22 aprile 1997, La Paz: massacrati 14 tupamaros all’ambasciata giapponese

Era in corso una festa diplomatica quel 17 dicembre 1996 alla residenza di Lima dell’ambasciatore giapponese nel Perú dell’autocrate Alberto Fujimori (ancora enfant gâté degli Usa e dell’occidente), quando 14 guerriglieri del Mrta guidati da Néstor Cerpa Cartolini fecero irruzione prendendo in ostaggio i partecipanti, contro i quali non fu usato alcun tipo di violenza. Anzi, furono rilasciati i più deboli ed anziani tra i quali la madre del presidente Fujimori.
Le richieste dell’MRTA
Gli «emmeretisti» chiedevano la liberazione di 400 prigionieri politici del Movimento, da anni rinchiusi nelle carceri del paese. Al gelo dei 4.000 metri come a Yanamayo o in «celle tomba» come nella base navale del Callao, una specie di «Guantanamo peruviana». Là erano già rinchiusi, fra i molti altri, il leader supremo di Sendero luminoso, il «presidente Gonzalo» (Abimael Guzman) e l’ideologo e capo politico-militare del Mrta Víctor Polay Campos.
Dopo quattro mesi, nel contesto di un’America latina allora immersa nei governi della destra neo-liberista, tutti i guerriglieri furono uccisi a sangue freddo in un blitz delle forze speciali peruviane. Era il 22 aprile 1997.
Così Marinella Correggia e Annalisa Melandri introducono, sul Manifesto del 10 settembre 2009 un’intervista al leader del MRTA Victor Polay Campos, ancora detenuto in disumane condizioni, nonostante nel 2015 sia stato colpito da ictus.
L’inganno del vescovo
Il presidente Fujimori per i quattro mesi del sequestro aveva finto di portare avanti una trattativa. I ribelli chiedevano in cambio del rilascio dei prigionieri la liberazione di alcuni detenuti del MRTA. Complice del blitz fu Monsignor Cipriani (arcivescovo di Lima e membro dell’Opus Dei). Avendo accesso all’interno dell’Ambasciata per celebrare la messa, riuscì ad introdurre una radio. La consegnò agli ostaggi che così vennero informati preventivamente dell’irruzione delle forze speciali dell’esercito.
I ribelli Tupac Amaru vennero trucidati. Con essi Carlos Giusti un magistrato che faceva parte del gruppo degli ostaggi ma che risultava “scomodo” al governo Fujimori. Il giudice aveva più volte ribadito l’indipendenza della magistratura dal potere politico.
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