2 maggio 1972: dopo il blitz di Milano le Br scelgono la clandestinità
Nel quadro delle parallele inchieste milanesi su GAP e BR, che poi verranno unificate [dopo la morte di Feltrinelli i militanti dei Gap allo sbando decidono di confluire nelle Brigate rosse, ndb] , lo stato dà la caccia ai “covi” e ne trova, tra gli altri, uno ritenuto particolarmente interessante a via Boiardo, il 2 maggio 1972.
Viene “ufficialmente” sorpreso con un mazzo di chiavi in mano, nell’atto di entrare, Marco Pisetta, un sottoproletario, ai margini dei GAP o delle BR, che già in passato si era venduto alla PS. Portato in questura, e interrogato dal commissario Calabresi e dal giudice Viola, viene da quest’ultimo “persuaso” con argomenti convincenti a collaborare: “Il dottor Viola mi ha chiesto se volevo quindici anni di galera […] oppure uscire subito […]. `Diciamo che tu non hai mai partecipato alle bande rosse, eri lì per dare una mano a imbiancare l’ufficio’ […]. Mentre mi diceva queste cose, il dottor Viola mi sventolava sotto il naso il mandato di scarcerazione.”
Il memoriale Pisetta
Pisetta cede e viene lasciato in libertà. Dopo 4 mesi, subisce un ricatto analogo da parte del SID che lo convince a firmare un memoriale. Piú tardi cosí egli stesso rivelerà al settimanale “ABC”: “Sono ritornati i due del SID, e mi hanno presentato un plico di fogli scritti a macchina dicendomi di ricopiare tutto a mano sotto forma di una mia confessione spontanea […]. In verità non era una confessione e non era neanche spontanea, tanto che parecchie delle cose che ho ricopiato mi erano del tutto sconosciute.”
La confessione, cosí estorta, verrà dal SID “allungata” al “Borghese” che la pubblicherà a puntate nel mese di gennaio 1973.
Risulta chiarissimo il disegno del SID di coinvolgere nell’operazione contro le BR tutta la sinistra, parlamentare e non. La montatura appare subito nella sua goffaggine: basti pensare che il Pisetta, semianalfabeta, avrebbe scritto questa confessione con linguaggio tipicamente da questurino. Es.: “Tenendo naturalmente conto dell’animus che mi ha guidato […] e del contesto sociale.” Inoltre, per deliziare il palato sopraffino dei lettori del “Borghese,” si era condito il memoriale con accenni a perversioni sessuali: “Ho vissuto per circa 4 anni in un ambiente culturalmente elevato, ma per molti aspetti corrotto, specie nel campo della morale sessuale.”
Viola contro il Sid
Ciò nonostante questo memoriale è il canovaccio su cui la reazione ha recitato, e sta recitando tuttora, a distanza di tre anni, il ritornello dell’iceberg rosso: le BR non sono che la punta di un “iceberg polipiforme” costituito da tutta la sinistra parlamentare e non. Nel giugno ’72 il SID ha fatto addirittura circolare per le caserme dei CC un opuscolo, il cosiddetto “libretto azzurro,” in cui si tenta di avvalorare questa assurda tesi.
Sarà lo stesso Viola, che in un primo tempo aveva usato argomenti tanto “convincenti” da indurre Pisetta a “collaborare,” a indignarsi per il comportamento del SID che gli ha soffiato il testimone chiave sotto il naso, e a sollecitare una formale inchiesta. “Si tratta di un episodio di inaudita gravità […] di omissione di atti di ufficio e favoreggiamento personale.” Nella sua requisitoria, tuttavia, raccoglierà gran parte delle rivelazioni di questo provocatore, il quale, tuttora [1976, ndb], pur essendo ufficialmente ricercato e latitante, si gode tranquillamente la sua miserabile libertà. Insieme a Girotto, Pisetta è l’unico caso noto di provocatore, o meglio di “delatore” di cui sono state vittime le BR.
Il ruolo dei provocatori
I provocatori, gli infiltrati, i delatori sono un’insidia per qualsiasi organizzazione rivoluzionaria, ma risultano addirittura letali per chi, come le BR, ha compiuto la scelta della clandestinità. Di questo le BR si mostrano perfettamente convinte. Esse sottolineano che il provocatore non solo presenta l’inconveniente di mandare i compagni in galera, ma soprattutto getta discredito sull’immagine dell’organizzazione che lo ospita.
In una circolare interna e riservata, che sarebbe stata ritrovata a Robbiano di Mediglia, si legge: “Le spie e i traditori sono tra le armi più efficaci per colpire le organizzazioni rivoluzionarie, sia sul piano pratico che su quello politico. Avere una spia tra le proprie file oltre che mandare i compagni in galera toglie credibilità politica a un’organizzazione rivoluzionaria “… sono un covo di spie e di provocatori.” Entro certi limiti (l’applicazione scrupolosa di un certo modulo organizzativo deve restringerli al massimo) l’infiltrazione è inevitabile, ma ciò non toglie che le spie devono essere colpite con azioni di giustizia proletaria. Non è necessario che ciò sia argomento di propaganda di massa: è sufficiente che colpendo una spia si terrorizzi e si faccia meditare chi ha intenzione di mettersi sulla strada della delazione e della provocazione”.
Nell’intervista del maggio 1974″ ritorneranno su questo argomento, sottolineando l’aspetto della prevenzione: “il criterio fondamentale per garantirsi dall’infiltrazione è il livello di coscienza politica e militanza pratica. Nessun criterio è però infallibile”. In realtà l’esperienza insegna che una certa quota di infiltrazione è inevitabile in tutti i partiti. Lo stesso partito bolscevico di Lenin, modello di organizzazione, era abbondantemente infiltrato, al punto di tenersi addirittura due spie nel ristretto e clandestino Comitato centrale, una delle quali, Malinowski, aveva perfino un passato di schietto rivoluzionario.
Gli infiltrati nella sinistra
Infiltrati ne hanno e ne hanno avuti in passato il PCI e il PSI; nel 1970 si è scoperto per esempio che due esponenti del Comitato centrale del PCI, Stendardi e Ottaviano, erano in realtà agenti della CIA. E chi li ha individuati non è stata la tanto conclamata vigilanza di partito, ma la KBG sovietica che li ha smascherati, dopo che la loro miserabile attività aveva provocato l’arresto di centinaia di compagni in Brasile, Portogallo, Grecia e Spagna.
Per non parlare dei “traditori” e di chi, come Eugenio Reale o Renato Mieli, hanno finito chi col “vuotare il sacco” di tutte le informazioni riservate che gli erano state affidate, chi col partecipare a convegni insieme a Giannettini, Rauti, ecc. (Pollio, 1965). Né va dimenticato, sempre in tema di vigilanza, che i generali golpisti Fanali e De Lorenzo devono la loro carriera anche alla patente di democraticità loro conferita da PCI e PSI, i quali li sostennero come candidati per la nomina a Capo di stato maggiore.
In realtà le BR, che vengono accusate ripetutamente dalla sinistra parlamentare di essere un covo di spie, si sono, al contrario, mostrate, a differenza di altre organizzazioni, “abbastanza impermeabili alle infiltrazioni”.
Perfino 7 Giorni, settimanale vicino al PCI, fuori dai denti, è stato costretto ad ammetterlo: “L’infiltrazione di ‘informatori’ nelle file delle BR è un’operazione alquanto difficile; ogni nuovo arrivato è minuziosamente esaminato, deve avere un passato pulito, e prima di essere ammesso tra gli addetti ai lavori deve superare mesi di collaudo, durante i quali un eventuale infiltrato svelerebbe immancabilmente la sua identità […]. L’unico infiltrato nelle BR, a livello marginale, fu Marco Pisetta”.
Una pioggia di accuse
Questo articolo rappresenta però l’eccezione: da parte del PCI giungerà l’accusa, piú o meno velata, di collegamenti con le piú disparate centrali eversive: Ordine Nero, SAM, Giustizieri d’Italia, Ordine Nuovo, MAR, CIA, SID, OAS, KYP, Servizi segreti israeliani, ecc. Da parte di altre organizzazioni (MSI, DC, Stella Rossa) si rivolgerà l’accusa opposta di collegamento con la KGB. Mai uno straccio di prova: la discussione politica è degradata al rango di insulto. Il dilagare dell’accusa di provocazione, per ogni azione che esca dai canoni prefissati, è, secondo Potere Operaio, il segno di una “logica degradata e questurina, di completa identificazione con le ragioni dello stato capitalistico in ogni sua articolazione.”
Lotta Continua osserva acutamente in proposito: “Non c’è militante della nuova sinistra che non si sia sentito dire: `chi ti paga?’ Domanda scarsamente morale per quanti, uomini e donne, giovani e non giovani, spesso pagano alla propria milizia un prezzo molto caro.” È questo il caso di chi, come Curcio, accusato di appartenere a mille diversi servizi segreti in concorrenza tra di loro, ha già pagato con il carcere, con la morte della moglie, e ora continua a pagare con i disagi della latitanza, la sua scelta di lotta [il testo è scritto nell’inverno 1975, ndb].
La scelta della clandestinità
Recentemente le BR, le quali già nel settembre ’71 avevano ammonito che l’accusa di presentarli “come provocatori o fascisti non ammette una risposta politica, ma costituisce al momento opportuno un fatto di cui dovranno rendere conto coloro che l’hanno formulata,” hanno ribadito i loro avvertimenti alla stampa di regime. “A questi seminatori di odio, dubbi, insinuazioni, diamo un ultimo consiglio: riflettano prima di stendere l’ultimo pezzo […] perché alla guerra psicologica risponderemo con la guerra psicologica e la rappresaglia”.
È soprattutto grazie alla loro impermeabilità che dalla dura repressione scatenatasi contro di loro a partire dal 2 maggio 1972 le BR, secondo le loro dichiarazioni, vengono solo “sfiorate” uscendone addirittura rafforzate.
A partire dal 2 maggio 1972 (perquisizione del “covo” di via Boiardo) le BR scelgono la via della clandestinità totale. In un documento cosí spiegano i motivi della loro decisione: “La clandestinità si è posta nei suoi termini reali solo dopo il 2 maggio 1972. Fino ad allora impigliati come eravamo in una situazione di semi-legalità, essa era vista più nei suoi aspetti tattici e difensivi che nella sua portata strategica.” (…)
Una fase di immersione
Le BR, in assoluta clandestinità, si astengono per un periodo di 6 mesi, fino al novembre 1972, dal compiere azioni “firmate,” dedicandosi esclusivamente allo sviluppo del fronte logistico: “Non accettando il terreno che ci veniva imposto di uno scontro frontale tra le Brigate e l’apparato armato dello stato abbiamo avuto tutto il tempo di contrattaccare in ‘silenzio’ su obbiettivi economici, e rafforzare di conseguenza il nostro impianto organizzativo.
Per quanto riguarda gli “obbiettivi economici” le BR non hanno mai fatto mistero della loro posizione rispetto all’ esproprio, ritenendolo giustificato non solo come “tassazione” ma soprattutto come accenno al futuro “assalto alla ricchezza sociale.”
La stagione degli espropri
Questi concetti, tratteggiati fin dai tempi di “Nuova Resistenza” (maggio 1971) vengono piú tardi ribaditi e sviluppati: “L’esproprio non deve essere affrontato semplicemente per necessità contingenti di autofinanziamento, ma va considerato uno degli aspetti fondamentali della lotta per la costruzione del potere proletario”. Renato Curcio, circa quattro anni piú tardi, nel corso di un’intervista rilasciata in carcere rincarerà la dose: “nell’espropriazione si oggettivano una legalità ed una moralità rivoluzionaria”.
Ma oltre che per attaccare su obbiettivi economici, le BR utilizzano questi sei mesi per radicarsi in fabbrica. Il metodo è quello delle inchieste a tappeto, che le porterà, attraverso l’elaborazione e l’analisi delle informazioni ottenute, alla comprensione dei meccanismi di potere all’interno della fabbrica.
L’impianto organizzativo, cosí rafforzato, diviene la base per il salto di qualità che consentirà in breve tempo di portare l’attacco al “fascismo FIAT” e, nel medio periodo, di porsi all’attenzione di tutto il paese con azioni clamorose.
FONTE: Soccorso rosso, Brigate rosse, Feltrinelli, 1976
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