6 marzo 1979: duemila compagni ai funerali di Barbara Azzaroni

Il 6 marzo ’79 un silenzio cupo schiaccia il centro di Bologna. Bandiere, fiori, una corona: Barbara era una di noi, una comunista. Barbara Azzaroni, ventinove anni. Militante di Prima linea uccisa insieme a Matteo Caggegi, vent’anni, operaio Fiat. Duemila persone partecipano al funerale, sfidano i controlli. Da una Cinquecento l’altoparlante diffonde l’inno di Potere operaio e le parole di un volantino, firmato Il Movimento.

Il movimento di guerriglia è una componente del movimento rivoluzionario. […] Per noi, compagni di Bologna, Barbara non era per nulla clandestina. La conoscevamo e la stimavamo tutti.

Un fotografo riprende i partecipanti. L’ordine è del Partito comunista. Cerchi disegnati intorno ai volti. Frecce.

“La Stampa” sui funerali di Barbara

Requiem per una terrorista. Qui a Bologna il Movimento, quell’entità magmatica che vuol dire molto e niente, si mobilita e si trovano in duemila, in via San Vitale, a due passi dalla cittadella universitaria dove la città ha vissuto due anni or sono la sua primavera violenta. Si accompagna nell’ultimo viaggio Barbara Azzaroni. 29 anni, la «compagna Carla», militante dell’organizzazione clandestina Prima Linea, uccisa a Torino mercoledì della scorsa settimana con Matteo Caggegi, in uno scontro a fuoco con la polizia. Il Movimento torna in piazza e la gente, stavolta, non mostra paura.

“Barbara è stata assassinata mentre combatteva lo Stato”

Al passaggio del corteo si abbassano soltanto alcune serrande, molti si fermano a osservare quei duemila giovani silenziosi che seguono una bara coperta da una bandiera di seta rossa. C’è silenzio assoluto, nel cuore di Bologna e alla mente tornano i funerali di un altro morto che il Movimento aveva detto isuo»: lo studente Francesco Lo Russo. Ci furono quel giorno, il corteo che mostrava collera, slogans, grida, minacce, e dichiarazioni di una guerra senza quartiere al «sistema», allo «Stato dei padroni», che era inteso come Stato della democrazia cristiana e del partito comunista. La guerra stavolta è stata predicata soltanto con un manifesto che, nella notte, qualcuno ha affisso per le strade del centro. «Barbara è stata assassinata mentre combatteva questo Stato», dice l’intestazione. Si afferma: «Sono in centinaia di migliaia i proletari che, pur con forme, metodi, tattiche diverse, hanno individuato il loro comune, irriducibile nemico in questo Stato». Ancora: «La completa adesione di tutti i partiti indistintamente al progetto di ristrutturazione antiproletaria ha aperto inevitabilmente gli spazi ad un movimento di guerriglia che rivendica a viso aperto le sue azioni».

Quel legame con Corrado Alunni

La giovane maestrina morta con la pistola in pugno viene riconosciuta una compagna come tante. «Barbara Azzaroni per anni ha lottato con noi sul terreno degli scontri di classe in questa città cosiddetta democratica. L’hanno costretta alla latitanza, alla clandestinità nella quale ha continuato, in altre forme, la stessa battaglia». «Il movimento» firma il manifesto, stampato nella tipografia Falcone, dove due mesi or sono i carabinieri del generale Dalla Chiesa compirono un blitz arrestando dodici persone indicate come aderenti a Prima Linea. Nella notte c’erano stati attentati alle auto di un’ispettrice di polizia e di un appuntato dei carabinieri li hanno rivendicati il gruppo «Gatti selvaggi L’abbiamo fatto per ricordare Barbara Gli obiettivi sono stati presi a caso nel mucchio dei mercenari». La giovane era ricercata dal giorno in cui. a Milano, era stato arrestato Corrado Alunni. Nell’appartamento di via Negroli. trasformato in base terroristica, gli inquirenti dissero di aver trovato tracce eloquenti di due donne: la prima. Marina Zoni. venne arrestata, l’altra era Barbara Azzaroni. sembrava scomparsa nel nulla.

I vecchi compagni di Potop: Bifo, Oreste

In via San Vitale, davanti al  numero 28, dove abita la famiglia Azzaroni. alle 17 c’erano alcune dozzine di «compagni» dell’Autonomia. Il corteo si era formato in piazza Verdi. Ventotto bandiere rosse listate a lutto sono apparse quasi all’improvviso dal fondo della strada. Le reggevano le militanti dei collettivi femministi. Dagli altoparlanti montati su una «500» arancione, confuse, arrivavano la voce di una ragazza che leggeva il testo del manifesto «per Barbara» e la musica del vecchio inno di Potere Operaio. Dietro il furgone col feretro, una semplice cassa di faggio marrone. Seguivano alcuni vecchi «sessantottisti», militanti di Potere Operaio, quelli di Autonomia.

C’era Franco Berardi. detto «Bifo». che a Bologna è stato leader del gruppo, c’erano Paolo Brunetti, organizzatore del Collettivo Lavoratori Enti Locali, e Franco Ferlini: si dice che siano i leaders di oggi. Da Milano è arrivato Oreste Scalzone, «anima» dell’Autonomia lombarda. Dietro al carro funebre, un «Peugeot 504» targato Torino, una sola corona di garofani bianchi e rossi. «Barbara era una di noi. una comunista». Si levano i pugni quando passa il feretro e il silenzio è assoluto. In lacrime la madre, America, i volti tesi, il padre, vecchio militante di Potere Operaio, e il fratello Paolo. La bara viene coperta da una bandiera rossa, il corteo sfila sotto le due torri. Lo seguono i carabinieri con moschetti e giubbotti antiproiettili. A passo lento si arriva in piazza Maggiore e c’è una sosta imprevista: il furgone si blocca e non riparte. Il feretro viene preso a spalla. C’è silenzio e c’è imbarazzo. Qualcuno tenta anche di fotografare i carabinieri che fanno cordone e si alzano i fazzoletti sul viso. Riprende la marcia, lungo via Ugo Bassi fino a piazza Malpighi dove il corteo si scioglie. La bara è portata al cimitero della Certosa, fuori porta
Vincenzo Tessandori

La storia di Barbara

A vent’anni Barbara ha già una bambina. Nel ’70 incontra Maurice. Militano in Potere operaio, frequentano le sedi dell’Autonomia. Nel marzo Settantasette sono nel movimento, ma anche nelle Brigate comuniste, l’area illegale della rivista «Rosso».

Il pomeriggio dell’11 marzo Bologna è un campo di battaglia. Un carabiniere ha ucciso Francesco Lorusso, militante di Lotta continua. La sollevazione prosegue per due giorni. Barbara è nell’università difesa dalle barricate. A settembre partecipa al convegno contro la repressione come militante delle Formazioni comuniste combattenti.

Il questionario antiterrorismo

Fino al Settantotto è maestra in un asilo nido, è nelle lotte dei lavoratori, nel movimento. Entra in clandestinità appena in tempo per sottrarsi a un mandato di cattura. Milita in Prima linea e partecipa a varie azioni.

Torino è città comunista. Prima linea è radicata nelle fabbriche. Come le Brigate rosse. Per il Pci è inaccettabile. Nel febbraio ’79 lancia un questionario antiterrorismo. Sei domande. La quinta invita a denunciare in modo anonimo il vicino di casa, il compagno di lavoro sulla base di un sospetto. Centomila copie stampate. Trentacinque risposte alla quinta domanda. Prima linea decide di attaccare uno dei responsabili dell’iniziativa.

Barbara e Matteo sono in un bar quando irrompe la polizia. Lei cade subito, ferita a morte. Lui ingaggia un corpo a corpo poi crolla colpito da sei proiettili.

Fonti: Paola Staccioli, Archivio storico La stampa

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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