20 novembre 1994: ultras romanisti accoltellano un vicequestore a Brescia

All’epoca gli scontri di Brescia, con il vicequestore Selmin accoltellato prima della partita Brescia-Roma, fecero molto scalpore. Passò allora – e anch’io la ripresi nella prima edizione di Fascisteria per poi aggiustare il tiro nella seconda– la narrazione di una spedizione punitiva dalle precise caratteristiche politiche.
Si parlò di una rappresaglia fascista, vista i curriculum dei principali imputati. A partire da Maurizio Boccacci, neanche tifoso della Roma e di alcuni leader delle frange più “toste” della curva giallorosa, Opposta Fazione in particolare. Già il processo di primo grado, però, tre anni dopo, ridimensionò il tutto a semplice violenza da stadio. La sentenza cancella i reati politici e ridimensiona il ferimento del funzionario di polizia. Come ci racconta la Gazzetta dello Sport del 6 gennaio 1998.
Undici condanne per complessivi 43 anni di carcere e cinque assoluzioni. Cosi’ si è concluso il processo, iniziato nel giugno dello scorso anno davanti alla prima sezione penale del tribunale di Brescia, a carico di 16 ultras della Roma ritenuti responsabili dei gravi incidenti avvenuti il 20 novembre del ’94 in occasione dell’incontro di calcio Brescia – Roma.
Quel giorno, nei pressi dello stadio Rigamonti accoltellarono l’allora vice questore di Brescia Giovanni Selmin, ora questore di Lecco, mentre una quindicina di agenti di polizia finirono in ospedale a causa delle percosse dei tifosi romanisti che attaccarono le forze dell’ordine armati di asce, bastoni e bombe carta.
Fu un pomeriggio drammatico. La polizia da una parte, i tifosi romanisti dall’altra. Scene di violenza metropolitana, a far da contorno a una partita di pallone. Il peggio che si possa vedere.
Non fu tentato omicidio
La sentenza, adesso, viene a rendere giustizia per quegli atti sconsiderati. Anche se non hanno accolto tutte le richieste del pubblico ministero, si può essere soddisfatti del giudizio finale. La condanna più pesante l’ha avuta a Giuseppe Meloni, detto “Pinuccio la rana”, capo di una frangia di estrema destra della tifoseria romanista. Lo hanno condannato a 4 anni e 2 mesi. 4 anni la condanna di Maurizio Boccacci, ex leader del Movimento politico occidentale (gruppo neonazista della capitale sciolto per incitamento all’odio razziale dal decreto Mancino del ’93), Massimiliano D’Alessandro, detto “Er polpetta”, altro capo storico della tifoseria romanista, Luca Alberti, Paolo Consorti, Cristiano Conti, Fabrizio Giampieri, Francesco Massa, Alfredo Quondamstefano e Paolo Vitelli. A 2 anni e 10 mesi di reclusione hanno condannato Daniele Betti.
Tutti questi imputati appartenevano da tempo alle frange estreme del tifo romanista, segnalati come elementi pericolosi. Gli imputati sono stati riconosciuti colpevoli di lesioni volontarie gravi, violenza a pubblico ufficiale aggravate dal numero di persone e dall’uso delle armi, porto e detenzione di materiale esplodente.
Le ragioni del raid
Sono stati assolti per non avere commesso il fatto altri cinque imputati (Daniele De Santis, Luigi Leto, Corrado Ovidi, Roberto Ratto e Valentino Valentini). Tutti sono stati inoltre assolti dall’accusa di avere commesso “manifestazioni usuali del disciolto partito fascista” (inni fascisti e saluti romani) perché il fatto non costituisce reato. Il pm Alessandro Milita aveva chiesto complessivamente 87 anni di carcere.
Secondo l’accusa, la spedizione dei romanisti a Brescia (ma tra di loro vi erano anche tifosi della Lazio e del Verona) aveva il duplice scopo di far recuperare prestigio e nuovi elementi al gruppo neonazista di Boccacci, in crisi dopo lo scioglimento, e ricattare la Roma come società che, nei mesi precedenti, aveva fatto venir meno alla tifoseria i vantaggi concessi in modo consistente in precedenza. Nessuno degli imputati era presente in aula durante la lettura della sentenza.
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