15 maggio 1959: la banda Cavallero rapina le paghe Fiat

Alle nove di sera irruzione di quattro banditi alle Ferriere Fiat di via Ceva
A raffiche di mitra assaltano l’ufficio paghe e rapinano le buste degli operai con 8 milioni
Giunti su una “1100,, grigia – Uno resta al volante – Altri tre mascherati balzano a terra e si lanciano attraverso la porta d’ingresso, aperta per lasciar passare un operaio – Sparando affrontano i sorveglianti: penetrano nell’ufficio e fanno fuoco contro un’impiegato che si salva sotto la scrivania – La fuga con il denaro – Il capo guardiano tenta di bloccarli lanciando la bicicletta: fatto segno a colpi di mitra

Quattro giovani ieri sera hanno compiuto una rapina, armati di mitra e di rivoltelle, alla sezione Ferriere della Fiat in via Ceva, dietro la stazione Dora. Si sono impossessati di 183 buste paga per un valore di 8 milioni circa. Tutta la polizia e i carabinieri sono entrati in attività pochi minuti dopo il colpo, ma purtroppo dei banditi ancora nessuna traccia.
Unico elemento sinora acquisito: i banditi o almeno uno dei banditi era piemontese perché in questo dialetto ha pronunciato le poche parole di minaccia ai sorveglianti di servizio. Al numero 2 di via Ceva, di fronte a via Caserta (che corre parallela al trincerone della ferrovia) si aprono un ampio cancello e una porta. Ieri sera l’uno e l’altra erano chiusi. Un treno merci faceva manovra al vicino scalo Valdocco e le spirali di fumo bianco si perdevano pigre nell’aria umida.

La banda della 1100 grigia

Per via Ceva, semibuia, un solo passante: Attilio Testa di 32 anni, un operaio che doveva prendere servizio alle Ferriere. Raggiunse la porta, suonò il campanello. Nel vano, in piena luce, apparve un sorvegliante, Giuseppe Sola. Erano le 21,10. L’altro sorvegliante, Rodolfo Canna, stava verificando le cartoline poste nella scansia accanto all’orologio di controllo. «Buonasera» disse il Testa e stava varcando la soglia, quando velocissima sopraggiunse da via Caserta una «1100-103», grigia. Sterzò ponendosi dinanzi all’ingresso e frenò facendo stridere le ruote. Un giovanotto rimase al volante. Tre balzarono a terra: avevano una sciarpa nera attorno al volto, che lasciava liberi soltanto gli occhi. Uno imbracciava il mitra, gli altri tenevano in pugno la rivoltella. Quello del mitra lasciò partire una raffica contro il cancello. Il Testa, che ancora era sulla soglia, e volgeva la schiena alla via, alzò istintivamente le braccia, i due sorveglianti rimasero esterrefatti. Poi i banditi irruppero oltre la porta. Uno solo parlò: «Gettatevi a terra e non fate storie, se no vi uccido ». Ubbidirono il Testa e il Sola. Lentamente si piegarono sulle ginocchia, si stesero sul pavimento, bocconi.

Una rapina ben preparata

Il Canna, ripresosi dalla sorpresa, cercò di reagire. Con un balzo si volse verso il corridoio e nello stesso tempo mise la mano sotto la giacca per prendere l’arma. Ma il giovanotto del mitra gli fu addosso, lo colpi con la canna contro il fianco facendolo “traballare”. «Giù a terra e non far storie». Un altro bandito per convincerlo che non era opportuno far resistenza gli sparò con la rivoltella quasi sui piedi. Il Canna si inginocchiò, disperatamente si guardò attorno per vedere se accorreva qualcuno. Unico rumore lo sbuffare della locomotiva in manovra e il frastuono secco dei carri spinti. A tenere a bada i due sorveglianti e l’operaio, resi cosi inoffensivi, rimase un bandito armato di rivoltella; i due complici entrarono nel corridoio che si apre alla sinistra e si diressero alla terza stanza, dove ha sede l’ufficio paga.

Si comprende che la rapina era stata preparata sin nei minimi particolari, studiata meticolosamente e con la collaborazione di persone che dovevano ben conoscere i luoghi. I banditi non ebbero mai incertezza. Nella terza stanza si trovava solo il segretario del reparto. Stava controllando le 183 buste che avrebbe dovuto consegnare agli operai del terzo turno quando sarebbero entrati. Ieri sera le buste contenevano la liquidazione del cottimo, ossia la paga mensile meno gli acconti settimanali. Il segretario aveva sentito gli spari. Era corso a chiudere la porta del suo ufficio, sperando di poter trattenere i banditi e nel frattempo dare l’allarme. Ma I due banditi con un pugno infransero il vetro e con una raffica di mitra scardinarono la serratura. Il segretario si salvò perché si era nascosto sotto una scrivania. I banditi presero la cassetta con le buste e corsero verso l’uscita.

Un tentativo inutile

In quel momento il capo turno dei sorveglianti, Giovanni Monformoìo, arrivava dall’interno dello stabilimento in bicicletta; vide i due giovani mascherati uscire dal corridoio, i suoi colleghi a terra sotto la minaccia della rivoltella di un terzo giovanotto mascherato. Capi che si trattava di una aggressione. E decise di agire come meglio poteva. Balzò a terra; afferrò la bicicletta, una mano al sellino l’altra al manubrio, e facendola roteare per mezzo giro la scagliò contro le gambe dei due banditi che avevano il bottino.

Non li raggiunse perché costoro già si erano accorti della sua presenza e con un balzo evitarono la bicicletta. Il sorvegliante si nascose dietro un pilastro di cemento armato e contro il pilastro rimbalzarono i proiettili sparati con il mitra per reazione. I banditi saltarono sulla «1100» che subito partì velocissima. Quando fu dato l’allarme sul posto arrivò il dr. Martuscelli della «notturna», poi il questore dottor Ortona e il vice-questore dottor Allitto, tutta la Mobile con i funzionari Sgarra e Valerio.

A cento metri dal numero 2 di via Ceva c’è la stazione dei carabinieri. Il maresciallo Beltramo accorse per le prime indagini. Poi il colonnello Lastrettì ed il capitano Spinelli. Fu mobilitata anche la polizia stradale ed i vigili urbani. L’ordine era di fermare una «1100» grigia con la targa TO186419. Il numero non era stato rilevato da nessuno, però è questa l’unica «1100» grigia che risulta essere stata rubata negli ultimi tre giorni. Sono stati disposti posti di blocco in città e all’uscita della città. Si è detto che unico elemento acquisito sinora è che uno almeno dei banditi parla con chiaro accento torinese.

I precedenti

Altro elemento: uno dei banditi si è ferito nell’Infrangere il vetro ed ha lasciato una continua traccia di sangue dall’ufficio paghe sino al marciapiede di via Ceva, dov’era in attesa la vettura. Se la ferita fosse grave, ossia se si fosse tagliata una vena, è possibile che debba ricorrere ad un medico. In questo caso le indagini sarebbero facilitate. La rapina condotta con temerarietà e precisione (secondo le norme in uso in America come ci continuano ad insegnare i film di banditi ed i romanzi gialli o polizieschi) ricorda quella del novembre 1957 ai danni dell’A.T.M., in corso Tortona, e le altre due successive ai Mulini de! Martinetto e alla agenzia della Banca PoI polare di Novara dì corso Regina. I responsabili della prima rapina venivano da Milano e sono stati arrestati per il colpo di via Osoppo: ora sono in attesa di processo I colpevoli delle altre due rapine proprio ieri sono stati giudicati in Corte di Assise di appello e condannati a gravi pene.

Fonte: La Stampa, 16 maggio 1959

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.