Chi non conosce la differenza tra una rapina e la fondazione di una banca?

Nap_sergioromeo[Questa è l’introduzione di una rubrica su “politica e criminalità” che avrei dovuto curare, qualche anno fa, per il blog di un’amica, quando cominciavo ad esplorare le potenzialità del web 2.0. Impresa abortita in poche settimane. Ma ha lasciato questa traccia e un altro paio di pezzi ]

L’aforisma di Brecht l’ho citato centinaia di volte ma soltanto ieri ho verificato (google è una cosa fetusa e preziosa) che è opinione di Messie Mecker. Per anni ho coltivato il dubbio che potesse invece essere farina del sacco di Arturo Ui. La superiore intelligenza del lapsus: avevo introiettato la lezione del drammaturgo tedesco (e poi di Enzensberger) sull’indiscutibile intreccio tra politica e gangsterismo.

La prima volta che l’ho letto, però, la ricordo bene. Ottobre 1974. Era il titolo (un bastoni molto allungato) di un manifesto in “proud and glory” di Sergio Romeo, il lumpen di Forcella, protagonista delle autoriduzioni e degli assalti ai forni al tempo del colera. Fondatore dei Nap, Ammazzato a Firenze dopo un salto del bancone, in un conflitto a fuoco dal sapore amaro dell’esecuzione a freddo.

A Napoli avevamo una particolare sensibilità per questi temi: non era ancora tempo della pervasività della camorra e nelle lotte sociali, dalle occupazioni di case agli scioperi delle bollette, era facile interagire con le tante figure della frantumata realtà della metropoli meridionale. Con ostinazione degna di migliore causa, ci spingemmo, in perfetta logica operaista, ad applicare la lettura della composizione di classe alla sfera del contrabbando di sigarette dove era facile distinguere tra capitale (i finanziatori), imprenditori (i capo paranza) aristocrazia operaia (gli scafisti, i tecnici radio) e operaio massa (gli scaricanti, gli autisti, le bancarellare).

Ora non è più quel tempo e quell’età.

Brecht (ma anche Pound) lo cita Tremonti e molti compagni che, in nome della giustizia proletaria, invocavano che tutte le carceri saltassero in aria, si sono accomodati con scialle copri maniche e uncinetto ai piedi della ghigliottina, sostituiscono Borrelli a von Clausewitz, ergendo l’amministrazione giudiziaria a nuova frontiera della battaglia politica, e vogliono buttare le chiavi della cella di anziani malandati. I più sfrontati si sono finanche spinti ad affollare i banchi parlamentari del peggior leader populista e reazionario che la politica italiana ha prodotto negli ultimi anni (fate voi quanti: per me parecchi). [Il riferimento è all’approdo dipietrista di prestigiosi militanti rivoluzionari come Franca Rame e Pancho Pardi]. Eppure oggi ci sono le stesse ragioni per usare la fenomenologia criminale come potente chiave di lettura della crisi sociale. Anzi di più: perché nella società dell’informazione e dello spettacolo, la rappresentazione del crimine forgia potentemente l’immaginario collettivo. Dai Riina fan club su face book ai giovani fascisti che si gasano sulle gesta di “Libano” e il ”Freddo”. Ma sto già entrando nel merito. Ne parleremo nella prima puntata del mio feuilleton

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