Così cadde l’arsenale della Banda della Magliana nei locali del ministero

arsenale della banda della magliana

Il 27 novembre 1981 cade per un soffiata l’arsenale della banda della Magliana in un deposito del ministero della Sanità. Un crocevia dei misteri d’Italia. Dal sequestro Aleandri al depistaggio alla stazione di Bologna. Dal sequestro Moro all’omicidio Pecorelli.

Chi l’abbia fatta non è mai stato fatto sapere, ma la soffiata si rivelò giusta. La notte del 27 novembre ’81 la polizia buttò giù dal letto l’invalido Biagio Alesse, abitante all’ Eur all’ottavo piano di via Franz Liszt 34, nell’alloggio di servizio del custode della Direzione Generale dei Servizi di Igiene del ministero della Sanità ospitata in quel palazzone. Nell’appartamento occupato da Alesse e dalla sua famiglia i poliziotti trovarono tre giubbotti antiproiettili.

Le armi ritrovate

Sopra l’appartamento c’era un terrazzone con la centrale dell’impianto di areazione dello stabile. La polizia vi trovò due fucili, uno dei quali a pompa. Ma la soffiata parlava anche del sotterraneo, che procurò ai poliziotti la sorpresa.

19 pistole.
Un mitra Beretta calibro 9.
Una pistola mitragliatrice calibro 9 Beretta M12 Parabellum.
Un mitragliatore marca Sten.
Un vecchio MAB, acronimo di Moschetto Automatico Beretta

Due parrucche, dieci sacchetti di polvere da sparo, un rotolo di miccia a lenta combustione, quattro bombe carta e una ananas a frammentazione, cartucce per fucili da caccia.
Un migliaio di pallottole per pistole. Tra queste, pallottole francesi marca Gevelot. La stessa di due dei quattro proiettili sparati contro Mino Pecorelli.

I rari proiettili Gevelot

Il perito che le esaminò per conto degli inquirenti nei quasi mille casi di cui si era occupato in vita sua aveva trovato proiettili Gevelot solo una volta. Grazie a una soffiata di un malavitoso amico di Danilo Abbruciati e Massimo Carminati.

Naturalmente la francese Gevelot i proiettili li fabbricava a milioni. Destinati a una miriade di clienti sparsi nei vari Stati del mondo. Perciò non si può saltare a concludere che Pecorelli sia stato ucciso con qualcuno di quei proiettili. Certo in una storia piena di inquietanti coincidenze anche questa merita di essere segnalata.

Come che sia, Alesse custodiva quelle armi e munizioni in cambio di un milione di lire al mese. Nonostante fosse un handicappato a volte consegnava armi a domicilio con la sua bicicletta non proprio da passeggio. Lui che aveva l’hobby di riparare le bici. La proposta di usare i sotterranei per tenerci «i ferri» gliel’aveva fatta un suo ex collega. Alvaro Pompili, licenziato per assenteismo e amico, guarda caso, proprio di Abbruciati. Nonché vicino di casa di «Marcellone» Colafigli, adorato come un fratello, di Maurizio Abbatino e di Edoardo Toscano. Ognuno con il suo villino nel quartiere Axa.

Il sequestro nella serie tv Romanzo criminale

Il via vai per la cocaina

Il nome di Pompili il custode invalido lo rivelò per ultimo. Solo alla quinta notte di interrogatori. Dopo avere fatto man mano i nomi di Abbatino, Abbruciati, Colafigli, Paolo Frau, Toscano e Claudio Sicilia. Alesse confessò di avere custodito per un periodo anche cocaina e sacche di quattrini e di avere versato in banca ventimila banconote svizzere affidategli da Colafigli.

Quando Alesse nel sotterraneo custodiva anche la coca c’era un notevole via vai di amici sniffatori. Avrebbe potuto dare nell’occhio e suscitare sospetti. Tant’è che Abbruciati e Colafigli decisero che solo chi era accompagnato da uno di loro due avrebbe potuto andare a portare o prendere le armi in quel deposito. Ricordiamo che secondo Abbatino è da questo deposito che sono state prelevate di corsa le armi per la sparatoria di via di Donna Olimpia contro i Proietti.

Porte aperte per Carminati

Poi il permesso fu esteso a Massimo Carminati. Per via dei rapporti con i suoi Nar. Ma a patto che facesse custodire in quel deposito solo armi non utilizzate per ferire o uccidere. Precauzione utile a evitare eventuali accuse per delitti altrui. Tra le armi sequestrate c’era la mitraglietta Beretta M12 sparita a inizio anno, per l’esattezza il 4 gennaio, dall’armeria del commissariato Cristoforo Colombo: rubata da quell’ispettore Walter Chilelli per il quale Sicilia faceva il confidente, era stata venduta forse direttamente ad Abbatino per cinque milioni.

Una pistola acquistata dallo stesso Chilelli a proprio nome in una armeria di via Baldo degli Ubaldi finirà anch’essa nelle mani di quelli della Magliana. «Ma io l’ho comprata per mio fratello, che è poi morto di cancro prima di restituirmela», si difenderà il poliziotto.

Una proposta vantaggiosa

Per disinnescare i pericoli nati con il ritrovamento delle armi in via Liszt gli «amici» di Alesse si misero in moto subito. Mentre l’ormai ex custode era in isolamento nel carcere di Velletri un tizio con la faccia nascosta da un fazzoletto riuscì ad avvicinarlo per dargli un consiglio: «Gli amici dicono che è meglio se racconti che le armi te le aveva date Giuseppucci. Tanto è morto, che te frega? ! In compenso gli amici ti pagheranno l’avvocato e ti troveranno una nuova casa». Alesse però, spaventato a morte, anziché seguire il consiglio lo denunciò al magistrato.

Ma una volta uscito e col processo per direttissima in corso divenne meno sicuro di sé. Abbatino, Pompili e Sicilia gli chiesero un appuntamento in un bar dell’Eur e anziché fare la faccia feroce suonarono tutt’altra musica. Gli dissero che era stato bravo a non rivelare gli altri nascondigli delle armi di cui era a conoscenza, e che però ora quelle armi andavano recuperate e messe più al sicuro. «E poi gli avvocati consigliano che copi ‘sta lettera e la invii per raccomandata con ricevuta di ritorno ai magistrati, sia al giudice istruttore che al presidente della corte», aggiunsero con gentilezza gli amici. A dire dei quali il testo da copiare era stato deciso dagli avvocati Piergiorgio Manca e Antonio Pellegrino.

La ritrattazione di Alesse

Detto fatto: Alesse invia le due raccomandate ai due magistrati per ritrattare tutto e specificare: «In realtà le armi poi trovare mi sono state portate solo da Franco Giuseppucci e Marcello Colafigli, [uno morto, uno detenuto con accuse di omicidio e impegnato a procurarsi l’impunibilità con l’infermità mentale, ndb] tutti gli altri non c’entrano nulla, ho fatto i loro nomi indotto dagli organi di polizia e perché li avevo conosciuti di vista». L’eccesso di zelo dei due avvocati rischierà di mettere nei guai il giudice istruttore Ettore Torri, perché i due avvocati lo dipingeranno ai loro clienti come facilmente corrompibile e chiederanno infatti più volte quattrini per «ammorbidirlo».

FONTE: Pino Nicotri, Cronaca criminale

La testimonianza di Maurizio Abbatino

«Un giorno d’estate del 1979 ero in auto con Renzo Danesi dalle parti del tribunale. Incontrammo per caso Paolo Aleandri che aveva perso un “borsone” affidatogli da Giuseppucci. La decisione di prenderlo per farci restituire le armi, e comunque per fargliela pagare, fu immediata. Lo caricammo in auto e lo portammo in un appartamento nella zona di Acilia. Ci rimase una settimana, legato come un salame.

Sotto la nostra stretta sorveglianza chiamò al telefono un paio di persone, credo anche Carminati, che pur di non ritrovarselo in fondo al Tevere con un buco in testa ci incontrò, prima da solo poi con Pancrazio Scorza e Bruno Mariani. Ci invitarono a non prendere soluzioni drastiche.

Ci dissero che avrebbero restituito loro stessi le armi. E nei pressi della stazione di Trastevere, pochi giorni dopo, scambiammo Aleandri con un “borsone” diverso dal nostro ma comunque vantaggioso: c’erano due bombe a mano modello “ananas” e due mitra Mab modificati, cioè con il calcio tagliato e sostituito da un altro in ferro saldato. Erano simili ma non uguali.»

Quel mab scomparso

(…) «Un paio di mesi dopo la morte di Franco Giuseppucci, quindi nel novembre del 1980, Massimo Carminati mi chiese uno di quei mitra Mab con il calcio modificato. Lo prese dal deposito, insieme a due caricatori, e non lo restituì.» [sarebbe stato usato dai vertici del Sismi per allestire l’operazione “Terrore sui treni” ma non c’è stato un riconoscimento certo dell’arma, ndb]

(…) «Non era nostra abitudine chiedere spiegazioni. E poi Massimo aveva libero accesso al deposito. Ero presente quando prese il mitra, e c’era anche Biagio Alesse.»

(…) «La scelta di trasferire tutto l’arsenale presso via Liszt nasceva dall’esigenza di mettere al sicuro le armi, che non potevano più essere lasciate in custodia a conoscenti incensurati. Il rischio di perderle era altissimo e il quantitativo ingente. Le armi sarebbero state identificate con le varie azioni, e quindi con noi…

Si decise di affidarle a un’unica persona e fu Marcello Colafigli a mettersi in contatto con Alvaro Pompili, un imprenditore edile che era anche impiegato come guardia giurata presso il ministero della Sanità e legato a Biagio Alesse, custode e centralinista presso lo stesso dicastero. Alesse, in cambio di un milione di lire al mese, si convinse ad assumere anche il ruolo di custode dell’arsenale della banda.»

Maurizio Abbatino intervistato da Raffaella Fanelli, La verità del freddo

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.