Nello scrigno del tempo. Ancora su Lega Nord e fascisteria: dalle origini alla svolta del 1996

Non ci sono solo link culturali ma anche profondi intrecci politici tra Lega e fascisteria. C’è un vecchio saggio realizzato con il metodo dell’inchiesta sociale e pubblicato dal Cipec di Cuneo, nella collana dei suoi Quaderni, che affronta appunto il peso dell’estrema destra nella Lega Nord, partendo appunto dalla prima edizione di Fascisteria. E’ quello uno dei capitoli che ho più approfonditamente riscritto e ve lo ripropongo qui, diviso in più pezzi … Il saggio dei Dalmasso, tra le altre cose, approfondisce il ruolo giocato da Maurizio Murelli e dal primo nucleo saluzziano delle Edizioni Barbarossa nella radicalizzazione antimondialista del leghismo piemontese.

La Lega dalle origini alla svolta del ’96

I caratteri di destra della Lega nord sono da subito evidenti, nonostante le pretese di Bossi di accreditare il mito di un nazionalismo padano trasversale rispetto alla tradizionale bipartizione dell’asse politico. Se il livore antimeridionale costituisce il brodo primordiale che permette alla Lega di arrivare all’appuntamento della rivoluzione italiana con una consistente struttura organizzativa e rappresentativa, la violenza verbale e l’immaginario machista sono il tratto distintivo del líder máximo, che costruisce le fortune politiche personali e dell’organizzazione sulle sua capacità di gran comunicatore. 

La proclamazione della «Repubblica del Nord», il 16 maggio 1991 a Pontida, è ancora letta come la manifestazione folcloristica di un gruppo minoritario, in cui comincia ad aver consistenza l’afflusso di militanti e di piccoli gruppi transfughi dall’estrema destra. Ben altro impatto ha l’escalation verbale che segue il successo elettorale del 1992 (8,7% e ottanta parlamentari). Il perverso combinato tra la sistematica opera di demolizione del sistema politico condotta dal Quirinale e l’impatto delle prime inchieste giudiziarie contro la corruzione scatena un’ondata poujadista, che Bossi si cavalca con gran sapienza. E via in sequenza con «oliamo i kalashnikov » (aprile), «potremmo marciare su Roma» (settembre), «che ci vuole a far arrivare camion di armi da Slovenia e Croazia» (novembre). La conquista di Milano nel giugno 1993 con Marco Formentini, eurofunzionario in pensione e faccia pulita della Lega, è ininfluente. A Margherita Boniver che ha parlato di Lega armata, Bossi risponde elegantamente: «’a bonazza, noi siamo sempre armati, ma di manico». E via con il gesto dell’ombrello. Segue l’avviso alla magistratura: «Se qualche giudice vuol coinvolgere la Lega in una storia di tangenti sappia che noi siamo molto abili con le mani ma anche con le pallottole. Dalle mie parti una pallottola costa trecento lire e se un magistrato vuole coinvolgerci sappia che la sua vita vale trecento lire».

Di fronte al pericolo che le sinistre conquistino il governo, Bossi non esita ad allearsi con Berlusconi. Scandisce la campagna elettorale con insulti e minacce ad An e promette solennemente: «Al governo, con i fascisti, mai!» Il 21 aprile incassa (con gli stessi voti al proporzionale del 1992) centosettantasette parlamentari. Un mese dopo il governo Berlusconi-Tatarella ha cinque ministri leghisti con l’ex gauchiste Maroni al Viminale. L’esito del voto di fiducia è proclamato dalla trentunenne presidente della Camera, la vandeana Pivetti. Ma Bossi non mette la testa a posto: a luglio il governo vara una norma contro gli «arresti facili». Maroni firma ma, davanti alla rivolta di massa suscitata dalla Procura di Milano, Bossi la sconfessa e ne impone il ritiro. In estate dà letteralmente i numeri: «Nel 1986 c’erano trecentomila bergamaschi in armi, già pronti». L’uscita dalla maggioranza e l’appoggio esterno al governo guidato da Lamberto Dini, nell’inverno 1994-95, innesta la crisi più grave: Maroni e decine di parlamentari rompono al congresso ed escono invocando la fedeltà al patto elettorale. Bossi non demorde: il Polo era un’alleanza tattica per non essere fagocitati da Berlusconi, riciclatore del pentapartito ed emanazione nordista del potere
romano-mafioso. Maroni rientra dopo il successo elettorale in primavera, qualcuno dei transfughi salverà il seggio per gentile concessione di Forza Italia, ma la Lega è talmente forte da presentarsi
da sola alle elezioni del 1996: non solo prende più del 10% e ottanta parlamentari, ma fa perdere al Polo decine di collegi del Nord, dove il centrosinistra è minoritario (due anni prima i collegi lombardi e del Nordest avevano eletto un solo deputato progressista). La campagna elettorale è segnata da un tema martellante: Polo e Ulivo sono facce della stessa medaglia, il potere romano sui popoli padani. Alla nascita del governo dell’Ulivo risponde la radicalizzazione secessionista. Lo scenario strategico, avvertono gli scienziati politici, non è delirante: dietro il folclore neoceltico c’è l’aspettativa concreta che l’Italia non ce la faccia ad arrivare all’appuntamento con la moneta unica. I parametri di Maastricht sono lontani, ma Ciampi e una finanziaria da lacrime e sangue infrangeranno il sogno leghista di arrivare al mancato ingresso nell’euro in una fase di crescente contropotere. In questa logica nascono il comitato di liberazione della Padania, il corpo di polizia delle camicie verdi e il Parlamento del Nord. Bossi alza i toni e non esclude l’uso delle armi.

L’unico dirigente che si oppone alla spinta sovversiva è la Pivetti che, da ex presidente della Camera, intende conservare un certo aplomb istituzionale. Viene espulsa senza colpo ferire e il suo partitino federalista non supererà mai percentuali omeopatiche. Passerà così dal trasformista Dini all’Udeur di Clemente Mastella, il più puro esemplare di democristiano meridionale sopravvissuto in
posizioni di vertice all’eutanasia della balena bianca. Ottiene maggiori successi con il giovanissimo marito (il primo matrimonio, con un intellettuale scappato a Londra per non averci più a che fare,
era stato annullato dalla Sacra Rota), tra copertine di rotocalchi rosa e interventi da bar sport al Processo del lunedì di Aldo Biscardi. Si rigenererà in una sofisticata dark lady, dal look sadomaso
abbastanza spinto, regina trash dello showbiz televisivo.
Il bersaglio successivo dell’ira di Bossi sono i mezzi di comunicazione di massa: dapprima la Rai («abbatteremo i ripetitori»), poi i giornali che pretendevano di contare i partecipanti alla marcia
sul Po. I leghisti decidono di fare da soli, con un quotidiano e una tv privata. Il rito di fondazione del nascente stato padano comincia con un solenne battesimo pagano (la raccolta dell’ampolla d’acqua
sacra del dio Po) e finisce con l’invito prosastico a «gettare il tricolore nel cesso». Il 15 settembre a Venezia non ci possono entrare i due milioni di persone che Bossi millanta, ma anche i centoventimila presenti sono una cifra. Intanto sul territorio i militanti duri e puri, spalleggiati da dirigenti esplicitamente di destra, come il torinese Borghezio, s’impegnano nelle ronde securitarie, nella caccia a prostitute, piccoli spacciatori e immigrati. Un terreno fertile per reclutare attivisti e conquistare simpatie in ampi strati sociali che, ansiosi di ordine e sicurezza, sbandano a destra. Quando un «prefetto terrone» destituisce il sindaco leghista Aldo Moltifiori di Monza, condannato per abuso d’ufficio, il manifesto indipendentista della sezione cittadina è difeso dal segretario provinciale. Borghezio lo boccia: troppo moderato. Sulla stessa linea si colloca la sistematica difesa e promozione del peggiore egoismo sociale, con il tentativo di introdurre nei concorsi indetti dalle amministrazioni leghiste (per lavoro e casa) un bonus per i residenti padani. Quando si sforza di respingere le accuse di razzismo, Bossi rievoca le ossessioni della più radicale destra antimondialista:  se esiste un concetto estraneo alla Lega, è il razzismo. […] Oggi il sistema capitalistico porta gli extracomunitari da noi per favorire la nascita di una società multirazziale, di uomini identici con uguali ambizioni e nessuna tradizione. […] Per me tutti gli uomini sono uguali, hanno la medesima dignità. Il più nero dei neri ha gli stessi diritti del mio vicino di casa. Ma a casa sua. (1-continua)

 

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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