4 ottobre 1981: Cesare Battisti liberato a mano armata
Tutto comincia nel primo pomeriggio del 4 ottobre del 1981, giusto 40 anni fa. «Due giovani detenuti per reati comuni nel carcere di Frosinone sono evasi nel pomeriggio con l’ aiuto di alcuni complici armati di pistola. I due detenuti sono Cesare Battisti, di 26 anni, e Luigi Moccia, di 24. Secondo le prime informazioni, i due si sarebbero incontrati nella sala dei colloqui con i loro complici che, estratte le pistole, avrebbero obbligato gli agenti di custodia ad aprire i cancelli», batte l’Ansa a poche ore dall’evasione.
Così Giancarlo Tomasone, sul sito Stylo 24, diretto da Simone Di Meo, ricostruisce la grande fuga. L’Ansa si sbagliava. Perché in realta Cesare Battisti aveva un curriculum (modesto) da criminale comune ma si era politicizzato in carcere con Nicola Pellecchia dei Nap e con Arrigo Cavallina di “Rosso” e aveva dato vita, insieme a quest’ultimo e altri fuoriusciti dall’Autonomia operaia organizzata, ai Proletari armati per il comunismo. Stava perciò scontando 12 anni per una condanna a banda armata e per le armi ritrovate nel covo milanese di via Castelfidardo, dove era stato arrestato il 26 giugno 1979.
L’irruzione del commando
Quel pomeriggio del 1981, pochi minuti prima delle 14, Battisti e Moccia si trovavano nel cortile per l’ora d’aria Una donna si fece aprire, con un pretesto, il portone del carcere. Dietro di lei entrarono tre uomini armati che costrinsero gli agenti di custodia a farsi da parte. I due detenuti si erano nel frattempo spostati vicino alla portineria. Uno dei tre uomini armati li chiamò, dicendo che era «tutto in ordine». I componenti del commando e i due detenuti salirono a bordo di una Alfa 1750 color rosso amaranto targata Napoli. Il gruppo lasciò il carcere, successivamente la vettura fu cambiata con un furgoncino.
Coprotagonista di quella evasione fu dunque Luigi Moccia, figlio del defunto capostipite Gennaro e di Anna Mazza (scomparsa il 25 settembre del 2017). Si trattò di una evasione «politica». Luigi Moccia avrebbe approfittato della circostanza e sarebbe poi scappato insieme a Battisti e ai componenti del commando che aveva fatto irruzione nel carcere. A distanza di poche ore dall’evasione le strade di Battisti e quella di Moccia si separarono.
La fuga di Moccia non era prevista. I soliti sospetti degli inquirenti, circa gli appoggi forniti a Battisti da organizzazioni camorristiche (vedi L’Unità di martedì 6 ottobre 1981), furono negati Pietro Mutti, il superpentito decisivo per gli ergastoli comminati a Battisti per tutti gli omicidi dei Pac. «Moccia non era previsto» dice il collaboratore, transitato dai Pac a Prima linea, tra gli organizzatori del piano di fuga e tra i partecipanti al commando. Ne facevano parte anche Luigi Bergamin (ex Pac, è tra i 10 esuli parigini sotto estradizione ma proprio a maggio gli è stata riconosciuta la prescrizione), Claudio Lavazza, Luca Frassinetti e Sonia Benedetti, ex militanti dei Pac e di Prima Linea.
Il racconto di Pietro Mutti
«Ci facemmo aprire due cancelli e mi sembra che Battisti fosse già ad aspettarci sulle scale che portavano ai raggi dell’istituto. Con lui c’era anche un suo compagno di cella, un camorrista di nome Luigi Moccia. Siamo fuggiti con l’unica auto che avevamo perché Moccia non era previsto. Dopo pochi chilometri abbiamo mollato la macchina e siamo saliti su un furgoncino con cui abbiamo scollinato. Da lì abbiamo raggiunto a piedi una piccola stazione e siamo ritornati a Roma in treno», dichiarò Pietro Mutti, in un’intervista a Giacomo Amadori per il quotidiano «La Verità». «Mi sembra che (Battisti) fosse abbastanza tranquillo. Qualcuno, o Lavazza o Bergamin , gli diede un’arma, mentre io ho dato una pistola a Moccia anche se non ero molto convinto», ricorda Mutti.
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