13.2.79, Bergamo: commando uccide l’appuntato Gurrieri
L’uccisione dell’appuntato Gurrieri, avvenuta martedì 13 marzo alle ore 19,20 in un cortiletto di Bergamo alta antistante lo studio del dottor Gualteroni, medico del carcere cittadino, è stata rivendicata nella notte scorsa con una telefonata al quotidiano L’Eco di Bergamo dal gruppo «Guerriglia proletaria».
Riportiamo il testo delIa telefonata registrata al centralino del quotidiano bergamasco :
«Senta, qui è Guerriglia. Un nostro nucleo armato ha giustiziato questa sera un carabiniere nel corso di una azione che era tesa a colpire l’aguzzino di via Glene (la via del carcere. n.d.r.) dottor Gualteroni. Tenga bene in mente. Guerriglia proletaria. Un nostro nucleo armato ha giustiziato un appuntato dei carabinieri che aveva opposto resistenza armata durante l’azione. Faremo avere un comunicato domani».
Un incidente sul lavoro
L’assassinio del carabiniere rappresenta un «incidente sul lavoro», una sorta di nocività inevitabile nella logica del percorso guerrigliero. E’ come la diossina; «può accadere». La dinamica dell’ accaduto non è ancora del tutto chiara.
Vediamo di ricostruirla attraverso i numerosi testimoni oculari. I terroristi scelgono per l’azione l’ora di punta delle visite. La sala d’attesa è stracolma, al punto che alcune persone devono attendere il turno nel cortiletto su cui s’affaccia la porta dello studio. Tra queste c’è l’ appuntato Gurrieri che accompagna il figlio tredicenne da alcuni giorni febbricitante. Il carabiniere è in divisa, uscito da poco dall’ufficio del comando di Bergamo, dove svolgeva mansioni di dattilografo.
La dinamica del delitto
Alle 19,20 giungono nel cortile due uomini, giovani, armati, a viso coperto. La presenza di un carabiniere è inattesa e provoca un attimo di incertezza, poi uno dei due giovani si avvicina all’appuntato e lo tiene sotto il tiro della pistola, intimandogli di entrare nello studio del medico. L’appuntato Giuseppe Gurrieri invece resta qualche secondo fermo, quindi sposta lateralmente il figlio e cerca di afferrare il braccio del terrorista. C’è una breve colluttazione, poi i due si divincolano e il giovane spara cinque colpi. Dopo di che la fuga.
La retata contro i “drogati”
Immediatamente dopo sono cominciati ! fermi, le perquisizioni domiciliari, e personali. Moltissimi giovani faccia al muro, soprattutto nelle vie e nelle piazze del centro storico. La città vecchia è stata circondata e isolata da polizia e carabinieri. Per tutte le ore che hanno preceduto la rivendicazione, la pista seguita è stata quella definita da carabinieri e polizia «dei drogati di città alta» un modo per dare una lezione ai giovani e ai compagni che hanno fatto del centro storico il loro punto di ritrovo. Molti sono stati quindi i fermati. Tutti però dopo i primi accertamenti e interrogatori sono stati rilasciati.
Il pentito Lombino
Fin qui la cronaca di Lotta continua, il 15 marzo 1979. La telefonata di rivendicazione è opera di Maurizio Lombino, “portavoce” dell’Autonomia bergamasca. Arrestato per una rapina, si pente. tra le tante storie raccontate sull’area politica e le reti militari espressione dei vari comitati comunisti, tira fuori anche il nome di “Brunella” come basista dell’omicidio Ramelli. L’arresto di lei, rientrata dall’estero e le sue confessioni, travolgeranno il castello di menzogne diffuso da Avanguardia operaia per proteggere gli assassini.
Sono le accuse di Lombino, essendosi dissociato l’altro componente del commando, Enea Guarinoni, ben presto arrestato, a portare alla condanna all’ergastolo di Narciso Manenti, ben presto rifugiato a Parigi. Nel 1987 la Francia ha rifiutato l’estradizione ma è finito ancora nell’elenco dei latitanti di cui l’Italia ha chiesto invano la consegna, insieme a Pietrostefani e a un’altra diecina.
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