il giorno dopo. Al funerale, un «mesto addio» con poca gente, niente striscioni e un solo pugno alzato e subito riabbassato, calò «un silenzio gelido». La sera prima su Radio popolare gli amici di Waccher sostennero una tesi confusa, che era quella di «Lotta continua» e di altri collettivi, secondo cui si doveva uscire dal terrorismo «senza galera e senza morire»: non fu in sostanza emessa – scrisse «l’Unità» – una condanna senza se e senza ma. Del resto «Lotta continua» – dove lo slogan «né con lo Stato, né con le Br» si era trasformato in «contro lo Stato, contro le Br» – all’omicidio dette meno risalto che alla notizia sui presunti rapporti tra Carlo Fioroni, Dalla Chiesa e i servizi segreti.
Ronconi: un vero dramma
L’omicidio di Waccher fu «un vero dramma» che colpì «più profondamente di altri, è anche per questo – ha detto Susanna Ronconi – che forse ho difficoltà a parlarne». Anche Segio ne parla oggi come di una scelta che «ci lacerò ancora più in profondità» perché l’astrazione necessaria a compiere un omicidio politico fu in quel caso impossibile. L’imbarazzo e il profondo disagio a parlare dell’omicidio Waccher non era dovuto solo alla sua spietatezza. Che – ne convenivano loro stessi – era quella di un qualsiasi altro omicidio. E nemmeno al suo carattere di fratricidio. Dimostratosi poi del tutto inadeguato a frenare la delazione. Il fatto è che l’omicidio Waccher seguì una logica in niente diversa da quella che le Br imposero in carcere con la «guerra agli infami». Quella del sospetto e degli omicidi efferati, che nei militanti di Prima linea trovò i suoi più implacabili critici.
L’impatto del pentitismo
Il fenomeno del pentitismo fu condannato senza mezzi termini anche da Prima linea. Ma è tuttavia innegabile che esso costrinse a una revisione critica delle categorie – la resa, la diserzione, il tradimento – necessarie a pensare la sconfitta della lotta armata. All’interno di un’organizzazione che, in contrasto con le Br, giustificò la sua dissociazione con il principio di reversibilità della lotta armata, alla metà degli anni ’80 cominciava forse ad apparire chiaro ciò che da tempo sostenevano i pentiti, cioè che senza questo processo di «desolidarizzazione» si sarebbe continuato a nascondere gli errori politici dietro un «cumulo di morti inutili». In questa ottica l’omicidio Waccher non poteva essere che un macigno su quelle coscienze.
FONTE: M. Galfré, La guerra è finita
Spataro: Waccher non era un collaboratore
Non ho alcuna positiva considerazione, invece, delle scelte opposte e del presenzialismo di Segio, che non perde occasione per
pontificare. A lui alcuni giornali – specialmente «la Repubblica» – hanno offerto e continuano ad offrire pulpiti insperati. Ognuno,
sia ben chiaro, ha diritto al reinserimento sociale. E’ una delle finalità del nostro trattamento penitenziario. Ma chi è stato autore
materiale ed ideatore-organizzatore di un così alto numero di omicidi dovrebbe conoscere il senso della misura. E dovrebbe avere il buon gusto di tacere. Invece Segio non solo continua a parlare ma non ho mai letto nelle sue parole una condanna inequivocabile del passato terroristico proprio e dei suoi compagni. Piuttosto preferisce ancora condannare i pentiti. Quelli di ieri. E finanche quelli di oggi. Non ricorda, forse, quanto certe parole possano cambiare il destino delle persone. Lui, la Ronconi ed altri, ad esempio, hanno ucciso nel febbraio del 1980, a Milano, William Waccher sul presupposto – totalmente infondato – che fosse un confidente o un collaboratore.
FONTE: A. Spataro, Ne valeva la pena
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