Caso de Magistris: il problema vero è la sorveglianza di massa (sia pure all’artigiana)

…Gioacchino Genchi è uno dei migliori esperti nella lotta alla criminalità condotta con metodologie informatiche, ed i suoi servizi sono stati importantissimi per assicurare alla giustizia pericolosi latitanti… Il suo metodo d’indagine, però, gli consentì di acquisire un archivio personale con i dati di traffico telefonico di 13 milioni di persone, per un totale di 350 milioni di telefonate. A queste si aggiungeva un archivio di email, l’intero archivio dello Stato Civile della città di Palermo e dati fiscali di centinaia di migliaia di persone. Parte considerevole di quest’archivio fu realizzato durante l’inchiesta “Why Not?”, quando De Magistris, allora PM, firmava i provvedimenti che permettevano a Genchi di acquisire i dati sensibili presso le compagnie telefoniche. In Italia le intercettazioni autorizzate dalle procure sono effettuate tramite i CIT, Centri Intercettazioni Telefoniche. Per nessun motivo è consentito l’archiviazione dei dati presso soggetti terzi dalle autorità giudiziarie, e senza apposito provvedimento firmato da un giudice. La buona fede di Genchi non dovrebbe essere in discussione, perchè se avesse voluto utilizzare per fini di lucro il suo archivio sarebbe oggi un uomo molto ricco e potente. Il punto è un altro. E’ ipotizzabile che la gestione dei dati personali possa essere privatizzata? Consentendo ad agenzie private, consulenti informatici, investigatori privati e quant’altro di dotarsi di loro archivi con i quali, in base alle loro tecniche d’indagine, offrire i loro servizi alle procure? E’ questo il nodo vero della condanna di De Magistris e Genchi, l’utilizzo di dati personali e sensibili, con metodi invasivi, sui quali invece è necessario un rigoroso controllo, per evitare di finire di vivere in una dittatura digitale.

Così Emiliano Di Marco nella sua pagina Facebook coglie e restituisce i termini reali del caso De Magistris. Qualche giorno fa sul tema del “controllo digitale” ha scritto un pezzo magistrale per Wired Vittorio Zambardino che, partendo dal caso Assange-Wikileaks, riflette sul fatto che non c’è solo una “sorveglianza di massa americana”:

Non è mai bene svegliarsi la mattina, guardare il paesaggio e pensare che sia il primo giorno della creazione: la sorveglianza utilizza la dimensione e la profondità del digitale. Non sarebbe questa la luce, l’approccio col quale parlare di questo problema? Certo, bisognerebbe andare un po’ oltre quello che scrivono gli altri in inglese. Mi rendo conto. Sento il coro dei “sì, vecchio imbecille, è quello che facciamo”. No, non è questo che fate, giovani colleghi giornalisti e hacker di ogni abilità e paese. Voi pensate che la sorveglianza sia amerikana, e lo pensate perché vi portate dentro un’idea, antica in questo paese e nel mondo, che l’Amerika sia il male. Ma sarete convincenti quando sarete (e forse mi metto nel lotto e dico: saremo) saremo convincenti quando sapremo descrivere i sistemi di sorveglianza di massa russo, cinese, iraniano, egiziano e via così. Quando sapremo inquadrare il problema della sorveglianza come una delle “emergenze” aperte dal digitale. Altrimenti saremo solo produttori di materiale propagandistico per i furbacchioni delle varie anti trust, democratiche e no, europee e non, che vogliono fare la guerra, anche commerciale, all’Amerika.

Per l’ecologia del discorso pubblico – sono d’accordo con Zambardino – dovremmo parlare di sorveglianza di massa come “emergenza” del digitale e non come uno scandalo amerikano. Perché se pensate che da noi non si spii, siete pazzi. Come dimostra l’archivio Genchi…

Per il resto, cioè la bagarre politica innescata dalla condanna, tutti stanno ad accapigliarsi su questioni di assoluta banalità. Io invece penso che:

1. alla fine può sbattere i piedi a terra quanto vuole: de Magistris sarà sospeso dal prefetto in base a una legge forcaiola prodotta dallo strapotere politico della magistratura;

2. non è la prima volta che “Gioacchino mettette ‘a legge, Gioacchino fenette ‘mpiso” (proverbio napoletano ispirato alla tragedia di Murat che fu condannato a morte per una norma da lui reintrodotta);

3. desta commozione l’impegno di certa compagneria che fino all’altro giorno chiedeva le dimissioni del sindaco per tutte le omissioni, giravolte e inadempienze consumate nell’arco di tre anni e ora si stringe a corte in sua difesa, contro l'”attacco dei poteri forti”;

4. benvenuto Marco Travaglio nella vasta schiera dei garantisti ad personam …

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

1 commento su “Caso de Magistris: il problema vero è la sorveglianza di massa (sia pure all’artigiana)

  1. a fattor comune e per tutti coloro che si ostinano a difendere e a giustificare l’attività di “grande fratello” perpetrata dal sig. GENCHI, “delinquente consapevole”, riporto testualmente le motivazioni della sentenza di condanna del Giudice (le sentenze vanno rispettate…sempre..!!..e non solo quando conviene a GENCHI e De Magistris) dove si evince che DE Magistri “pur non essendo uno studente di giurisprudenza” però, (sostengono i giudici) insieme a GENCHI non rispettò le regole, commettendo consapevolmente i reati (colui che delinque consapevolmente è semplicemente un “delinquente”). «Nel caso di specie – scrive ancora il Presidente Rosanna Iannello – la condotta (integrata dall’illecita acquisizione dei dati di traffico telefonico di soggetti cui spettava la speciale guarantigia costituzionale) è da ritenersi qualificata soggettivamente da dolo e l’evento (il danno consistente nell effettiva conoscenza e trattamento dei dati di traffico) risulta arrecato intenzionalmente, costituendo il fine iniziale perseguito dagli imputati come “preciso scopo che il reo si prefigge di realizzare in via immediata e attraverso la violazione della legge”». Motivazioni durissime quelle dei giudici di piazzale Clodio che, nero su bianco, annotano come «risulta provato che gli imputati perseguirono come obiettivo primario quello di accedere ai dati traffico dei parlamentari coinvolti nell’indagine, noncuranti dei divieti costituzionali; che li acquisirono in violazione delle norme di legge e nella consapevolezza di non potersene avvalere a fini processuali». Una strategia quindi che sarebbe stata studiata a tavolino da De Magistris e da Genchi il «cui comportamento delittuoso era quello di utilizzare le comunicazioni dei parlamentari – documentate dai tabulati – per “incrociarne” le risultanze e collegare le inferenze di traffico con informazioni bancarie e localizzazioni (secondo l’usuale sistema illustrato in dibattimento per i comuni indagati), sì da tracciare contatti, relazioni, movimentazioni degli onorevoli nell’immanenza delle funzioni parlamentari esercitate». Una sorta di “grande fratello” in salsa calabrese nel quale «i reati appaiono unificati nel vincolo della continuazione”. Indifendibili e ingiustificabili….!!!…e ricordo che De Magistris si è sempre avvalso della qualifica di parlamentare (pur sbandierando a quattro venti che non lo avrebbe mai fatto) per idfendersi dalle denuncie di diffamazioni scaturite dalle sue improvvide dichiarazioni….!!!!

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