20 dicembre 1973: Eta fa volare Carrero Blanco e sotterra il regime franchista

Il 20 dicembre 1973 l’ammiraglio spagnolo Luis Carrero Blanco, numero due del regime falangista, è fatto saltare in aria dall’ETA. Il testo che segue, pubblicato dalla rivista “Anarchismo” nel 1975, cerca di riproporre l’azione nella sua essenzialità organizzativa e con la massima obiettività possibile. Trattandosi di un argomento che ha affascinato molti compagni, e che ha visto l’attività mistificatrice di cineasti e mestieranti vari, non ci è sembrato inutile rimettere a posto le cose. Eva Forest firmò il libro pubblicato nel 1974 da Ruedo Iberico con uno pseudonomo (Julen Agirre) perché usciva da tre anni di prigionia nelle galere franchiste e non poteva in quel momento correre altri rischi. Speriamo che questi fatti si possano finalmente leggere con una certa distanza critica e che non si cada nell’equivoco di fruirne come di un qualsiasi racconto poliziesco.
Edizioni Anarchismo
La seguente intervista è un estratto di quanto pubblicato da Julen Agirre (Eva Forest) riguardante gli incontri avuti con il Commando Txikia dell’E.T.A. (Euskadi Ta Askatasuna) autore dell’uccisione di Carrero Blanco, Presidente del governo spagnolo sotto la dittatura franchista, nel corso dei quali è stato possibile chiarire le motivazioni ideologiche e l’organizzazione tecnica dell’attentato. Il testo integrale è stato pubblicato da Ruedo Iberico (Paris 1974). In quest’estratto abbiamo tralasciato l’esame dei motivi ideologici dell’azione, esame ben sviluppato nei documenti allegati, redatti dallo stesso commando.
L’operazione Ogro
Come sorse l’idea dell’esecuzione di Carrero Blanco?
Molto semplicemente. All’organizzazione giunse la notizia che Carrero andava tutti i giorni a messa alle nove in una chiesa dei gesuiti in via Serrano. In un primo tempo venne considerata un’informazione come tutte le altre, poi si decise di verificare la cosa inviando un militante. Si analizzò poi il problema: Carrero era l’uomo del regime che per anni aveva preparato la continuazione del franchismo, l’uomo che garantiva questa continuità. Insomma la persona adatta per un sequestro con cui ottenere la liberazione dei prigionieri.
Sulle prime pensavate ad un sequestro?
Sì. Fu la prima idea dell’organizzazione. Sai bene che dopo il processo di Burgos si era cercato spesso di tirare fuori dal carcere i prigionieri. Per questo si pensò a Carrero Blanco come alla persona idonea.
La preoccupazione di liberare i prigionieri è una costante della organizzazione?
Molte informazioni, molte possibilità, molte intenzioni, ma non pensiamo che per adesso possiamo fare molto.
L’informazione venne da un militante o da un simpatizzante?
Ciò può dirlo l’organizzazione, noi possiamo limitarci a dire che conoscevamo il fatto. A Madrid come in altre città spagnole abbiamo degli osservatori.
Si dice che i Baschi aiutano molto.
Questo è relativo. Vi sono baschi rivoluzionari che aiutano e altri no. Ad andare a Madrid fummo in due. Come nel resto dello Stato spagnolo non abbiamo gente di organizzazioni spagnole disposte ad aiutarci in un’azione armata. L’esperienza che abbiamo è che quando un’organizzazione prende contatto chiede di firmare congiuntamente con noi per l’appoggio e il risalto politico che può significare firmare con l’ETA un qualche manifesto, più che con l’intenzione di collaborare per distruggere lo Stato spagnolo.
Conoscevate Madrid?
Qualcuno, come me, sì, altri no. Io c’ero stato una volta sola molto tempo fa. Mikel no. L’indomani del nostro arrivo nella guida telefonica cercammo il domicilio dell’Ogro. Viveva in via Hermanos Bécquer, credo al n. 6. Sembrava impossibile che fosse così facile, una personalità così… Vedemmo anche la Chiesa, grande, un vero e proprio tempio dei gesuiti. Andammo alle nove, l’orario della messa, ma Carrero non veniva, poi apparve accompagnato da un signore di circa settant’anni, dall’aspetto molto vecchio, capelli bianchi, piccolo…
Conoscevate tutti Carrero?
Lo avevamo visto in fotografia nei periodici. Avevamo una foto in primo piano. L’informazione diceva che andava a messa da solo. Infatti l’accompagnatore rientrò nella vettura, dove si trovava un altro con una cartella. Il giorno seguente andammo un’altra volta e lo vedemmo arrivare in una Dodge nera.
Era facile l’osservazione?
Sì, fuori vi erano molte fermate di autobus. Una di fronte all’Ambasciata Americana, una in via Hermanos Bécquer e una in via Serrano. Il giorno seguente si ripeté la scena: Carrero restava solo in chiesa mentre ci accorgemmo che la Dodge era seguita da una Morris di colore rosso. Poi l’Ogro, con il signore della cartella, rientrava nella Dodge.
Perché lo chiamavate con questo appellativo?
Per la faccia brutale che aveva, sopracciglia foltissime, peloso. Da ciò il titolo dato all’operazione.
Quanto tempo restaste?
Poco. Ci rendemmo conto del tragitto obbligato che doveva fare l’auto a causa dei sensi unici, comprammo una carta di Madrid e completammo lo studio della zona.
Quale analisi aveva fatto l’organizzazione?
L’obiettivo dell’azione era di fare uscire dal carcere i militanti di ETA (più di 150) condannati a pene superiori a dieci anni. Naturalmente quello che avremmo chiesto sarebbe stata la libertà di tutti i prigionieri politici che si trovavano nello Stato spagnolo indipendentemente se Baschi o no, con pene superiori a dieci anni. In questo senso il sequestro aveva delle possibilità. Se si riusciva nello scambio, a parte la quantità di prigionieri che si tirava fuori di prigione, si otteneva una vittoria più grande per la serie di conseguenze che si sarebbero scatenate. Tutto ciò non si poteva prevedere chiaramente ma la cosa avrebbe portato lo stesso Carrero a radicalizzare la situazione, rompendo l’equilibrio e creando un conflitto più grande all’interno del Regime.
Qual era la zona?
Quartiere di Salamanca, gente per bene, ambasciate… e la chiesa. Questa era grande, alta, molto larga, con tre navate e dava sulla via Serrano. Il sequestro era stato previsto dentro la chiesa. All’azione avrebbero dovuto collaborare altri commando che sarebbero arrivati all’ultimo momento per dare un aiuto.
Quanto tempo calcolavate sarebbe durata l’azione?
Uno o due minuti. Non doveva essere una cosa tanto brusca per evitare la reazione della gente. Più un minuto per la ritirata.
Contavate sulla reazione della gente?
Sì, ma non molto, si contava più sul fattore sorpresa. La gente in generale non si muove, per l’istinto della conservazione, ma può diventare isterica per la paura. Gli altri problemi erano stati risolti: il rifugio dove nasconderlo, il tempo da dare al Governo (48 ore), dove inviare i prigionieri liberati sarebbe stato un problema del Governo stesso, se gli interessava lo scambio.
Perché non si poté realizzare questa azione così com’era stata studiata?
Per un contrattempo. Si aveva tutto: l’ospedale, la casa dove andare appena usciti dalla chiesa, la casa per il commando che avrebbe custodito l’Ogro, le due case intermedie, le vetture, tutto meno il posto dove tenere l’Ogro perché accadde un incidente. Quando avevamo anche le chiavi di questo appartamento, un gruppo di giovani, un quindicina, entrarono, pensando di rubare qualcosa, trattandosi di un posto appartato. Il giorno dopo, si cercò di avvicinarli, ma quelli si spaventarono, qualcuno tirò un colpo d’arma da fuoco: in una parola un parapiglia nel quartiere… uscirono tutti i vicini che compresero si stava commettendo un furto.
Fu avvertita la proprietaria… Questa venne con il fratello e al parlare di Mikel questi disse: “Ma voi siete basco, guarda un poco, amico, io ho la mia famiglia a San Sebastian”. “No, guarda che io non sono basco, ma valenziano – secondo come figurava nel contratto”. “Nessuno lo direbbe, sembrate basco, come quelli di San Sebastian”. In definitiva tutto ciò ci convinse a desistere.
Quando rinunciaste al sequestro come vi regolaste con tutta l’infrastruttura?
Passammo tutta la prima quindicina di novembre, mentre studiavamo la possibilità di esecuzione, visitando ed annullando tutti i contratti. Tutti si comportarono molto bene, tranne la vedova della casa dove si doveva custodire l’Ogro ci negò la restituzione dei due mesi di deposito.
Il problema della ritirata?
Bisognava decidere il tragitto nello Stato spagnolo, sarebbe venuto un militante del servizio informazione, per controllare i movimenti della polizia. Perciò comprammo una Austin 1300 di seconda mano con un documento falso. Così rastrellando la zona con l’auto vedemmo che in via Coello c’erano dei seminterrati. Decidemmo per quello al n. 104. Era il 10 o il 12 di novembre.
Qual era il percorso effettuato ogni giorno dall’Ogro a causa dei sensi unici?
Via Hermanos Bécquer, usciva da casa e l’auto prendeva a destra, via Lopez de Hoyos, via Serrano, dove c’è la chiesa di S. Francesco de Borja. Poi uscito dalla chiesa prendeva a sinistra, completava la via Serrano, ancora a sinistra, via Juan Bravo, ancora a sinistra, via Claudio Coello, ancora a sinistra, via Diego de Leon e rientrava in via Bécquer.
Qual era la situazione interna del locale seminterrato?
Era di 6 metri per 3,5, con una camera grande, una piccola, una cucina e un W.C., con una finestra nel W.C., un pianerottolo e una finestra che dava su via Coello, situata a destra entrando dalla porta. Il pianerottolo, invece, era di fronte alla porta.
Il seminterrato era profondo?
No. Una profondità di un metro e settanta. Cominciammo gli scavi a livello del pavimento. Avevamo calcolato di rompere il muro di base l’indomani, ma questo fu tremendo. Si lavorava a turni di venti minuti ciascuno, perché di più non si poteva fare. Poi era terra umida, per le infiltrazioni di acqua e gas. Non ci furono vere e proprie fughe, ma un cattivo odore che ci impediva di aprire la finestra.
E l’esplosivo?
Il 15 di dicembre andai a prenderlo. Non ci furono seccature nel trasporto. Si utilizzò l’auto. Andava perfettamente nel cofano dell’auto, il peso era di circa 80 chili.
Come entraste nel seminterrato?
Semplice, di notte, tra la chiusura della portineria e il primo giro della guardia notturna. Si trattava di Goma 2, un esplosivo industriale molto forte. La cosa più difficile fu metterlo nel tunnel perché questo era molto stretto.
Come fu ideato il sistema di esplosione?
Si aveva la T che era la galleria, si collocarono tre cariche nei bracci della T, due ai lati e la terza nel mezzo. I bracci della T corrispondevano più o meno al centro della strada.
Tra voi c’era qualche tecnico in esplosivi?
Tecnici specializzati no. Però avevamo una certa pratica, la stessa che possiede ogni militante che lavora sul fronte della lotta armata, o un poco di più… Comunque questa operazione non esigeva molte complicazioni tecniche.
Di quanto erano le pile?
Di uno e mezzo, però unite in due. Si provarono presso il compratore e si vide che la corrente passava. Si collocarono nel cavo che passava vicino alla finestra. Mentre si terminava la connessione elettrica si collocò l’Austin davanti l’altro lato della strada in faccia al seminterrato per costringere l’auto dell’Ogro a passare per il centro della carreggiata. Poi lo si seguì fino in chiesa. Mentre era in chiesa, noi eravamo tutti pronti, si verificò la connessione con la batteria.
Poi si vide apparire l’auto in via Juan Bravo, veniva avanti adagio. All’altezza di via Maldonado rallentò ancora perché passava una signora con una bambina. Poi, sempre molto lentamente arrivò all’altezza fissata… ciò che uno sente in un momento come questo non si può immaginare… Giunta l’auto all’altezza della nostra automobile… Ora! Non si vide la vettura ma la si vide che volava. Un sordo rumore. Noi cominciammo a gridare: gas, gas! secondo come avevamo stabilito prima, per dare l’impressione che si trattasse di una esplosione di gas dalla conduttura. Ci mettemmo in macchina e lentamente ci allontanammo: i nostri compagni erano stati vendicati.
Julien Agirre
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