Caso Ustica, Giuliano Amato e strabismo garantista

Caso Ustica

La terza puntata della rubrica “Misteri d’Italia” dedicata ancora al Caso Ustica,pone al centro la questione del garantismo con una particolare torsione giuridica e filologica.

di Peppe Carrese

Nel dicembre 1980 la parola (e la nozione di) “garantismo” non era ancora di moda. Altrimenti, il povero Aldo Davanzali (ossia, il proprietario della compagnia cui apparteneva il DC9  abbattuto a Ustica) non avrebbe passato ciò che ha passato. Ma per capire bene questo passaggio, nonché, soprattutto, che c’entra il parallelo con l’Amato del 2023, bisogna fare un passo indietro. E andare un tantinello nel giuridico.

Caso Ustica: la libertà di parola è una gran bella cosa ma …

Il 16 dicembre 1980, infatti, Davanzali, rendeva pubblica una lettera da lui inviata al Ministro competente, il socialista Rino Formica. In essa, senza mezzi termini, si affermava che il DC9 era stato abbattuto da un missile[1]. Scartando perciò esplicitamente anche l’ipotesi bomba.

Sarebbe oltremodo interessante discutere sul come Davanzali avesse saputo notizie tali da permettergli di mettere nero su bianco, e con tanta sicurezza , e solo sei mesi dopo l’accaduto, ciò che avrebbe atteso otto anni per diventare l’ipotesi più probabile; ciò che qui va osservato è che, due giorni dopo, il 19, Davanzali, a seguito di quel documento, venne convocato come “persona informata dei fatti” dal primo giudice che si occupò della vicenda: Giorgio Santacroce.

Dove nasce l’assoluta certezza di Davanzali?

A Santacroce, Davanzali ripetè pari pari la sua tesi, con la medesima assoluta certezza. Risultato: entrato nell’ufficio del giudice come testimone, ne uscì indagato. Ipotesi di reato: art. 656 cp, “Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico”.  

Ora, se Davanzali meritava l’imputazione, a maggior ragione, oggi, la merita Giuliano Amato. A meno che, qualora fosse ascoltato dal giudice, non porti elementi fattuali tali da far diventare la sua ipotesi un’accusa circostanziata.

Ustica ovvero: il garantismo (dis)applicato

 Ciò perché:

1) da un lato, nel 1980 come oggi, la condotta integrante la contravvenzione[2] vede come bene tutelato l’ordine pubblico nel senso di vita collettiva dei cittadini (in tal senso, ad es., Cass. Pen., sez. VI, sent. 1569/75);

2) dall’altro, ai fini della sua concretizzazione, non è affatto richiesto che “il turbamento” si manifesti palesemente e/o oggettivamente: «Il reato di pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico (art. 656 c.p.), è un reato di pericolo, sicché nulla rileva, ai fini della sua esclusione, il fatto che non si sia verificato alcun turbamento dell’ordine pubblico, essendo sufficiente che vi fosse un’astratta possibilità che un tale turbamento in effetti si verificasse» (Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 9475 del 7 novembre 1996).

Reati di pericolo: quando basta il rischio

In parole povere: basta l’eventualità, la possibilità concreta  che “il turbamento” si manifesti a far scattare l’imputazione. Perlomeno, in astratto è (sarebbe) così.

La differenza tra tale condotta (sanzionabile) e il diritto costituzionalmente garantito alla libertà di espressione (art. 21 Cost.) non sta solo in cosa si afferma. Ma anche nel come lo si afferma. E qui casca l’asino.

Infatti, «a differenza della “voce”, caratterizzata dalla vaghezza e dalla incontrollabilità, la “notizia” rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 656 c.p. (pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose), è non del tutto svincolata da oggettivi punti di riferimento che consentano la identificazione degli elementi essenziali di un fatto e ne rendano possibile il controllo» (Cass.  Pen., Sez. VI, sent. n. 3967 del 17 marzo 1977).

Caso Ustica ovvero: “chi figlio e chi figliastro”

Tradotto in italiano corrente: Amato avrebbe molti più motivi del Davanzali del 1980 a (minimo) essere indagato ex 656 cp. Perché mentre Davanzali, a sostegno della sua accusa, bene o male qualche riscontro lo portava (non solo le conclusioni della prima commissione d’inchiesta, ma pure, come si vedrà, le affermazioni del Ministro allora solo competente sul caso. Quello dei Trasporti, il socialista Rino Formica). Amato non ne ha finora portato nessuno.

Ora, tutto ciò non è affatto smania giustizialista di “dare addosso al potente”: è garantismo. Per un motivo assai semplice quanto spesso dimenticato: “giustizialismo” è concetto pluricomposto. Ossia, in parole povere: non è solo tutela procedurale dell’accusato (sia esso indiziato, imputato o condannato). Ma è anche, insopprimibilmente anche, certezza della pena e rispetto degli articoli 2 e. 3 comma 1 della Costituzione.

Lo Stato deve proteggere i cittadini

Come cioè afferma uno dei più studiati manuali di Diritto Penale, «l’art. 2 Cost. se da un lato impone la “liberalizzazione” del diritto e del processo penale, dall’altro, e non meno imperiosamente, impone allo Stato il dovere di proteggere il diritto dei cittadini contro le altrui aggressioni … non di impostare la propria attività … giudiziaria nel senso di renderne più agevole l’aggressione»[3]      

Insomma, laddove, come si dice a Napoli, “si fa chi figlio e chi figliastro”, non è più garantismo. Detta corta: tutto quanto sopra premesso, Amato dovrebbe essere garantisticamente indagato ex art. 656 cp anche laddove nessuna procura lo convocasse. Ovviamente, in astratto.

Caso Ustica: un garantismo a 359°

Così come, sempre in astratto s’intende, persino il direttore di la Repubblica, Maurizio Molinari, potrebbe essere coindagato. Non foss’altro perché i suoi redattori insistono pervicacemente a non fare ad Amato una domandina piccola piccola: “ma che elementi ha per dire ciò che dice?”. Si ricordi che la rubricazione dell’art. 656 cp parla chiaro: “Pubblicazione o diffusione ecc. ecc.”.

Tutto ciò, in astratto. Poiché, come è dimostrato ad abundantiam da una caterva di episodi (da Alfredo Cospito alle sentenze su Bologna) il garantismo, di fatto, funziona sempre a 359 gradi ….

Ps. Che c’entra Formica. Fu il primo a parlare di missile. Prima ancora di Davanzali. Per di più, da ministro. Cfr. “Repubblica” del 18 dicembre 1980, p. 12. Ma, a conferma del detto partenopeo sopra citato, non fu manco ascoltato dal giudice …        


[1] L. Villoresi, “Fu colpito da un missile l’aereo caduto ad Ustica”, in “Repubblica”, 17 dicembre 1980

[3] F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova, Cedam, 1980, p. XLIII.

[2] Detto in modo estremamente sintetico (e chiedendo scusa ai puristi del diritto): penalmente, la differenza tra “reato” e “contravvenzione” consiste

a)  nel fatto che si compie un’azione oggettivamente pericolosa, senza alcuna importanza che lo si faccia per colpa o per dolo;

b) che la pericolosità risulti non solo da una norma (per es., il Codice della Strada), ma anche da una qualsiasi consuetudine comunemente accettata (così, per es. l’art. 659 cp. sanziona il “disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone).

Limitandosi a una sanzione pecuniaria o all’arresto (nel caso del 656 cp, arresto fino a tre mesi), e non richiedendo ulteriori accertamenti in merito alla responsabilità del fatto, la sentenza è affidata oggi al Giudice di Pace (d. lgsl. 274/2000). All’epoca di Davanzali, al pretore (art. 7 cpp vecchio codice).    

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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