8.10.75: le Br genovesi debuttano rapinando la banca dell’ospedale
Nel monumentale volume “Dolore e furore” Sergio Luzzatto ricostruisce la vicende delle Br genovesi. La storia della colonna più “misteriosa” delle Brigate rosse è disvelata in un’opera di grandissimo pregio. A prescindere da alcuni esiti “dietrologici”, giustamente sottolineati nella recensione critica di Paolo Persichetti. A seguire la ricostruzione della prima azione armata di rilievo dei brigatisti genovesi (il sequestro Sossi della primavera 1974 fu opera di elementi esterni), la rapina alla banca interna del maggior ospedale cittadino, il San Martino.
Già nell’autunno-inverno del 1974-75, per quanto ho capito, l’avvocato Arnaldi aveva presentato Adamoli a Moretti: il quale, fin dall’inizio, considerò il viceprimario di chirurgia toracica all’ospedale di San Martino come il più affidabile in assoluto tra i suoi interlocutori genovesi.
Il legame tra Dura e Adamoli
Riccardo Dura e Sergio Adamoli si erano conosciuti all’epoca della loro comune esperienza in Lotta continua. Il chirurgo aveva poco tempo per la militanza, impegnato com’era tra le corsie dell’ospedale, la sala operatoria, la preparazione del concorso da primario. Il marinaio aveva tutto il tempo che voleva quando era a Genova, ma era introverso di carattere. Per età, l’uno avrebbe potuto quasi essere il padre dell’altro. Nonostante questo, l’intesa fra i due era stata immediata.
Dura doveva essere rimasto incantato da quel medico che lo trattava come un compagno, per non dire come un figlio. E Adamoli aveva saputo riconoscere – sotto la scorza della timidezza – le qualità umane di Dura. «Era un ragazzo molto affettuoso, molto simpatico», mi spiegherà il chirurgo in pensione mezzo secolo più tardi; «io gli avevo dato due lire, mentre era in Lotta continua». «Mi ricordo di un giorno che mi ha cantato la canzone siciliana Vitti ’na crozza…»
Era stato il marinaio a spiegare al chirurgo come «crozza», in siciliano, non sia la croce, ma il teschio; e come la canzone popolare, a dispetto dell’allegria apparente del refrain, evochi la vicenda triste degli zolfatari sfruttati a morte nelle miniere.
La prima azione importante
Non per caso la prima azione importante compiuta dalla colonna genovese delle Brigate rosse (ancora con il sostegno di elementi venuti da fuori) ebbe per teatro, alle nove di mattina dell’8 ottobre 1975, l’ospedale di San Martino. Un’irruzione nella filiale della Cassa di Risparmio di Genova, all’interno del più grande nosocomio della Liguria, nel giorno di pagamento degli stipendi del personale medico: le Br non avrebbero potuto realizzare l’«esproprio» con altrettanta efficacia senza il sussidio di almeno un basista.
«Siamo delle Brigate rosse, vogliamo gli stipendi dei medici per finanziare la rivoluzione!», urlarono due giovani irrompendo nella filiale con le armi in pugno e asportando i 113 milioni di salari mensili dei sanitari. Alla reazione delle guardie giurate, un terzo uomo del commando li aiutò sparando ad aprirsi una via di fuga verso l’esterno.
Un quarto compagno li aspettava in salita superiore della Noce, dove però i brigatisti dovettero cercare di sottrarsi ai colpi di arma da fuoco delle guardie, che ferirono uno di loro. E dove i quattro non riuscirono a far partire le due moto con le quali avevano previsto di dileguarsi. Ebbero comunque la presenza di spirito di rubare una macchina parcheggiata lì con le chiavi nel cruscotto, e poterono allontanarsi dalla zona con il loro cospicuo bottino.
Il debutto di Riccardo Dura
Fu questo – suppongo – il battesimo del fuoco di Riccardo Dura. Non necessariamente nel senso che fosse lui il terrorista a sparare o a rimanere ferito: nel senso, generico, per cui fu questa la sua prima operazione militare da brigatista rosso. Quando ho chiesto a Adamoli se Dura facesse parte del commando nella rapina dell’ospedale di San Martino, il chirurgo ha inizialmente protestato la propria ignoranza al riguardo: «Non lo so, io stavo operando quel mattino!» Ha poi aggiunto, senza farsi pregare: «Non so se Dura c’era, forse sì… credo proprio di sì».
Fino a pochi mesi prima, le Br avevano evitato di rivendicare le rapine di autofinanziamento. Ma lo avevano fatto in luglio dopo avere svaligiato una banca di Lonigo, nel Vicentino. E tornarono a farlo dopo la rapina di Genova, con un volantino che «La Stampa» definiva «una lunga requisitoria contro la classe medica e contro alcuni primari genovesi che operano all’ospedale di San Martino». Volantino troppo informato sulla divisione dei compiti nell’amministrazione del nosocomio, e addirittura sulle competenze professionali dell’uno o dell’altro medico, per non essere il frutto della collaborazione di un basista.
Carte false contro Adamoli
(…) Per la rapina dell’ospedale di San Martino, la Questura aveva buoni motivi di pensare che le Br si fossero servite di un basista. Riusciva dunque naturale all’Ufficio politico sospettare del dottor Sergio Adamoli: notoriamente un militante nei ranghi dell’ultrasinistra genovese, e notoriamente un medico di fiducia dei brigatisti in carcere. D’altro canto, la figura di un viceprimario – con il cognome che portava, poi – non era di quelle che potessero essere date in pasto ai giornali senza preoccuparsi delle conseguenze.
Il che vale forse a spiegare la diffusione da parte della Questura di alcuni messaggi obliqui. Anzitutto, si fece sapere alla stampa che tra i principali sospetti era «un medico chirurgo milanese». Inoltre, si fece circolare un identikit che pareva il ritratto fatto e finito del chirurgo del San Martino [vedi foto in alto]. Al punto da lasciare di stucco – oltre all’interessato – anche Leonardo Chessa. L’amico di Riccardo Dura in Lotta continua. Non piú un laureando di Medicina, ma uno specializzando di chirurgia toracica nel reparto stesso di Adamoli. «Hanno fatto un identikit che ero io … Tanto è vero che Leo Chessa, quando l’ha visto, mi ha detto: “Guarda che devi andartene!”», ricorderà Sergio Adamoli decenni più tardi.
Fonte: Sergio Luzzatto, Dolore e furore, Einaudi, 2023
Per approfondire
- Sequestro Sossi/1: il racconto di Buonavita
- Sequestro Sossi/2: D’Amato sapeva tutto
- Sequestro Sossi/3: la liberazione
- Sequestro Sossi/4: un’analisi storica
- Sequestro Sossi/5: le riflessioni di Moretti
- L’omicidio Coco/1
- L’omicidio Coco/2: i ricordi di Moretti
- L’omicidio Coco/3: il libro del figlio
- L’omicidio Coco/4: la cattura di Naria
- Il sequestro Costa
- La morte di Naria
C’è tanta roba sulla colonna genovese delle Brigate Rosse nelle nostre pagine. E quindi dedicheremo una seconda rassegna stampa (con particolare riguardo all’omicidio Rossa e alla strage di via Fracchia) nella prossima occasione (il sequestro Costabona, in calendario il 22 ottobre).
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