Balzerani, le vittime e la battaglia della memoria
Aveva annunciato la sua intenzione di andarsene all’estero per sottrarsi ai “fasti del quarantennale” ma poi non ce l’ha fatta a resistere al fascino della ribalta. E così Barbara Balzerani, la leader delle Brigate rosse diventata scrittrice di successo, la sera del 16 marzo, anniversario del sequestro di Aldo Moro e dell’annientamento della sua scorta, ha accettato l’invito di un centro sociale fiorentino. La presentazione del suo ultimo libro è stata così l’occasione per l’ennesimo scandalo. Una sua battuta inopportuna sulle “vittime di professione” ha scatenato una bufera con tanto di apertura di fascicolo giudiziario (non si capisce su quale ipotesi di reato) e mozione del consiglio comunale per lo sgombero del centro sociale ospitante.
LA PERNACCHIA E LO SPUTO DI LUCA TELESE
Persino un giornalista mite e garbato come Luca Telese si spinge molto avanti nell’invettiva, fino a evocare la pena capitale, ma poi si limita a lanciare contro Barbara Balzerani contro una pernacchia e uno sputo: “In tempo di guerra queste faccende si risolvevano davanti al plotone d’esecuzione. Mentre i carnefici più spietati, una volta assicurati alla giustizia, avevano almeno la dignità e il coraggio di chiudere le proprie farneticazioni deglutendo una pillola di cianuro. Ma noi siamo in tempo di pace, siamo diversi dal loro, e così non abbiamo bisogno di uccidere nessuno: e siccome conosciamo bene quelle come lei, sappiamo che non avrà il coraggio di chiudersi la bocca da sola, nel modo che sarebbe più opportuno”.
IL RUOLO DELLE VITTIME NELLA COSTRUZIONE DELLA MEMORIA
IL RUOLO DELLE VITTIME NELLA COSTRUZIONE DELLA MEMORIA
Eppure il tema del peso delle vittime nella costruzione della memoria è questione seria: affrontata da Francesco Cossiga, il più lucido e determinato politico italiano nella lotta al terrorismo (portano la sua firma le leggi speciali decisive per la sconfitta delle Brigate rosse) ma anche da uno storico come Giovanni de Luna. Nel 2011, nel saggio “La repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa” lo stuioso esamina i danni della “privatizzazione delle memorie” attraverso le “televisioni del dolore”. Per compensare la deriva televisiva e privatistica della memoria, la classe politica, secondo lo storico, non avrebbe trovato di meglio da fare che approvare una serie di “leggi di memoria”, per le diverse vittime (Shoa, foibe, terrorismo, mafia). Con il pessimo risultato di ottenere che “la centralità delle vittime posta come fondamento di una memoria comune divide più di quanto unisca”.
LE BACCHETTATE DI ADRIANA FARANDA
A bacchettare la “compagna luna” arriva anche Adriana Faranda, che partecipò al sequestro Moro con i compiti di postina: passò i 55 giorni a distribuire comunicati brigatisti e lettere del presidente dc: “È indubbio – commenta sulla sua pagina facebook – certe persone sono davvero geniali. In tutte le occasioni in cui con immensa fatica si tenta di avviare un dialogo e una riflessione, si sentono in dovere di ribadire le loro smargiassate. Il muro serve ancora a qualcuno, evidentemente. E non da una sola parte. Non chiedetevi più perché è andata come è andata”.
A bacchettare la “compagna luna” arriva anche Adriana Faranda, che partecipò al sequestro Moro con i compiti di postina: passò i 55 giorni a distribuire comunicati brigatisti e lettere del presidente dc: “È indubbio – commenta sulla sua pagina facebook – certe persone sono davvero geniali. In tutte le occasioni in cui con immensa fatica si tenta di avviare un dialogo e una riflessione, si sentono in dovere di ribadire le loro smargiassate. Il muro serve ancora a qualcuno, evidentemente. E non da una sola parte. Non chiedetevi più perché è andata come è andata”.
La Faranda fu tra i pochi brigatisti a opporsi alla condanna a morte di Aldo Moro, da dissociata ha contributo a ricostruire ruoli e responsabilità dei sequestratori, da anni è impegnata in un percorso di giustizia riparativa verso le vittime del terrorismo che è coronato in un incontro bello e commovente con Agnese Moro, la figlia del presidente.
“DEVE STARE ZITTA ANCHE LA FARANDA”
“DEVE STARE ZITTA ANCHE LA FARANDA”
Eppure anche l’intervista ad Andrea Purgatori della postina delle Br suscita indignazione tra gli intellettuali di sinistra, stanchi dell’autocompiacimento narcisista degli ex brigatisti. Lapidario Ulderico Pomarici, ordinario di filosofia del diritto nalla Seconda Università di Napoli, studioso della repubblica di Weimar: “E’ davvero triste vedere a 40 anni dal rapimento e l’uccisione di Moro un documentario di Ezio Mauro che si affida alla nuda elencazione dei fatti senza uno straccio di analisi. Come sei i fatti parlassero da soli. E’ altresì scandaloso ascoltare la Faranda che riferisce le parole di Morucci dopo l’agguato: “E’ stato un macello”!!! Con una nota di dolore e di tristezza!!! Brigatisti armati di mitra fino ai denti che hanno colpito con precisione chirurgica per dimostrare la potenza delle BR animate dal sacro fuoco dell’ideologia rivoluzionaria… Ma dopo 40 anni vogliono ancora accreditarsi come “i compagni che sbagliano”?”.
Quindi decisamente non va bene neanche la “centralità dei carnefici” nella costruzione di una memoria condivisa. Neppure quando sono personalmente impegnati in un percorso di espiazione. Dobbiamo, allora, mettere la sordina alle voci dei terroristi? Io sono ancora convinto di no. Valgano ad esempio due storie di questi giorni sulla violenza raccontata dando la parola ai protagonisti. Una violenza non politica ma atroce e quotidiana.
UNA LEZIONE DAL PRESENTE
Da una parte la straordinaria lezione di giornalismo di una maestra come Franca Leosini che conclude la sua intervista a Sabrina Scazzi invitando a coltivare il dubbio senza sottrarsi al dovere di informare: “Sabrina, parlando con lei si resta incerti, confusi, molto turbati e si resta soprattutto lacerati dall’ansia di crederle ma tormentati dal dubbio se sia giusto o sbagliato crederle. Porto con me questo tormento”. Dall’altra una giovane giornalista di Fan Page, Gaia Bozza, intervistando la fidanzata di uno dei baby killer della guardia giurata ammazzata di botte, ci restituisce con le agghiaccianti parole della ragazzina, la terribile e lucida consapevolezza di chi vive apertamente fuori e contro la nostra società: “Sì, sono delusa e arrabbiata, ma voi lo lascereste un marito da solo in carcere? Voi avete un’altra mentalità, diversa da noi, noi non siamo come voi: non le facciamo queste cose, non ce la potrei mai fare a stare senza di lui. Appena fa il colloquio vado a trovarlo”. In poche righe c’è più conoscenza e informazione di tante articolesse. E qui si chiude il cerchio: “Noi non siamo come voi”. E quindi capire serve sempre. Anche se costa fatica e dolore…
Non si capisce perchè i familiari delle vittime dei terroristi dovrebbero stare zitti. Vale anche per le vittime dei terroristi di destra o solo per quelli delle vittime delle Br?
A parte che epr molti anni hanno parlato solo loro (i terroristi), scrivendo libri, tenendo conferenze, presentando i loro libri, andando in tv, rilasciando interviste ecc. quindi se c’è qualcuno che ha trasformato il dolore in un mestiere quelli sono loro, Balzerani compresa visto che non ci crede nessuno che non si guadagni da vivere con i proventi dei suoi libri e relative presentazioni.
Per anni, delle vittime e dei loro familiari si è saputo poco o nulla, perchè non dovrebbero parlare di ciò che hanno subito? Dovrebbero parlare solo loro, i terroristi? che arroganza!
Se proprio hanno così tanta voglia di parlare, rivelino la verità su quei tanti delitti degli anni di piombo rimasti insoluti….
A questo punto però, se le vittime non contano nulla e dovrebbero solo stare zitte, zittiamo anche i familiari delle vittime del nazismo, del fascismo e della mafia. O tutti o nessuno.
a onor del vero la balzerani ha detto un’altra cosa e cioè che le vittime non devono avere il monopolio, non che devono stare zitte
Barbara Balzerani deve ringraziare di vivere in un Paese civile come questo, se no non stava fuori da 20 anni a tenere lezioni, scrivere libri e pontificare. Taccia, che è meglio per tutti.
non si può guardare solo a un pezzo, ha esordito dicendo che “fare la vittima è diventato un mestiere”. Da questo concetto ha fatto scaturire il resto. Poi sul resto uno può elucubrare quanto vuole, di storia, di filosofia, e pure di esoterismo se desidera. Ma se non capisce che fin dalla partenza c’è una mancanza di rispetto per chi ha colpito, non ha capito un cazzo del contesto.
Appunto. Bisognerebbe capire cosa significa poi “fare la vittima è diventato un mestiere”, visto che vittime lo si è e in questo caso anche per colpa sua. Detto da una che da 40 anni fa l’assassina di mestiere, un ruolo talmente rilevante da renderla persino insegnante. Solo in Italia si vede, purché però si tratti di “rossi”, i “neri”, giustamente, sono in galera. E’ la disparità di trattamento che sconcerta
Particolare non trascurabile è che il “mestiere” della vittima te lo regala qualcuno che si è scelto quello del carnefice.