Affaire Moro, due siciliani a confronto: Mattarella e Sciascia
Dalla pagina Facebook di Lanfranco Caminiti
«Vi furono, palesemente, posizioni inaccettabili di alcuni intellettuali dell’epoca. Oggi non si può neanche ipotizzare l’idea dell’equiparazione tra lo Stato e le Brigate Rosse, senza avvertire incredulità e sdegno, ma neppure allora era legittimo farlo»
(Sergio Mattarella, «la repubblica», 9 maggio 2021 – «severo ma lucido», lo definisce Molinari)
Leonardo Sciascia
«Ma crediamo che l’impedimento più forte, la remora più vera, la turbativa più insidiosa sia venuta dalla decisione di non riconoscere nel Moro prigioniero delle Brigate Rosse il Moro di grande accortezza politica, riflessivo, di ponderati giudizi e scelte, che si riconosceva (riconoscimento ormai quasi unanime: appunto perché come postumo, come da necrologico) era stato fino alle 8,55 del 16 marzo. Da quel momento Moro non era più se stesso, era diventato un altro e se ne indicava la certificazione nelle lettere in cui chiedeva di essere riscattato, e soprattutto per il fatto che chiedeva di essere riscattato.Abbiamo usato la parola decisione: formalmente imprecisa ma sostanzialmente esatta. Spontanea o di volontà, improvvisa o gradualmente insor- gente, di pochi o di molti, è stata certamente una decisione — e per il fatto stesso che se ne poteva prendere altra. E ci rendiamo conto della impossibilità di provare documentalmente che una tale decisione — ufficialmente mai dichiarata — abbia potuto avere degli effetti a dir poco diluenti sui tempi e i modi dell’indagine.
Possiamo anche ammettere che gli effetti non furono a livello di coscienza e di consapevolezza — e insomma di malafede; ma non si può non riconoscere — e basta rivedere la stampa di quei giorni — che si era stabilita un’atmosfera, una temperie, uno stato d’animo per cui in ciascuno ed in tutti (con delle sparute eccezioni) si insinuava l’occulta persuasione che il Moro di prima fosse come morto e che trovare vivo il Moro altro quasi equivalesse a trovarlo cadavere nel portabagagli di una Renault. Si parlò dapprima, a giustificare il contenuto delle sue lettere, di coercizioni, di maltrattamenti, di droghe; ma quando Moro cominciò insistentemente a rivendicare la propria lucidità e libertà di spirito («tanta lucidità, almeno, quanta può averne chi è da quindici giorni in una situazione eccezionale, che non può avere nessuno che lo consoli, che sa che cosa lo aspetti»), si passò ad offrire compassionevolmente l’immagine di un Moro altro, di un Moro due, di un Moro non più se stesso: tanto da credersi lucido e libero mentre non lo era affatto»
(relazione di minoranza della commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, 22 giugno 1982).
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