Lo scherzo del 7 aprile: c’è chi vince (Calogero) e chi perde (i detenuti)

Questo sarà un post corposo, ma la materia (il processo 7 aprile) e l’autore (Davide Steccanella: e il testo e l’assemblaggio di due interventi sulla sua pagina facebook) meritano spazio. Di mio ci metto una chicca: l’articolo di Franco Piperno sul primo numero di Metropoli che costò il sequestro del giornale …

Il PM che arrestava su “teoremi” e ha fatto carriera

“C’era una volta…” iniziavano le favole d’un tempo. Ma nessuna di loro continuava con “un Pm di Padova, città d’arte e cultura”. Quella di 41 anni fa non fu una fiaba ma una drammatica pagina di malagiustizia. Innescò un perverso intreccio di manette-politica-media che in seguito troverà diverse declinazioni con tanti saluti al diritto e a chi ci crede .Sulla base di quello che verrà significativamente definito un “teorema”, il dottor Calogero fece scattare la mattina di sabato 7 aprile 1979 uno dei più celebri blitz giudiziari della storia moderna. Accusò dirigenti e militanti di Autonomia Operaia di essere “il cervello organizzativo di un progetto di insurrezione armata contro i poteri dello Stato” e pertanto colpevoli di tutto quanto era avvenuto in Italia negli ultimi convulsi anni, sequestro Moro incluso.

La stagione dei blitz e dei teoremi sbagliati

In breve, lo seguiranno il romano Gallucci, la Procura di Genova (17 maggio), quella di Milano e altri ancora. Si susseguì così a una serie di retate indiscriminate in giro per l’Italia. Per citarne solo alcune: quelle dell’8 giugno e 21 dicembre ‘79, del 24 gennaio, 10 e 27 marzo ‘80, del marzo ‘81 fino al febbraio ‘82. Centinaia e centinaia di persone accusate di terrorismo sbattute dall’oggi al domani da un supercarcere all’altro a evidenziare la più totale ignoranza di quanto stava accadendo in quegli anni in Italia e nel mondo. Ci volle un’immensa fatica e solo i successivi e tardivi processi faranno giustizia di quello strampalato teorema.

Calogero si era convinto, non senza (in seguito accertate) collaborazioni con l’allora “glorioso” PCI, che a “governare” il sanguinoso conflitto sociale che nella seconda metà degli anni Settanta stava contrassegnando il Paese vi fossero “cattivi maestri” del pensiero. Costoro avrebbero a suo dire fintamente chiuso i battenti di Potere Operaio nel lontano 1973 per dedicarsi alla lotta armata. Al punto che Toni Negri fosse diventato il capo delle BR, nonché, per Gallucci, persino l’autore delle celebre telefonata fatta alla moglie di Moro da Moretti in corso di sequestro.

Ma Potop non ci azzeccava con la lotta armata

Oltre ad avere clamorosamente confuso un conflitto sociale nato prima nelle fabbriche e in seguito allargatosi nel disagio delle tante realtà del proletariato urbano di quegli anni per un’esercitazione intellettuale, il “granchio” politico era colossale. Anche solo fermandosi senza troppo impegno ai tre leader maximi del disciolto POTOP. Franco Piperno, nel famigerato articolo uscito su Pre-pint (che gli costerà anni di fuga e quindi di galera) citava la “geometrica potenza” di via Fani per rimproverare pubblicamente le BR di non coniugarsi con le spontanee rivolte di piazza di matrice ”autonoma” del movimento del ‘77 (per semplificare il concetto).

Come pure faceva Paolo Virno nell’editoriale di apertura del primo numero di Metropoli cui era allegato Pre-Pint, in cui stigmatizzava l’assalto BR alla sede DC di Piazza Nicosia in raffronto all’omicidio Schettini. Per capirlo sarebbe bastato leggere quel che con enfasi si sequestrava: «La DC non è colpita in quanto articolazione del rapporto di produzione, da esso diffusamente legittimata, ma come superfetazione del potere, come Partito borghese, come macchina elettorale».

Oreste Scalzone si era visto nascere sotto il naso Prima Linea proprio da una fronda ribelle di “Senza Tregua” in marcato dissenso dalla sua linea. E quanto a Negri, a prescindere dal fatto che si era smarcato anni prima dagli ex POTOP, il sol confondere il suo marcato accento veneto con quello di un marchigiano la dice lunga sul livello dei periti fonici incaricati di supportare quell’assurdo teorema.

La galera ingiusta e la mortalità precoce

Cosa diavolo c’entrassero con le BR o Prima Linea o altre organizzazioni armate operanti in quegli anni persone come Luciano Ferrari Bravo, Emilio Vesce, Nanni Balestrini, Alisa Del Re, Guido Bianchini, Sandro Serafini, Carmela Di Rocco, Ivo Gallimberti, Massimo Tramonte, Lucio Castellano, Franco Tommei, Jaroslaw Novak, Mauro Borromeo, Franco Gavazzeni, Paolo Pozzi, Alberto Magnaghi, Giovanni Tranchida, Giorgio Raiteri solo per citarne alcuni, chi si è fatto minimo carico di leggere due libri in croce su quegli anni stenta davvero a comprenderlo. E tutto questo non senza conseguenze.

Dopo la morte prematura di Paolo Pozzi e Mario Dalmaviva nel 2016, Alberto Magnaghi scriverà sul Manifesto: “La statistica dei compagni del Processo 7 aprile 1979 che hanno subito una ingiusta carcerazione preventiva (fino a 5 anni e 4 mesi, come Mario) e sono morti prematuramente per malattia è impressionante: Luciano Ferrari Bravo, Augusto Finzi, Guido Bianchini, Franco Tommei, Emilio Vesce, Sandro Serafini, Giorgio Raiteri, Paolo Pozzi, Gianmario Baietta, Antonio Liverani… insomma, la galera uccide”.

I danni al sistema giustizia

Conseguenze ci furono anche sul nostro sistema giustizia. Perché fu il primo blitz indiscriminato con tantissimi arrestati per reati di natura associativa con migliaia di fascicoli, centinaia di imputati, secoli di detenzione preventiva, maxiprocessi, aule bunker, tempi dilatatissimi. Tutto ciò ha pesanti effetti di minorata difesa del singolo che magari ha avuto la sventura di finirci dentro per sbaglio. Introdusse quella prassi perversa dell’intreccio Procura/Media laddove l’uno trae giornaliera linfa dall’altro e viceversa.

Cosi, quando finalmente gli imputati pervengono al doveroso processo di merito, la gran parte della pubblica opinione (e inevitabilmente anche chi giudica) si è già fatta un’idea. Inaugurò la “stagione dei pentiti” con quel “singolare” Fioroni che dopo avere accusato Negri e compagni di ogni peggiore nefandezza in corso di istruttoria inibita al contraddittorio, si sottrasse ad ogni pubblico confronto fino al giudizio di appello riparando all’estero. Evitò così di scontare la pena per i propri comprovati delitti tra cui la morte del povero Saronio.

Inaugurò un utilizzo “politico” delle indagini della magistratura per colpire l’avversario di turno, sostituendo al dibattito sulle idee quello sugli avvisi di garanzia e il conseguente tifo da stadio del giustizialismo popolare più bieco, che si compiace nel vedere ingabbiato il famoso di turno e dopo i “cattivi maestri” dell’autonomia, verranno Tortora e il ciclone “Mani pulite” con i capannelli davanti ai tribunali e le forche in parlamento. Eppure oggi su Wikipedia alla voce Pietro Calogero si legge: “Dal 20 novembre 2009 è Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Venezia”.

Franco Piperno su Metropoli

Il 7 aprile degli arrestati

Ivo Galimberti

“Era sabato ed ero andato con i miei figli in Prato della Valle a fare la spesa. Mentre mia moglie a casa aspettava il mio rientro le si sono presentati due uomini che si sono qualificati come agenti della Questura di Padova. Una volta giunto all’interno un funzionario mi ha comunicato che ero in stato di arresto per organizzazione di banda armata insieme ad altri che non mi sono stati specificati. Immediatamente mi hanno tradotto nel carcere di Firenze”
docente della Facoltà di Ingegneria all’Università di Padova

Alisa Dal Re

“Non mi aspettavo di essere arrestata, tanto che avendo intravisto Massimo Tramonte in fondo ad un corridoio in Questura ho pensato “C’è in atto un colpo di Stato” e temevo di finire in uno stadio insieme a migliaia di persone. Il ricordo più lacerante che ho ancora oggi è quello dei poliziotti arrivati a casa armati fino ai denti, di quando mi hanno staccato da mio figlio di due anni e mezzo che si aggrappava piangendo disperato alla mia gamba”
contrattista presso l’università di Padova

Gianni Boetto

“Il 7 aprile avevo ventisei anni, di professione facevo il calcolatore. Ero a Monselice, nella bassa padovana come al solito. Mentre stavo tornando a casa ho notato fuori da casa mia gli sbirri che stavano scendendo da macchine civili. Mi è sembrata una cosa strana, ho ritenuto opportuno tirare dritto. Per me è iniziata così la vicenda da latitante” (

Toni Negri

“Il mattino del 7 aprile ’79 torno a via Boccaccio, da Parigi. Paola è di cattivo umore. Usciamo: siamo davanti all’ascensore quando arrivano una decina di poliziotti in borghese. Verso mezzogiorno il commissario capo, dopo l’ennesima telefonata, tira fuori il mandato di cattura. Lo leggo e mi metto a ridere, le facce dei poliziotti si fanno invece gravi: saranno convinti davvero di quello che solo un ubriaco può aver scritto su quel foglio? Boh devo comunque accompagnarli in Questura…Questa è la sua camera, mi dice il maresciallo facendomi entrare nello stanzone: cinque metri per cinque al pianterreno del carcere. Lettino carico di coperte in angolo, lavandino di ferro arrugginito sulla parete di faccia, bugliolo a lato. La finestra con un vetro rotto davanti all’inferriata di sbarre”.
FONTE: Galera ed esilio, Ponte alle grazie, 2017.

Pino Nicotri

“Quando fui scarcerato dissi in una conferenza stampa a scienze politiche che certi magistrati padovani erano dei mentecatti. Scalfari mi fece portare al suo cospetto e mi disse di andarmene per qualche mese in ferie perché “questa del 7 aprile e’ una storia molto al di sopra delle nostre teste”

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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