Abbatino si duole: non riuscii a salvare Angelo De Angelis

angelo de angelis

« C’erano regole precise, e per tutti l’obbligo di rispettarle. Era un buon rapinatore. Aveva lavorato con la batteria dell’Alberone insieme a De Pedis. Dopo l’arresto di Renatino, la batteria si sciolse. Angelo De Angelis, che aveva interesse per noi della Magliana, in particolare per me e per Edoardo Toscano, si unì alla nostra. Sì attirò così l’antipatia di quelli del Testaccio. Fu lui a farmi incontrare Michele D’Alto, detto Guancialotto.  Mi aiutò a ucciderlo.

L’omicidio D’Alto

Era l’estate dell’82, forse luglio. Angelo si fece trovare con D’Alto in un bar del Tufello. Stavano trattando la vendita di una pistola. Quella che il Guancialotto avrebbe voluto usare contro il mio amico Edoardo Toscano. Dovevano provarla in un campo a ridosso del Raccordo anulare. Lo sfrecciare delle auto avrebbe coperto i rumori degli spari. Dissi che sarei andato con loro e che avrei procurato a D’Alto altre armi. Non sospettò neanche per un attimo di essere caduto in trappola. Né poteva immaginare che fossi stato io ad ammazzare il suo amico Nicolino Selis, il Sardo. Quando arrivammo nel campo, dissi ad Angelo di darmi la pistola. Esplosi due colpi contro un albero davanti a me. Poi ruotai il braccio verso destra e sparai al petto di D’Alto. Lasciammo lì il corpo e ce ne andammo.

25 anni per processarmi

«Ci hanno messo venticinque anni per processarmi, nonostante avessi confessato. Continuavano a passare il fascicolo da un pm all’altro. Il rinvio a giudizio per gli omicidi di Michele D’Alto e di Angelo De Angelis c’è stato solo nel marzo del 2007 [il processo è finito in prescrizione per la collaborazione dei due accusati, essendo morto il terzo responsabile, ndb].

«Di Angelo mi fidavo. Nel periodo della vendetta contro i Proietti fu lui a occuparsi del rifornimento della cocaina, che all’epoca era gestito solo dalla nostra batteria. Nessuna rivalsa ci avrebbe ridato Franco, ma all’epoca uccidere i Proietti e arrivare ai mandanti della sua esecuzione era diventato il nostro unico scopo. Per questo decidemmo di delegare molte delle nostre attività, tra cui il traffico di cocaina. E sempre per questo uccidemmo anche Raffaele Caruso, un piccolo spacciatore.

L’omicidio Caruso

«Era gennaio del 1983. Caruso era entrato col volto coperto da un passamontagna in una bisca al Lido di Ostia sparando, per motivi suoi, su Mariano Proietti, una vittima che era nostra. Allora lo attirammo in un posto isolato, con la scusa di trattare una partita di droga. Claudio Sicilia lo strangolò con un filo elettrico, mentre Edoardo Toscano lo finì con una pugnalata al petto. L’omicidio di Mariano Proietti non doveva essere compiuto senza la nostra autorizzazione. E per evitare che il delitto potesse essere ricollegato a noi, decidemmo che Caruso doveva morire.»

È l’unico momento in cui la voce di Abbatino scende di tono: «Allora mi sembrava un buon motivo per emettere la condanna a morte di uno che neanche conoscevo. Oggi mi rendo conto della bestialità che ho commesso».

Fa una piccola pausa, come se dovesse prepararsi mentalmente prima di tornare sulla morte di Angelo De Angelis, quasi a farsi spazio fra tutti gli omicidi eseguiti nella sua vita.

Quel traffico di cocaina

«A rifornirci di cocaina c’era una banda di cileni. Il loro capo, Manuel Fuentes Cancino, era uno serio. Ci temeva, per questo, quando il nostro chimico ci disse di aver notato che la cocaina risultava tagliata, non pensammo ai cileni, ma ad Angelo. Scoprimmo che tutte le volte ne prendeva un etto per sé. Ci fu una riunione dove si decise di eliminarlo. Un verdetto che aspettai a eseguire, un po’ perché si usciva insieme, conoscevo anche la moglie, e poi perché con Angioletto ero in debito.

«A Rebibbia, durante una delle tante, brevi carcerazioni, ebbi un malore. Le guardie si rifiutarono di chiamare il medico, e in seguito ai miei insulti e alle mie minacce mi accompagnarono nella “cella liscia”. Ne avevo sentito parlare da altri detenuti. Era completamente vuota. Non c’era neanche il secchio per urinare. Sapevo cosa mi sarebbe accaduto da lì a poco: gli agenti sarebbero  entrati, mi avrebbero buttato addosso una coperta e riempito di botte. Guardai il muro davanti a me, sempre più vicino.

La sommossa a Rebibbia

Presi a sbattere la testa, senza fermarmi, un colpo più forte dell’altro: non sarebbero stati loro a picchiarmi. Mai mi avrebbero fatto sanguinare, ma non volevo dargli neanche la soddisfazione di riempirmi di lividi. Sentivo il sangue colarmi dalla fronte, sulle sopracciglia, fino al collo, finché un agente entrò urlando un interminabile rosario di bestemmie. Il passaggio in infermeria fu doloroso ma rapido. Mentre in due mi ricucivano la testa, dalla sezione arrivavano urla, il rumore di oggetti schiantati contro le pareti delle celle e quello di passi esagitati. Angelo aveva organizzato una sommossa. Mi riportarono immediatamente in reparto, dove arrivai quasi sollevato dalle braccia degli agenti, fra gli applausi degli altri detenuti. Angioletto sorrideva soddisfatto.

«Sorrideva anche la sera in cui entrò nella villa di Vittorio Carnovale, il cognato di Edoardo Toscano. Lo aspettavo nascosto dietro la porta, con la schiena appoggiata al muro. Puntai la canna della pistola alla sua testa, mentre nel silenzio della stanza rimbalzò soltanto il rumore secco del grilletto, perché il proiettile non esplose. Fu la prima ma anche l’unica volta. Che la pistola s’inceppasse sì, ma un proiettile difettoso non mi era mai capitato… Angelo girò di scatto la testa verso di me, con gli occhi sbarrati, terrorizzati. Sorridendo dissi: “Angiolè, sto a scherzà…”. Neanche il tempo di finire la frase, che stramazzò in terra, colpito al cuore e alla nuca [da Edoardo Toscano, ndb]. I suoi occhi erano ancora sbarrati.»

Le regole da rispettare

Maurizio Abbatino torna a parlarmi di regole autoimposte: «L’omicidio di Angelo è quello che ricordo con più amarezza… In aula, durante il processo, so che la moglie continuava a piangere e a maledirci. Ma c’erano regole precise. Dovevano essere rispettate».

Forse per quelle regole, la banda della Magliana è diventata una fra le più spietate organizzazioni mafiose.

Mai tradire i compagni. Un patto che romperà anche Abbatino. Dieci anni dopo l’omicidio di De Angelis, il Freddo rivelerà nomi e responsabilità al giudice Otello Lupacchini. L’integerrimo magistrato scriverà un fascicolo grosso come un elenco telefonico: cinquecento pagine zeppe di date, di nomi e di prove che consentiranno di ridisegnare la mappa dell’organizzazione malavitosa romana e di stabilire con precisione ruoli e responsabilità dei vari componenti.

fonte: Raffaella Fanelli, La verità del Freddo

PS: La perizia balistica smentisce la narrazione di Abbatino: “er Catena” fu raggiunto da proiettili di due calibri diversi. E quindi almeno un colpo la sua arma lo sparò…

Dall’Ordinanza Lupacchini

<<Il gruppo che risultò dall’unificazione di quello di SELIS e di quello di GIUSEPPUCCI era già molto ampio ed articolato, tale da coprire Acilia-Ostia, il Tufello, la Magliana ed il Trullo; non di meno, Franco GIUSEPPUCCI volle allargarsi verso Testaccio, Trastevere e l’Alberone, dove erano operativi Enrico DE PEDIS, Danilo ABBRUCIATI, Angelo DE ANGELIS, Raffaele PERNASETTI, Giorgio PARADISI, Massimo CARMINATI, Angelo CASSANI, Ettore MARAGNOLI, Salvatore SIBIO, tal Libero detto “Rufetto”, Peppe SCIMONE, Giuseppe DE TOMASI, Ernesto DIOTALLEVI, Domenico BALDUCCI, Enrico NICOLETTI e un certo “Barbozzone” (…)

Della banda faceva anche parte Angelo DE ANGELIS, il quale girava da una parte all’altra.

Il 25.01.80 [Massimo De Angelis] veniva nuovamente identificato mentre si trovava in compagnia di MANCONE Libero, TOSCANO Edoardo e DE ANGELIS Angelo.

La protezione della Massoneria

Nell’interrogatorio del 25.03.94, Antonio MANCINI aveva dichiarato:
<<Per chiarire il mio sospetto di essere stato strumentalizzato e di essere, per meglio dire, strumentalizzata l’intera banda, da organismi estranei alla stessa che in seguito potrò precisare meglio, parlando di specifici episodi, posso dire che, sin dal 1976, Angelo DE ANGELIS mi parlava di Massoneria, argomento a me del tutto estraneo: il DE ANGELIS mi diceva di far parte di un gruppo massonico a Roma, gruppo per il quale agiva e da cui riceveva protezione a livello poliziesco e processuale. Quando lo raccontava, fermo il fatto che Angioletto fece assai poco carcere, io gli credevo in quanto era persona di tale ingenuita’ incapace di elaborare un discorso di quel tipo se non fosse stato vero…

I rapporti con Turatello

Dei rapporti tra Edoardo FORMISANO e Francesco (Francis) TURATELLO, da un lato, e del primo con il dott. Claudio VITALONE, dall’altro, si rinvengono tracce consistenti nel procedimento penale n. 2651/94 Cass., imputati FORMISANO e altri, acquisito agli atti del presente procedimento. Dagli stessi atti emergono elementi sintomatici dell’esistenza di rapporti tra lo stesso FORMISANO e Angelo DE ANGELIS, in merito ai quali, nell’interrogatorio del 13.06.94, Antonio MANCINI ha dichiarato:
<<Nulla so’ di rapporti tra Edoardo FORMISANO e Angelo DE ANGELIS. Di quest’ultimo, come già ho avuto occasione di riferire, sapevo, in quanto era lui a vantarsene, che appartenesse a una “grande famiglia”, quale per l’appunto la massoneria. Quando tuttavia il DE ANGELIS parlava di massoneria o della “grande famiglia” alla quale diceva di appartenere, per me la cosa non aveva alcun significato, in quanto non capivo che potessimo essere usati da una organizzazione che, per quanto ne sapevo io, pensavo fosse del tutto “pulita”, o al più un'”associazione di intrallazzatori”, ma nulla di più.

Bergamelli e la Massoneria

<<La convinzione che la Massoneria fosse, tutt’al più, un'”associazione di intrallazzatori”, nasceva in me dal fatto che avevo personalmente una grande disistima per Albert BERGAMELLI, costui, come ho già riferito, intrallazzava per suo conto, non facendo partecipi gli altri, come ad esempio i PELLEGRINETTI e gli ANDREUCCI delle sue conoscenze a livello di Ministero di Grazia e Giustizia che egli vantava e che gli derivavano dall’aver partecipato, tra l’altro, al “finto sequestro” di ORTOLANI, che era noto fosse un massone. Nel processo per tale sequestro erano imputati, oltre al BERGAMELLI, Danilo ABBRUCIATI, BERENGUEUR, Maffeo BELLICINI, Claudio VANNICOLA, i PELLEGRINETTI e l’ANDREUCCI, eppure, BERGAMELLI operava solo per ottenere benefici per sé e non per gli altri. Imputato nello stesso processo era anche l’avvocato MINGHELLI.-

Molti strani omicidi

[Ancora Mancini]:
<<Verso questo ambiente – a seguito di mie vicissitudini personali legate, da un lato alla mia lunga carcerazione e dall’altro all’aver constatato che, progressivamente, erano state ammazzate, in circostanze che oggi reputo “strane”, persone come Franco GIUSEPPUCCI, Danilo ABBRUCIATI, Nicolino SELIS, Angelo DE ANGELIS, Edoardo TOSCANO, Gianni GIRLANDO e lo stesso Renato DE PEDIS, con le quali avevo intrattenuto fraterni rapporti – avevo maturato un profondo senso di delusione che non esito a definire di “schifo”.

FONTE: Sentenza ordinanza giudice Otello Lupacchini Abbatino+237

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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