8.9.74: Alberto Franceschini non doveva andare a Pinerolo
Concludiamo l’approfondimento sul blitz Girotto con la testimonianza di Mario Moretti, intervistato da Carla Mosca e Rossana Rossanda per “Una storia italiana” e l’intervento di Pierluigi Zuffada che agli inizi d’agosto ha replicato con durezza all’ennesima intervista in cui Alberto Franceschini rilancia le vecchie accuse al leader br. Zuffada è uno che non ha mai preso la parola nel barnum mediatico e quindi le sue parole pesano.
Il racconto di Zuffada
Ma da dove parte l’idea di Mario come infiltrato, agente più o meno segreto, doppio-triplo giochista? Dalla sua cattura a Pinerolo, insieme a Renato, mentre si accingevano ad incontrare Girotto, “frate mitra” come alcuni giornali lo presentavano. Innanzitutto Franceschini non doveva andare a quell’appuntamento, a cui doveva essere presente solo Renato. Ma ancor prima di quell’incontro con il “guerrigliero”, Mara aveva avvisato Renato e Franceschini che Girotto non la raccontava giusta.
Secondo lei, Girotto non era mai stato sulle montagne o le foreste della Bolivia o di qualche altro paese andino, perche lui… non aveva il passo da montanaro. Chi vive per un lungo periodo in montagna assume posture e andature del tutto particolari. Girotto non le aveva, e Mara aveva iniziato a sospettare di lui. Ma i sospetti di Mara non hanno trovato credito, altrimenti i due non si sarebbero fatti arrestare. Ma la cosa non finisce lì. La sera prima dell’appuntamento, alla colonna milanese arriva una “soffiata”: l’appuntamento tra Renato e Girotto era una trappola.
Non siamo riusciti MAI a risalire alla fonte originaria di quella soffiata, in quanto della notizia erano a conoscenza solo i Carabinieri di Dalla Chiesa e la Procura di Torino. In base a quella soffiata Mario, accompagnato da due compagni, inizia un folle viaggio di notte alla ricerca di Renato per avvisarlo della trappola. Non sapevano dove abitasse a Torino, per cui decisero di andare da Franceschini, di cui conoscevano l’alloggio a Piacenza.
La decisione di andare da Franceschini fu presa perchè lui conosceva dove Renato abitava. Arrivati a Piacenza, scoprono che Franceschini non è in casa; i compagni lo aspettano in strada perchè pensano che sia andato al cinema, in quanto la finestra dell’appartamento che dava sulla strada era aperta, segno evidente che lui non poteva essere andato lontano e, soprattutto, che di lì a poco sarebbe rientrato in casa. Quando dopo l’una di notte non lo vedono rincasare, i compagni partano per l’Astigiano per avvisare Mara, che conosce l’abitazione di Renato, ma non la trovano. Pensano che sia a Torino a casa di Renato, per cui da lì vanno a Torino per cercarli, sperando che un contatto del luogo potesse conoscere l’abitazione di Renato.
Non trovano il contatto, e in quel momento Mario e i due compagni prendono una decisione folle, anche perchè era arrivata la mattina: vanno al luogo dell’appuntamento a Pinerolo nella speranza di avvisare Renato prima dell’incontro con Girotto, rischiando di cadere anch’essi nella trappola. Pensavano che ad accompagnarlo fosse Mara, non certo che Franceschini fosse presente all’appuntamento. Si accorgono di una situazione strana, nel senso che il luogo pullula di agenti in borghese. La trappola era già scattata, i compagni riescono a svignarsela. Da quel giorno, Franceschini individua in Mario Moretti il responsabile della sua cattura, idea rafforzata in seguito dal fatto che Mario non veniva catturato. Sic! LEGGI TUTTO
La testimonianza di Moretti
Il colpo più duro lo subite l’8 settembre, con l’arresto, fuori Pinerolo, di Curcio e Franceschini. Stavolta è una denuncia, quella di Silvano Girotto, frate Mitra. Come si era infiltrato? Tu sostieni che foste sempre molto attenti.
“Frate serpente”, come chiamammo Girotto, era stato lanciato dal settimanale «Il Borghese» come un gran guerrigliero reduce dall’America Latina. Suonava strano, ma non avevamo elementi per sospettarlo, stava facendo il giro di tutti gli ambienti di sinistra accolto con molto credito. Chiese un contatto con noi attraverso un partigiano di cui ci fidavamo. Lo incontrò un paio di volte Curcio, per inserirlo eventualmente nel fronte logistico in via di costituzione.
Ne riferì al Nazionale non negativamente ma un poco perplesso. Perplessi restammo tutti e decidemmo che all’incontro successivo andassi anche io. Rimasero le perplessità. Stavamo derogando da una regola ferrea: nelle Br si arrivava dopo una militanza nel movimento, sperimentata e verificata. Per Girotto non poteva essere così. Decidemmo di essere rigidissimi almeno sulla compartimentazione. A lui non dicemmo niente ma stabilimmo che avrebbe lavorato in contatto soltanto con Curcio in una struttura periferica, alla cascina Spiotta nei pressi di Asti, che poi sarebbe diventata famosa per altre ragioni: vi morirà Margherita. Non si arrivò mai a questo stadio del suo inserimento, venne scoperto subito dopo che fece arrestare i due compagni.
Che significa la perdita di Curcio e Franceschini per la vostra struttura?
Sono due compagni importanti: la nostra linea si fa in gran parte sul campo, e avere certi compagni oppure no non è davvero indifferente. Sarà il problema per tutti gli anni a venire: appena si forma una direzione di compagni che hanno esperienza politica, e anche militare, la repressione ce li porta via. E si deve ricominciare da capo. Se si esclude me, uno dei più longevi nelle Br, nessuno è rimasto fuori dall’inizio alla fine.
Ti si accusa di non aver fatto il necessario per avvertire Curcio che era in pericolo.
Uno solo lo fa ed è il dissociato Alberto Franceschini, e magari mi accusasse apertamente. Allude, fa intendere, adombra sospetti. Ma la storia di quell’arresto è sempre stata chiarissima all’organizzazione. Ed è chiarissima.
Come sono andate le cose?
Il giorno prima dell’arresto, era un sabato, Curcio, Franceschini e io teniamo una riunione del Nazionale in una base a Parma. Margherita si era tolta dal Nazionale, restavamo in tre, Curcio che rappresentava la colonna di Torino, io quella di Milano e Franceschini che, oltre al fronte della controrivoluzione, rappresentava il lavoro iniziato a Roma, e infatti era venuto da Roma. Terminiamo nel tardo pomeriggio. Io me ne vado per primo, tornando a Milano.
Curcio mi dice che resterà a dormire a Parma per andare a Pinerolo la mattina dopo a incontrare Girotto. Franceschini ripartirà per Roma la stessa sera. Arrivo a Milano e trovo ad aspettarmi Attilio Casaletti, “Nanni”, che mi fa: «Guarda, attraverso un giro un po’ lungo è arrivata la notizia che un compagno di Torino ha ricevuto una telefonata anonima in cui si avverte che domenica Curcio verrà arrestato a Pinerolo». Cristo santo, io so che è vero, domani Curcio va a Pinerolo. Ma perché dovrebbe essere arrestato? Che è successo?
Non sapeste subito chi era stato a ricevere la telefonata e avvertirvi?
Non capimmo chi potesse essere, certo non uno dei più vicini che ci potevano raggiungere facilmente. Ma non importava, contava l’avvertimento. Risalgo in macchina e con Nanni mi precipito a Parma dove Curcio, tre ore prima, mi aveva detto che sarebbe rimasto la notte. Arriviamo un po’ dopo le dieci, non ho le chiavi, non è una base della colonna di Milano, suono il campanello, non funziona.
Dobbiamo avvertirlo assolutamente, cerchiamo di farci sentire, ma la casa non ha finestre sul davanti e non possiamo metterci a urlare in piena notte davanti a una base. Nessuno ci sente. Ma non può sfuggirci, dovrà uscire molto presto per andare a Pinerolo, ci mettiamo in macchina davanti al portone e aspettiamo. Dopo qualche tempo ci viene in mente che, se nessuno risponde, è forse perché Curcio ha cambiato idea e se ne è andato a Torino, nella base dove sta con Margherita. Io quella base non saprei trovarla neanche se mi ci portassero davanti, c’ero stato una volta sola per una riunione d’emergenza, ed è abitudine di clandestini non memorizzare quel che può nuocere alla compartimentazione: la sola cosa che non potrai mai dire è quella che non sai. Neppure “Nanni” conosce quella base. Nelle poche ore che rimangono non possiamo far niente per arrivarci.
Rimaniamo a Parma fino all’alba e quando siamo certi che Curcio lì non c’è andiamo sulla strada per Pinerolo, separandoci sui due percorsi che portano a quella cittadina, e ci mettiamo sul bordo della strada sperando che Curcio ci noti mentre passa. Non è un granché, è quasi impossibile che funzioni, ma non possiamo fare altro. Non lo vediamo. E dopo un’ora non resta che andarcene: o ha saltato l’appuntamento o ha fatto un’altra strada, e in questo caso la frittata è fatta. Tutto qui. Anche a distanza di anni, non riesco a vedere che altro potessimo fare, Nanni e io, quella notte, passata tra corse trafelate, serenate sotto le finestre e patetici appostamenti sulla via di Pinerolo.
È Franceschini che ti accusa. Era in auto con Curcio ed è stato arrestato con lui.
Franceschini non avrebbe dovuto essere su quella macchina, avrebbe dovuto ripartire per Roma ed esserci già arrivato. Nessuno gli chiese mai, né allora né in seguito, perché invece che a Roma andò a Torino. Le Br sono state molto rispettose delle questioni personali. Ma è lui che avrebbe dovuto spiegare all’organizzazione che faceva da quelle parti invece che a ottocento chilometri di distanza.
Perché ti sospetta?
Ma quali sospetti. Franceschini ha ormai fatto un mestiere della dissociazione e delle insinuazioni contro le Br. Ha un rapporto contorto con se stesso e la verità. Quella sera non è andato a Roma, per una ragione personale, credo pulita, frequente fra i comuni mortali. Quando trovo Margherita alla cascina Spiotta, dove vado subito dopo l’inutile appostamento, è lei che mi dice: «Guarda che a Pinerolo non è andato solo Renato, c’è andato anche Alberto, poi dovevano venir qui tutti e due». Sono un po’ sorpreso, ma lei e io non dobbiamo spiegarci niente. Nei giorni successivi dovemmo concentrarci sullo sconquasso provocato dall’arresto. Nessuno cerca giustificazioni, nessuno recrimina, nessuno cerca di imbrogliare. Margherita ha la durezza, la tenacia di chi ha fatto scelte come la nostra. Ma è una donna, e le donne hanno la fortuna di saper piangere quando ci vuole. Ha pianto solo un momento.
Chi poteva aver avvertito quel vostro amico di Torino che stavano per arrestare Curcio?
Non lo so. È l’unico mistero di tutta la storia delle Br che né io né altri ci sappiamo spiegare. Non c’è riuscita neppure la procura di Torino, che ha aperto un’inchiesta senza venire a capo di nulla. O almeno non l’hanno mai detto. Chi sapeva del tentativo di infiltrazione di Girotto per mandato di Dalla Chiesa? E dell’operazione che sarebbe scattata a Pinerolo? I carabinieri. I magistrati che si occupavano di noi. Forse qualcuno del giro incaricato di creare la falsa immagine del frate guerrigliero. A far trapelare la voce fu probabilmente qualcuno che simpatizzava con noi fra i magistrati, difficile immaginarlo fra i carabinieri.
Ne discuteste?
Ci volle qualche giorno per aver la certezza che la spiata l’aveva fatta Girotto. Il quale chiese un incontro facendo l’offeso; ci riprovava, incredibile. Gli fissammo un appuntamento a Torino per vedere che succedeva e a un semplice controllo constatammo che la zona brulicava di polizia. Solo allora lo denunciammo come spia con un volantino. Fino ad allora quelli che lo avevano accolto a braccia aperte erano stati zitti. Come noi s’erano bevuta la storiella dell’ex guerrigliero.
Da allora ad oggi esce ogni tanto su di te come un sospetto, detto e non detto, echeggiato soltanto da alcuni media e dalle costruzioni di parte comunista dopo il caso Moro. Ma come spieghi che nasca fra tuoi compagni?
Non scambiate Franceschini per l’insieme dei miei compagni delle Br. Mi conoscono fin troppo bene per quel che sono, e non uno è sfiorato da qualche dubbio, neppure quelli cui sono antipatico. Mi considerano un brigatista doc proprio tutti, pentiti, dissociati, irriducibili e persino gli innocenti. Dovrebbero replicare a chi mi getta addosso insulti così pesanti? Non so. Il problema non è che tacciono su di me, ma che tacciono su di sé, sulla loro storia. Questa è la cosa grave. Migliaia di compagni hanno tacitato la memoria, cancellato i significati di un intero periodo della loro vita. Significati che non sono solo loro, appartengono a una vicenda che ha segnato oltre un decennio del paese.
PS Una telefonata anonima per avvertire che Curcio sarebbe stato arrestato mentre andava a Pinerolo era giunta alla moglie di Enrico Levati, allora funzionario della Camera del Lavoro di Torino, che si sapeva simpatizzante delle Br. Levati non era in città e la moglie, che non ne condivideva le idee, lo avvertì della telefonata con un giorno di ritardo e lui impiegò un po’ di tempo per far arrivare l’avviso a Milano. Senza tuttavia andarci perché a Torino non sapeva come raggiungere nessuno delle Br
A proposito della telefonata
Aggiunge Semeria: «Sì, quella telefonata ci fu. Abbiamo fatto molte ipotesi, ma nessuna è stata confermata. Qualcuno di noi immaginò che fosse stato lo stesso Girotto, in un momento di resipiscenza o di paura; altri pensarono che fosse una soffiata del servizio segreto israeliano, che aveva tentato poco prima di mettersi in contatto con noi; adesso, con la scienza di poi, c’è chi dice che possono essere stati i carabinieri piduisti di Milano, nemici di Dalla Chiesa».
FONTE: Giorgio Bocca, Noi terroristi
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